I Sepolcri
La poesia della fine del '700 fu caratterizzata prevalentemente da due tendenze la neoclassica e la preromantica. La prima tendeva alla celebrazione dell'antica Grecia, simbolo di bellezza e di armonia, la seconda indulgeva a sentimenti malinconici e a descrizioni lugubri. Nel gusto preromantico rientra la così detta poesia sepolcrale che canta le tenebre notturne, i cimiteri e il triste pensiero della morte, e che fiorì soprattutto in Inghilterra ed è rappresentata ad esempio dalla famosissima Elegia su un cimitero di campagna di Thomas Gray (1716-1771). Il carme foscoliano pubblicato ne 1807 rientra nel genere sepolcrale, ma si stacca dai modelli contemporanei per la sua ispirazione civile e morale : lungi dall'essere un lamento per l'ineluttabilità della morte. I Sepolcri foscoliani sono una celebrazione della vita eroica e dei valori spirituali che guidano l''uomo. Prendendo spunto dall'imminente estensione all'Italia di Saint-Cloud che vietava le sepolture entro gli abitati urbani il poeta riflette sull'utilità dei sepolcri per concludere che essi non portano nessuna utilità ai defunti, ma sono importanti per i vivi perché danno loro l'illusione che i morti non sono morti del tutto se una tomba continua a perpetuarne il ricordo tra i viventi. In questo modo il culto dei morti che non lascia perire il ricordo dei trapassati e degli ideali in cui credettero, consente e garantisce lo sviluppo della civiltà in quanto questa si fonda appunto sulla conservazione del patrimonio di quei valori spirituali e sull'esempio dei sacrifici che ciascuna generazione ha saputo affrontare per realizzarli : in particolare vale il culto degli spiriti più grandi del passato in cui i popoli riconoscono e al cui insegnamento ritornano nel momento della rinascita nazionale.
Così per gli italiani la chiesa di Santa Croce in Firenze, dove sono sepolti i grandi del passato è il tempio sacro della patria, che di lì parla ai suoi figli attraverso quei sepolcri ispirandoli a lottare per la libertà. Quando le tombe cadranno distrutte dal tempo il loro messaggio sarà perpetuato dalla poesia che è eterna : ne è la prova la lirica di Omero che ancor oggi fa rivivere in noi il sacrificio di Ettore per la salvezza della patria troiana.
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lunedì 15 aprile 2019
martedì 26 marzo 2019
A Zacinto - Ugo Foscolo
A Zacinto - Ugo Foscolo
Il poeta in esilio, lontano dall'isola nativa, dove trascorse l'infanzia serena, e ripensa a lei con profonda nostalgia, sapendo di non potervi mai più tornare, la rivede con il cuore nella sua smagliante bellezza, tra le acque del mare, da cui nacque la dea Venere, simboli di bellezza e della vita, la quale con il suo primo sorriso donò a quelle isole lo splendore di una ricchissima vegetazione e un clima incantevole.
Quell'incanto di cielo e di verde rivive nella poesia del più grande poeta greco, Omero; ma nei suoi versi è anche raccontata la storia tristissima di Ulisse, costretto dal fato a navigare per tanti mari avversi, prima di poter riabbracciare, reso ormai illustre dalla fama e dalla sventura, la sua nativa Itaca, un povero isolotto pietroso. Il Foscolo però ha un destino assai più amaro dell'eroe greco, perché rivedrà mai più la sua bellissima terra: a lei potrà lasciare solo la sua poesia, mentre il suo cadavere verrà sepolto in terra straniera e nessuno piangerà sulla sua tomba .
In questo sonetto accanto al motivo dell'esilio e del tormento per non poter più rivedere l'amata terra natia, il poeta esprime la propria incantata ammirazione per l'antica civiltà greca, simboleggiata appunto dalla bellezza di Zacinto e dall'altissima poesia di Omero.
