Libertà di Giovanni Verga
anche questo racconto è tratto dalle novelle rusticane vi si rievoca la rivolta contadina avvenuta a Bronte nel Catanese nell'agosto del 1860 e domata da Nino Bixio.
L'impresa dei Mille di Garibaldi aveva fatto sperare che con la sconfitta dei Borboni si potesse avere la pienezza della libertà : di qui lo scatenarsi delle masse contadine contro I proprietari terrieri e I nobili per desiderio di terre da coltivare e per spirito di vendetta contro i secolari soprusi patiti tra stenti e umiliazioni di ogni genere. Ma il sogno della libertà come tutti I miti che colpiscono e trascinano l'uomo è destinato a fallire l'amara conclusione della vicenda da una parte corrisponde alla realtà storica e politica del tempo dall'altra esprime il pessimismo verghiano con la sua sconsolata concezione della vita.
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sabato 11 aprile 2020
mercoledì 1 aprile 2020
la miseria nell'opera di Verga
la miseria nell'opera di Verga
la miseria è il soggetto più frequente dei volumi siciliani del Verga.
Lo stento quotidiano è il centro dal quale si colloca più costantemente il Verga nelle sue costruzione di artista. Intorno ad esso si sviluppa tutta una psicologia fusa in gesti ed azioni a cui può mancare la varietà ma non la coerenza e la forza persuasiva. La filosofia semplice, solida e triste dei suoi personaggi; la loro abitudine di curvare il capo senza bestemmie e senza lamenti accettando la propria sorte come l'opera di una forza sconosciuta; la loro resistenza tenace alle sofferenze morali e fisiche, alle angherie dei ricchi, all'ostilità del clima, alle giornate lunghe di lavoro alle disgrazie che nascono l'una dall'altra; l'assoluta mancanza di sentimenti di lusso; la parte scarsa o poco a evidente che hanno in loro gli affetti comuni soverchiati dalle necessità della vita; la brevità dell'amore che, dopo le nozze cede rapidamente alle fatiche per la conquista del pane, e s'inacidisce fra le strettezze continue dell'esistenza; certe forme di disonestà e di ottusità morale : tutto rispecchia la miseria che domina tirannicamente nel mondo del Verga. Anche l'inaudito accanimento con il quale alcuni suoi personaggi lottano per guadagnarsi l'agiatezza, la straordinaria resistenza ai disagi che devono affrontare, il pregio affettivo insolito che essi attribuiscono ai campi e ai danari, sotto l'effetto di quella lunga esperienza di quanto si soffra quando si è minacciati senza tregua dalla fane e dai debiti. Mazzarò e Mastro Don Gesualdo non sono che dei Malavoglia a cui la sorte ha concesso di liberarsi dal bisogno. Il Verga ha esaurito affatto il tema dello stento della prepotenza inesorabile che ha il pane quotidiano sulla vita degli uomini. Chi ha conosciuto la miseria, rimane quale essa lo ha foggiato, difficilmente si libera dalle abitudini e dai sentimenti e dai sentimenti che vi ha contratto
la miseria è il soggetto più frequente dei volumi siciliani del Verga.