Il culto della Grecia, come ideale di purezza, di armonia e di perfezione rientra nel gusto neoclassico, ma non fu estraneo neppure ai romantici che videro nella Grecia una specie di paradiso perduto dove poter dimenticare i loro tomenti interiori.
Anche nella Grecia esisteva il dolore : ne è la prova l'esilio di Ulisse. Ma alla fine Ulisse ritornò in patria ritrovando pace e felicità, cosa che è negata al Foscolo
Il poeta in esilio, lontano dall'isola nativa, dove trascorse l'infanzia serena, e ripensa a lei con profonda nostalgia, sapendo di non potervi mai più tornare, la rivede con il cuore nella sua smagliante bellezza, tra le acque del mare, da cui nacque la dea Venere, simboli di bellezza e della vita, la quale con il suo primo sorriso donò a quelle isole lo splendore di una ricchissima vegetazione e un clima incantevole.
Quell'incanto di cielo e di verde rivive nella poesia del più grande poeta greco, Omero; ma nei suoi versi è anche raccontata la storia tristissima di Ulisse, costretto dal fato a navigare per tanti mari avversi, prima di poter riabbracciare, reso ormai illustre dalla fama e dalla sventura, la sua nativa Itaca, un povero isolotto pietroso. Il Foscolo però ha un destino assai più amaro dell'eroe greco, perché rivedrà mai più la sua bellissima terra: a lei potrà lasciare solo la sua poesia, mentre il suo cadavere verrà sepolto in terra straniera e nessuno piangerà sulla sua tomba .
In questo sonetto accanto al motivo dell'esilio e del tormento per non poter più rivedere l'amata terra natia, il poeta esprime la propria incantata ammirazione per l'antica civiltà greca, simboleggiata appunto dalla bellezza di Zacinto e dall'altissima poesia di Omero.
Il culto della Grecia, come ideale di purezza, di armonia e di perfezione rientra nel gusto neoclassico, ma non fu estraneo neppure ai romantici che videro nella Grecia una specie di paradiso perduto dove poter dimenticare i loro tomenti interiori.
Anche nella Grecia esisteva il dolore : ne è la prova l'esilio di Ulisse. Ma alla fine Ulisse ritornò in patria ritrovando pace e felicità, cosa che è negata al Foscolo
Nè più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di colui che l’acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
ace e felicità, cosa che è negata al Foscolo
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di colui che l’acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
venerdì 22 marzo 2019
in morte del fratello Giovanni - Ugo Foscolo
in morte del fratello Giovanni - Ugo Foscolo
Il poeta, vagante in esilio lontano da Venezia, pensa al fratello morto, ma non sa quando potrà fermarsi e tornare a piangerne la giovinezza, immaturamente stroncata dal destino, sostando sulla sua tomba. Presso di essa ora è solo la vecchia madre : alla spoglia che non può darle risposta parta del fratello esule, il quale da lontano pensa a loro, angosciato dalla sventura e tanto profondamente deluso dalla vita. Quando il poeta dalla sua terra d'elisio saluta col cuore la patria perduta, allora comprende meglio le avversità della vita e i tormenti, che sconvolsero la beve esistenza del fratello, e ne invidia, desiderandola anche per sé, la pace che finalmente ha trovato nella morte. Di tante speranze giovanili ora non resta dunque che l'attesa della morte, portatrice di pace, che ponga fine ai travagli e alle delusioni. Ma perché il pensiero della morta sia più dolce, il poeta rivolge un'accorata preghiera agli stranieri, presso i quali morirà esule : restituiscano allora il suo cadavere alla povera madre, che ne avrà lieve conforto. E con lei lo stesso poeta.
Il sonetto è ispirato al famoso carme che il poeta latino Catullo compose sul sepolcro del fratello nella lontana Bitinia, raggiunta dopo un lungo viaggio: ma mentre nel carme latino il motivo ispiratore è il dolore fraterno, qui al centro della poesia foscoliana campeggia il dramma dell'esule che non può piangere sulla tomba del fratello né consolare la madre. La triste sorte dell'infelice famiglia è simboli della profonda infelicità dell'esistenza, che sono nella morte può trovare la pace.
Si noti la delicatezza del poeta, che non accenna al suicidio del fratello: è un tratto di fraterna pietà, che rende ancora più suggestiva e poetica la figura del giovane di cui lascia nel vago i profondi travagli spirituali. Il giovane Giovanni Dionigi Foscolo, ufficiale di artiglieria nell'esercito napoleonico, si uccise a vent'anni, nel dicembre del 1801; il sonetto è stato scritto l'anno successivo
IN MORTE AL FRATELLO GIOVANNI
Il poeta, vagante in esilio lontano da Venezia, pensa al fratello morto, ma non sa quando potrà fermarsi e tornare a piangerne la giovinezza, immaturamente stroncata dal destino, sostando sulla sua tomba. Presso di essa ora è solo la vecchia madre : alla spoglia che non può darle risposta parta del fratello esule, il quale da lontano pensa a loro, angosciato dalla sventura e tanto profondamente deluso dalla vita. Quando il poeta dalla sua terra d'elisio saluta col cuore la patria perduta, allora comprende meglio le avversità della vita e i tormenti, che sconvolsero la beve esistenza del fratello, e ne invidia, desiderandola anche per sé, la pace che finalmente ha trovato nella morte. Di tante speranze giovanili ora non resta dunque che l'attesa della morte, portatrice di pace, che ponga fine ai travagli e alle delusioni. Ma perché il pensiero della morta sia più dolce, il poeta rivolge un'accorata preghiera agli stranieri, presso i quali morirà esule : restituiscano allora il suo cadavere alla povera madre, che ne avrà lieve conforto. E con lei lo stesso poeta.
Il sonetto è ispirato al famoso carme che il poeta latino Catullo compose sul sepolcro del fratello nella lontana Bitinia, raggiunta dopo un lungo viaggio: ma mentre nel carme latino il motivo ispiratore è il dolore fraterno, qui al centro della poesia foscoliana campeggia il dramma dell'esule che non può piangere sulla tomba del fratello né consolare la madre. La triste sorte dell'infelice famiglia è simboli della profonda infelicità dell'esistenza, che sono nella morte può trovare la pace.
Si noti la delicatezza del poeta, che non accenna al suicidio del fratello: è un tratto di fraterna pietà, che rende ancora più suggestiva e poetica la figura del giovane di cui lascia nel vago i profondi travagli spirituali. Il giovane Giovanni Dionigi Foscolo, ufficiale di artiglieria nell'esercito napoleonico, si uccise a vent'anni, nel dicembre del 1801; il sonetto è stato scritto l'anno successivo
IN MORTE AL FRATELLO GIOVANNI
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente; mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
fior de’ tuoi gentili anni caduto:
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
Di gente in gente; mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
fior de’ tuoi gentili anni caduto:
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
mercoledì 20 marzo 2019
alla sera - Ugo Foscolo
alla sera - Ugo Foscolo
La sera è particolarmente cara al poeta, perché essendo l'immagine della morte, gli arreca pace e serenità. In ogni stagione, sia quando essa giunge accompagnata dalle limpide nubi dell'estate e dai tiepidi venticelli primaverili, sia quando porta agli uomini, dal cielo gonfio di neve, le incerte e lunghe tenebre invernali il poeta invoca la sera, che gli scende nell'animo con infinita dolcezza. I suoi pensieri vagano allora verso la morte e il nulla che ad essa segue; intanto il tempo passa e con lui se ne vanno i dolori e gli affanni che lo tormentano. Immerso nella contemplazione della pace serale, il poeta dimentica se stesso, mentre il cuore si placa quello spirito di ribelle scontentezza che perennemente freme nel suo animo.