Lo stento quotidiano è il centro dal quale si colloca più costantemente il Verga nelle sue costruzione di artista. Intorno ad esso si sviluppa tutta una psicologia fusa in gesti ed azioni a cui può mancare la varietà ma non la coerenza e la forza persuasiva. La filosofia semplice, solida e triste dei suoi personaggi; la loro abitudine di curvare il capo senza bestemmie e senza lamenti accettando la propria sorte come l'opera di una forza sconosciuta; la loro resistenza tenace alle sofferenze morali e fisiche, alle angherie dei ricchi, all'ostilità del clima, alle giornate lunghe di lavoro alle disgrazie che nascono l'una dall'altra; l'assoluta mancanza di sentimenti di lusso; la parte scarsa o poco a evidente che hanno in loro gli affetti comuni soverchiati dalle necessità della vita; la brevità dell'amore che, dopo le nozze cede rapidamente alle fatiche per la conquista del pane, e s'inacidisce fra le strettezze continue dell'esistenza; certe forme di disonestà e di ottusità morale : tutto rispecchia la miseria che domina tirannicamente nel mondo del Verga. Anche l'inaudito accanimento con il quale alcuni suoi personaggi lottano per guadagnarsi l'agiatezza, la straordinaria resistenza ai disagi che devono affrontare, il pregio affettivo insolito che essi attribuiscono ai campi e ai danari, sotto l'effetto di quella lunga esperienza di quanto si soffra quando si è minacciati senza tregua dalla fane e dai debiti. Mazzarò e Mastro Don Gesualdo non sono che dei Malavoglia a cui la sorte ha concesso di liberarsi dal bisogno. Il Verga ha esaurito affatto il tema dello stento della prepotenza inesorabile che ha il pane quotidiano sulla vita degli uomini. Chi ha conosciuto la miseria, rimane quale essa lo ha foggiato, difficilmente si libera dalle abitudini e dai sentimenti e dai sentimenti che vi ha contratto
lunedì 30 marzo 2020
la Roba - Giovanni verga
la roba - Giovanni Verga
il titolo della novella (tratta dalle novelle rusticane) ne mette in evidenza il motivo centrale : il dramma di chi passa tutta la vita nell'ansia di ammassar roba e alla fine si ritrova solo e sconfitto di fronte alla morte
La roba è un mito che affascina e distrugge senza dare mai né pace né gioia. Il povero Mazzarò non ha goduto nulla della vita : ha sempore faticato come una bestia senza un attimo di riposo senza neppure il tempo o la possibilità di gioire per la nuova roba ammucchiata, tanto era grande la bramosia di nuovi possessi e la paura di vedersene in qualche modo derubato.
E' stato disumano e crudele con se stesso e con gli altri, è vissuto sempre e soltanto di lavoro, di sacrifici e di stenti e amaro constrasto in totale e continua povertà senza agi né riposo. Ha così finito per invidiare se non addirittura odiare quanto c'è di più bello nella vita la gioventù insultando sofferenza e miseria. Il pensiero della morte a un tratto diventa un incubo angoscioso che non dà tregua : Mazzarò vinto dalla roba non saprà pacificarsi con la vita e con gli uomini e morirà dispettoso e grottesco ma pur degno di compassione. La sua vita è stata un fallimento e egli ne esce amareggiato e sconfitto.
Mazzarò anticipa la figura di Mastro Don Gesualdo e ben rappresenta l'amara concezione verghiana dell'esistenza
il titolo della novella (tratta dalle novelle rusticane) ne mette in evidenza il motivo centrale : il dramma di chi passa tutta la vita nell'ansia di ammassar roba e alla fine si ritrova solo e sconfitto di fronte alla morte
La roba è un mito che affascina e distrugge senza dare mai né pace né gioia. Il povero Mazzarò non ha goduto nulla della vita : ha sempore faticato come una bestia senza un attimo di riposo senza neppure il tempo o la possibilità di gioire per la nuova roba ammucchiata, tanto era grande la bramosia di nuovi possessi e la paura di vedersene in qualche modo derubato.
E' stato disumano e crudele con se stesso e con gli altri, è vissuto sempre e soltanto di lavoro, di sacrifici e di stenti e amaro constrasto in totale e continua povertà senza agi né riposo. Ha così finito per invidiare se non addirittura odiare quanto c'è di più bello nella vita la gioventù insultando sofferenza e miseria. Il pensiero della morte a un tratto diventa un incubo angoscioso che non dà tregua : Mazzarò vinto dalla roba non saprà pacificarsi con la vita e con gli uomini e morirà dispettoso e grottesco ma pur degno di compassione. La sua vita è stata un fallimento e egli ne esce amareggiato e sconfitto.
Mazzarò anticipa la figura di Mastro Don Gesualdo e ben rappresenta l'amara concezione verghiana dell'esistenza
giovedì 26 marzo 2020
la religione della casa nei Malavoglia
la religione della casa nei Malavoglia
I Malavoglia volevano essere uno studio sincero e spassionato del nascere e dello svilupparsi delle prime irrequietudini per il benessere nell'anima della povera gente.
La vaga bramosia dell'ignoto, l'insoddisfazione delle proprie umili condizioni, doveva trascinare una casa patriarcale di pescatori alla rovina.
Questo senso di fatalità che c'è in tutto il racconto non insinuato per tesi dallo scrittore ma direttamente sentito dai protagonisti dà al romanzo una intonazione tragica dove gli uomini non si atteggiano a eroi e sono eroi; silenziosi eroi del dovere eroi dell'onore domestico del lavoro e della fedeltà.
Possiamo dire appunto che questo è il romanzo della fedeltà, nel senso religioso alla vita alle costumanze antiche e severe agli affetti semplici e patriarcali.
Padron 'Toni è il custode di queste leggi invisibili della casa è questa primitiva e potente religione della casa e delle virtù patriarcali che strinte in una ferrea unit il romanzo, una sola fede in tutti. Questo tragico sentimento religioso degli uomini nel Verga perfino finisce col diventare la tragedia religiosa delle cose stesse, Quando I Malavoglia devono lasciare la casa del Nespolo il dolore e il pudore degli esiliati pare che trapassino in quelle mura, in quelle masserizie in quel nespolo e in tutto quel vuoto riecheggiante nelle stanze squallide e disabitate.
I Malavoglia volevano essere uno studio sincero e spassionato del nascere e dello svilupparsi delle prime irrequietudini per il benessere nell'anima della povera gente.
La vaga bramosia dell'ignoto, l'insoddisfazione delle proprie umili condizioni, doveva trascinare una casa patriarcale di pescatori alla rovina.
Questo senso di fatalità che c'è in tutto il racconto non insinuato per tesi dallo scrittore ma direttamente sentito dai protagonisti dà al romanzo una intonazione tragica dove gli uomini non si atteggiano a eroi e sono eroi; silenziosi eroi del dovere eroi dell'onore domestico del lavoro e della fedeltà.
Possiamo dire appunto che questo è il romanzo della fedeltà, nel senso religioso alla vita alle costumanze antiche e severe agli affetti semplici e patriarcali.
Padron 'Toni è il custode di queste leggi invisibili della casa è questa primitiva e potente religione della casa e delle virtù patriarcali che strinte in una ferrea unit il romanzo, una sola fede in tutti. Questo tragico sentimento religioso degli uomini nel Verga perfino finisce col diventare la tragedia religiosa delle cose stesse, Quando I Malavoglia devono lasciare la casa del Nespolo il dolore e il pudore degli esiliati pare che trapassino in quelle mura, in quelle masserizie in quel nespolo e in tutto quel vuoto riecheggiante nelle stanze squallide e disabitate.