Il sonetto unisce due elementi tipici della lirica romantica: il senso della natura e il senso tomentoso della vita. La natura è sentita come specchio e conforto dell'anima : l'uomo in essa si riconosce e in essa soltanto può trovare pace alle sue sofferenze interiori. Il cupo tormento spirituale del poeta descritto sullo sfondo della serena dolcezza della sera ci mostra drammaticamente il destino di dolore e di angoscia di un uomo che sa di poter trovare l'agognata pace sono nella morte.
ALLA SERA
La sera è particolarmente cara al poeta, perché essendo l'immagine della morte, gli arreca pace e serenità. In ogni stagione, sia quando essa giunge accompagnata dalle limpide nubi dell'estate e dai tiepidi venticelli primaverili, sia quando porta agli uomini, dal cielo gonfio di neve, le incerte e lunghe tenebre invernali il poeta invoca la sera, che gli scende nell'animo con infinita dolcezza. I suoi pensieri vagano allora verso la morte e il nulla che ad essa segue; intanto il tempo passa e con lui se ne vanno i dolori e gli affanni che lo tormentano. Immerso nella contemplazione della pace serale, il poeta dimentica se stesso, mentre il cuore si placa quello spirito di ribelle scontentezza che perennemente freme nel suo animo.
Il sonetto unisce due elementi tipici della lirica romantica: il senso della natura e il senso tomentoso della vita. La natura è sentita come specchio e conforto dell'anima : l'uomo in essa si riconosce e in essa soltanto può trovare pace alle sue sofferenze interiori. Il cupo tormento spirituale del poeta descritto sullo sfondo della serena dolcezza della sera ci mostra drammaticamente il destino di dolore e di angoscia di un uomo che sa di poter trovare l'agognata pace sono nella morte.
ALLA SERA
Forse perchè della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
martedì 19 marzo 2019
Ugo Foscolo
Ugo Foscolo
Ugo Foscolo (1778-1827) ebbe la ventura di vivere una vita ricca di esaltanti esperienze e fremente di generose passioni, una vita tipica di un "eroe romantico" con tutti gli slanci e le contraddizioni di quell'età . Nato nell'isola ionia di Zacinto da padre veneziano e da madre greca respirò nell'infanzia i miti e il fascino dell'antica Ellade, che gli lasciò nel cuore la nostalgia di un'età luminosa e irrepetibile di bellezza e di armonia. Alla morte precoce del padre, ancora ragazzo seguì la madre a Venezia, dove conobbe miseria e povertà , ma fervido d'ingegno com'era, studiò profondamente i classici antichi, gli autori contemporanei e gli illuministi facendosi ben presto una vasta cultura letteraria e filosofica e mettendosi anche in luce per una adesione tanto appassionata alle idee rivoluzionarie che lo costrinse all'esilio. Ammiratore entusiasta di Alfieri e di Napoleone, l'uno cantore vigoroso e l'altro campione indiscusso della libertà, partecipò alla vita politica della appena nata repubblica democratica di Venezia finchè il trattato di Campoformio, con cui la città fu ceduta all'Austria, lo prostrò in una profonda e amara delusione nei confronti sia di Napoleone verso il quale, a causa di questo tradimento , da allora guardò sempre con diffidenza, sia degli italiani amanti della libertà a parole ma sostanzialmente vili e spiritualmente schiavi dell'animo . Da quel tragico evento cominciò il suo lungo esilio lontano dalla patria diletta e dalla madre amatissima : passato a Milano e a Bologna, in qualità di ufficiale dell'esercito della Repubblica Cisalpina partecipò gloriosamente alla compagna del 1799-1800 ricevendone encomi e ferite. Dopo un breve soggiorno a Firenze e a Milano - dove pubblicò le sue prime opere : Le ultime lettere di Jacopo Ortis, I sonetti e le odi - nel 1804 seguì l'esercito napoleonico sulle coste della Manica per la progettata ma mai effettuata invasione dell'Inghilterra; incapace di sopportare un lungo periodo di inattività, dopo due anni tornò a Milano , pubblicò i Sepolcri (1807) , tenne per un breve tempo la cattedra di letteratura all'Università di Pavia per passare quindi a Firenze in un clima più libero perchè politicamente meno ossequiente a Napoleone : qui iniziò il poema Le Grazie , lunga e ininterrotta fatica dei suoi ultimi anni, destinato a rimanere incompiuto. Alla caduta di Napoleone si precipitò a Milano , riprese il suo posto nell'esercito, ma quando gli Austriaci ritornati padroni del Lombardo-Veneto pretesero il giuramento di fedeltà da parte degli ufficiali, solennemente rifiutò e preferì andare in esilio : dopo un breve soggiorno in Svizzera, nel 1816 si stabilì definitivamente nella libera Inghilterra dove trascorse a Londra , gli ultimi anni tra crescenti difficoltà, stenti, malattie. Nel 1871 , quando Roma diventò la capitale di quell'Italia che egli aveva sognato rinata alla virtù, alla dignità civile alla libertà, le sue ossa furono traslate dall'oscuro cimitero inglese di Chiswick alla chiesa fiorentina di Santa Croce, che egli aveva celebrato nei Sepolcri come il tempio sacro alle glorie della patria.
Alle vicende che abbiamo appena narrato e che ci hanno mostrato un Foscolo appassionato difensore della libertà e amante della patria, coraggioso, intemerato, incapace di doppiezza e viltà, strenuo lottatore per le proprie idee e per la propria opera di uomo, di soldato e di scrittore, bisogna aggiungere la lunga serie degli amori e delle passioni che travolsero la sua esistenza senza dargli quella pace interiore a cui tormentosamente anelava : delle numerose figure femminili che sconvolsero il suo cuore ricorderemo solo la "donna gentile" Quirina Mocenni Magiotti, che con le sue lettere da lontano lo confortò nell'esilio londinese e fu la donna più spiritualmente vicina alla sua anima generosa , ma perennemente travagliate e inquieta.
La produzione lirica del Foscolo comprende due odi, dodici sonetti il carme I Sepolcri e il poemetto Le Grazie, rimasto incompiuto.
Mentre l'ispirazione e il linguaggio delle Odi e delle Grazie sono classicheggianti ed esaltano la bellezza come l'armonia formale e spirituale, il mondo poetico dei Sonetti nasce da una sensibilità intensamente romantica che richiama le Ultime lettere di Jacopo Ortis : in essi infatti vibrano il tormento della sua anima ribelle, l'angoscia dell'esilio, il senso cupo di un destino avverso che solo con la morte porrà termine alle sofferenze e darà l'agognata pace. La vicenda personale del poeta si allarga alla natura e a tutti gli uomini : con i Sepolcri investe l'intera storia dell'umanità per trovare consolazione e conforto nella poesia
Ugo Foscolo (1778-1827) ebbe la ventura di vivere una vita ricca di esaltanti esperienze e fremente di generose passioni, una vita tipica di un "eroe romantico" con tutti gli slanci e le contraddizioni di quell'età . Nato nell'isola ionia di Zacinto da padre veneziano e da madre greca respirò nell'infanzia i miti e il fascino dell'antica Ellade, che gli lasciò nel cuore la nostalgia di un'età luminosa e irrepetibile di bellezza e di armonia. Alla morte precoce del padre, ancora ragazzo seguì la madre a Venezia, dove conobbe miseria e povertà , ma fervido d'ingegno com'era, studiò profondamente i classici antichi, gli autori contemporanei e gli illuministi facendosi ben presto una vasta cultura letteraria e filosofica e mettendosi anche in luce per una adesione tanto appassionata alle idee rivoluzionarie che lo costrinse all'esilio. Ammiratore entusiasta di Alfieri e di Napoleone, l'uno cantore vigoroso e l'altro campione indiscusso della libertà, partecipò alla vita politica della appena nata repubblica democratica di Venezia finchè il trattato di Campoformio, con cui la città fu ceduta all'Austria, lo prostrò in una profonda e amara delusione nei confronti sia di Napoleone verso il quale, a causa di questo tradimento , da allora guardò sempre con diffidenza, sia degli italiani amanti della libertà a parole ma sostanzialmente vili e spiritualmente schiavi dell'animo . Da quel tragico evento cominciò il suo lungo esilio lontano dalla patria diletta e dalla madre amatissima : passato a Milano e a Bologna, in qualità di ufficiale dell'esercito della Repubblica Cisalpina partecipò gloriosamente alla compagna del 1799-1800 ricevendone encomi e ferite. Dopo un breve soggiorno a Firenze e a Milano - dove pubblicò le sue prime opere : Le ultime lettere di Jacopo Ortis, I sonetti e le odi - nel 1804 seguì l'esercito napoleonico sulle coste della Manica per la progettata ma mai effettuata invasione dell'Inghilterra; incapace di sopportare un lungo periodo di inattività, dopo due anni tornò a Milano , pubblicò i Sepolcri (1807) , tenne per un breve tempo la cattedra di letteratura all'Università di Pavia per passare quindi a Firenze in un clima più libero perchè politicamente meno ossequiente a Napoleone : qui iniziò il poema Le Grazie , lunga e ininterrotta fatica dei suoi ultimi anni, destinato a rimanere incompiuto. Alla caduta di Napoleone si precipitò a Milano , riprese il suo posto nell'esercito, ma quando gli Austriaci ritornati padroni del Lombardo-Veneto pretesero il giuramento di fedeltà da parte degli ufficiali, solennemente rifiutò e preferì andare in esilio : dopo un breve soggiorno in Svizzera, nel 1816 si stabilì definitivamente nella libera Inghilterra dove trascorse a Londra , gli ultimi anni tra crescenti difficoltà, stenti, malattie. Nel 1871 , quando Roma diventò la capitale di quell'Italia che egli aveva sognato rinata alla virtù, alla dignità civile alla libertà, le sue ossa furono traslate dall'oscuro cimitero inglese di Chiswick alla chiesa fiorentina di Santa Croce, che egli aveva celebrato nei Sepolcri come il tempio sacro alle glorie della patria.
Alle vicende che abbiamo appena narrato e che ci hanno mostrato un Foscolo appassionato difensore della libertà e amante della patria, coraggioso, intemerato, incapace di doppiezza e viltà, strenuo lottatore per le proprie idee e per la propria opera di uomo, di soldato e di scrittore, bisogna aggiungere la lunga serie degli amori e delle passioni che travolsero la sua esistenza senza dargli quella pace interiore a cui tormentosamente anelava : delle numerose figure femminili che sconvolsero il suo cuore ricorderemo solo la "donna gentile" Quirina Mocenni Magiotti, che con le sue lettere da lontano lo confortò nell'esilio londinese e fu la donna più spiritualmente vicina alla sua anima generosa , ma perennemente travagliate e inquieta.
La produzione lirica del Foscolo comprende due odi, dodici sonetti il carme I Sepolcri e il poemetto Le Grazie, rimasto incompiuto.
Mentre l'ispirazione e il linguaggio delle Odi e delle Grazie sono classicheggianti ed esaltano la bellezza come l'armonia formale e spirituale, il mondo poetico dei Sonetti nasce da una sensibilità intensamente romantica che richiama le Ultime lettere di Jacopo Ortis : in essi infatti vibrano il tormento della sua anima ribelle, l'angoscia dell'esilio, il senso cupo di un destino avverso che solo con la morte porrà termine alle sofferenze e darà l'agognata pace. La vicenda personale del poeta si allarga alla natura e a tutti gli uomini : con i Sepolcri investe l'intera storia dell'umanità per trovare consolazione e conforto nella poesia
romanticismo in Italia
romanticismo in Italia
In Italia di romanticismo si comincia a parlare soltanto dopo la caduta di Napoleone; ma una personalità come Foscolo, che per la forma classicheggiante e per il culto idealizzato dell'Ellade appartiene al gusto neoclassico, in effetti partecipa già della spiritualità e dei miti romantici: basta pensare alla sua vita e ai motivi ricorrenti nelle sue opere , dal drammatico personaggio di Jacopo Ortis, al vagheggiamento della morte, all'ardente passionalità patriottica, al pessimismo che pur non contrasta con la fede nei più alti ideali dello spirito.
Nel 1816 sul giornale milanese La biblioteca Italiana fu pubblicato un articolo di Madame de Stael favorevole alla nuova letteratura: nella polemica che ne seguì tra novatori e conservatori la diversità delle opinioni scivolò ben presto dal campo letterario a quello politico, opponendo i classicisti conservatori e reazionari e ai romantici liberali e patrioti. Per i romantici la poesia deve essere popolare e deve esprimere i sentimenti e le esigenze della nazione, in primo luogo lo spirito di libertà e di indipendenza nazionale. Così attorno al giornale dei giovani romantici, il conciliatore, si raccolsero i patrioti lombardi che dai primi moti carbonari vissero tutta l'esperienza eroica del risorgimento.
Il motivo principale che anima la nostra letteratura romantica è l'ardore patriottico : nella quasi totalità poeti, prosatori e pensatori del tempo parteciparono alle cospirazioni, alle battaglie, alla vita politica del risorgimento, soffrendo spesso il carcere o l'esilio. Basterà ricordare per tutti Giuseppe Mazzini, uno degli spiriti i nobili e ricchi del romanticismo-risorgimento.
Un posto particolare spetta in questo panorama a Leopardi e Manzoni che per l'altezza della loro opera hanno statura e importanza europea : Leopardi è uno dei più grandi lirici del romanticismo per la tensione eroica del suo pessimismo e per la purezza del linguaggio poetico, mentre Manzoni nei suoi versi e soprattutto nel Promessi Sposi supera l'interno dissidio dell'anima romantica sollevandolo alla superiore visione di un cattolicesimo umanamente impegnato e saldamente sorretto dalla fede
In Italia di romanticismo si comincia a parlare soltanto dopo la caduta di Napoleone; ma una personalità come Foscolo, che per la forma classicheggiante e per il culto idealizzato dell'Ellade appartiene al gusto neoclassico, in effetti partecipa già della spiritualità e dei miti romantici: basta pensare alla sua vita e ai motivi ricorrenti nelle sue opere , dal drammatico personaggio di Jacopo Ortis, al vagheggiamento della morte, all'ardente passionalità patriottica, al pessimismo che pur non contrasta con la fede nei più alti ideali dello spirito.
Nel 1816 sul giornale milanese La biblioteca Italiana fu pubblicato un articolo di Madame de Stael favorevole alla nuova letteratura: nella polemica che ne seguì tra novatori e conservatori la diversità delle opinioni scivolò ben presto dal campo letterario a quello politico, opponendo i classicisti conservatori e reazionari e ai romantici liberali e patrioti. Per i romantici la poesia deve essere popolare e deve esprimere i sentimenti e le esigenze della nazione, in primo luogo lo spirito di libertà e di indipendenza nazionale. Così attorno al giornale dei giovani romantici, il conciliatore, si raccolsero i patrioti lombardi che dai primi moti carbonari vissero tutta l'esperienza eroica del risorgimento.
Il motivo principale che anima la nostra letteratura romantica è l'ardore patriottico : nella quasi totalità poeti, prosatori e pensatori del tempo parteciparono alle cospirazioni, alle battaglie, alla vita politica del risorgimento, soffrendo spesso il carcere o l'esilio. Basterà ricordare per tutti Giuseppe Mazzini, uno degli spiriti i nobili e ricchi del romanticismo-risorgimento.
Un posto particolare spetta in questo panorama a Leopardi e Manzoni che per l'altezza della loro opera hanno statura e importanza europea : Leopardi è uno dei più grandi lirici del romanticismo per la tensione eroica del suo pessimismo e per la purezza del linguaggio poetico, mentre Manzoni nei suoi versi e soprattutto nel Promessi Sposi supera l'interno dissidio dell'anima romantica sollevandolo alla superiore visione di un cattolicesimo umanamente impegnato e saldamente sorretto dalla fede
Michail Lermontov
michail Lermontov
Anche su Michail Lermontov (1814-41) il più grande poeta romantico russo pesò l'ombra di Byron, di cui dopo aver abbracciato la carriera militare, volle imitare gli atteggiamenti sprezzanti nella società mondana di Pietroburgo. Anch'egli conobbe l'esilio ne Caucaso e morì per un duello.
La sua evoluzione poetica ricorda quella dell'ammirato Puskin, dal romanticismo byroniano verso il realismo. Accanto alla produzione lirica più aderente ai tipici temi romantici ricordiamo il romanzo Un eroe del nostro tempo ( del '40) in cui campeggia la figura di un giovane nobile e generoso, ma amareggiato e disincantato, condannato alla solitudine e all'incomprensione per il suo disprezzo verso l'intera umanità.
"Lermontov fu qualcosa di più di un poeta romantico . Col passar degli anni egli comprese sempre meglio che la realtà non è solo un verlo di bruttura steso sull'eternità non solo una schiavitù dello spirito, ma un mondo per viverci e per operarvi. Inizialmente il suo stile fu agli antipodi di quello di Puskin. Vago quanto quello era precipitoso, gonfio quanto quello era scarno e terso, sembrava consistere non di singole parole con distinti significati, ma di masse verbali fuse in una ammasso indistinguibile.
Fu precisamente la sua vaghezza così vicina alla musica che gli permise di raggiungere i suoi più alti effetti romantici. Nei suoi poemi realistici egli riuscì a darsi un nuovo stile con chiarezza concisa degna di Puskin e con una cadenza marziale tipicamente sua " (D.P. Mirskij)
Anche su Michail Lermontov (1814-41) il più grande poeta romantico russo pesò l'ombra di Byron, di cui dopo aver abbracciato la carriera militare, volle imitare gli atteggiamenti sprezzanti nella società mondana di Pietroburgo. Anch'egli conobbe l'esilio ne Caucaso e morì per un duello.
La sua evoluzione poetica ricorda quella dell'ammirato Puskin, dal romanticismo byroniano verso il realismo. Accanto alla produzione lirica più aderente ai tipici temi romantici ricordiamo il romanzo Un eroe del nostro tempo ( del '40) in cui campeggia la figura di un giovane nobile e generoso, ma amareggiato e disincantato, condannato alla solitudine e all'incomprensione per il suo disprezzo verso l'intera umanità.
"Lermontov fu qualcosa di più di un poeta romantico . Col passar degli anni egli comprese sempre meglio che la realtà non è solo un verlo di bruttura steso sull'eternità non solo una schiavitù dello spirito, ma un mondo per viverci e per operarvi. Inizialmente il suo stile fu agli antipodi di quello di Puskin. Vago quanto quello era precipitoso, gonfio quanto quello era scarno e terso, sembrava consistere non di singole parole con distinti significati, ma di masse verbali fuse in una ammasso indistinguibile.
Fu precisamente la sua vaghezza così vicina alla musica che gli permise di raggiungere i suoi più alti effetti romantici. Nei suoi poemi realistici egli riuscì a darsi un nuovo stile con chiarezza concisa degna di Puskin e con una cadenza marziale tipicamente sua " (D.P. Mirskij)
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