venerdì 20 marzo 2020
l'addio dei Malavoglia alla casa del nespolo
l'addio dei Malavoglia alla casa del nespolo
Padron 'Ntoni Malavoglia un povero pescatore di Aci Trezza in gravi difficoltà, acquista a credito un carico di lupini, ma la burrasca sorprende la barca e ne naufragio il carico si perde e muore il figlio Bastianazzo, lasciando la vedova e cinque figli. E' la prima di una serie di sventure una più dolorosa dell'altra. Non avendo potuto pagare il debito dei lupini all'usuraio zio Crocifisso, I Malavoglia devono lasciare la casa del nespolo che il sensale Piedipapera, a cui lo zio Crocifisso ha finto di vendere a credito, ha fatto pignorare dall'usciere giudiziario. E' una pagina di accorata tristezza : intorno ai Malavoglia si avverte la presenza dell'intero paese che contribuisce la particolare stato d'animo del vecchio padron 'Ntoni. Inoltre parecchie notazione a leggere attentamente ci si accorge che non sono di Verga : autore si è limitato a registrarle e a inserirle nella narrazione come una sorta di commento anonimo che riporta indirettamente le voci del paese
Padron 'Ntoni Malavoglia un povero pescatore di Aci Trezza in gravi difficoltà, acquista a credito un carico di lupini, ma la burrasca sorprende la barca e ne naufragio il carico si perde e muore il figlio Bastianazzo, lasciando la vedova e cinque figli. E' la prima di una serie di sventure una più dolorosa dell'altra. Non avendo potuto pagare il debito dei lupini all'usuraio zio Crocifisso, I Malavoglia devono lasciare la casa del nespolo che il sensale Piedipapera, a cui lo zio Crocifisso ha finto di vendere a credito, ha fatto pignorare dall'usciere giudiziario. E' una pagina di accorata tristezza : intorno ai Malavoglia si avverte la presenza dell'intero paese che contribuisce la particolare stato d'animo del vecchio padron 'Ntoni. Inoltre parecchie notazione a leggere attentamente ci si accorge che non sono di Verga : autore si è limitato a registrarle e a inserirle nella narrazione come una sorta di commento anonimo che riporta indirettamente le voci del paese
mercoledì 18 marzo 2020
Giovanni Verga
Giovanni Verga
Giovanni Verga (1840-1922) è il nostro grande prosatore della seconda metà dell'800. Nacque a Catania, dopo l'unità si trasferì a Firenze, allora capitale del regno, e quindi passò a Milano, dove più ricca ferveva la vita artistica e letteraria e dove I problemi sociali del paese erano più vivamente sentiti gli ultimi ventinove anni li trascorse nella città natale, dove morì dopo una vita sostanzialmente povera di avvenimenti esteriori amareggiato dalla incomprensione del pubblico e dei critici per la sua opera.
La sua esperienza letteraria fu ricca e molteplice. Iniziò con romanzi storici o languidamente sentimentali o ambientati nel mondo aristocratico frivolo e vuoto.
Maturatosi attraverso la lettura dei naturalisti francesi, trovò la sua vera via ispirandosi alla sua terra e alla sua gente, di cui conosceva il modo di vivere e di pensare I sentimenti le passioni e le sofferenze. Scrisse due raccolte di novelle, Vita nei campi ('80) e Novelle rusticane ('83) che descrivono personaggi semplici, povera gente della campagna, incatenati a una vita di stenti e di sacrifici accettati con rassegnazione come se si trattasse di leggi fatali contro cui è inutile ribellarsi. Di un progettato ciclo di romanzi intitolato "I vinti " perché con essi voleva dimostrare che gli uomini sono dei vinti dalla vita a qualunque ceto appartengano, Verga ne compose solo due I malavoglia ('81) e Mastro don Gesualdo ('89): il primo racconta la storia di una famiglia di poveri pescatori di Aci Trezza travolta da una serie di disavventure e di disgrazie che solo alla fine vede profilarsi la speranza di risollevarsi dalla malasorte il secondo narra la vita di un muratore che col lavoro e la tenacia si arricchisce e sale nella scala sociale ma finisce miseramente nel più completo isolamento e fallimento spirituale.
Il mondo verghiano è animato dal pi cupo pessimismo : la vita è una lotta nella quale si è destinati alla sconfitta malgrado l'intensità e la costanza dell'impegno che vi si mette. Ma la vera grande importanza dell'opera verghiana consiste nel linguaggio nello stile. Lo scrittore non racconta, ma lascia per così dire che le cose si raccontino da sè: la vicenda procede come vista e filtrata dalla coralità dei personaggi che la vivono ripensandola e commentandola con la propria esperienza e sensibilità. La lingua e la sintassi di Verga sono un'assoluta novità : la forte impronta dialettale dà particolare rilievo di autenticità e di verità a cose e persone, portandole in un certo senso alla luce dall'interno della coscienza dei protagonisti e di chi gli si muove attorno.
Le rimanenti opere narrative verghiane romanzi e novelle non sono ambientate in Sicilia me non hanno perspicuità e la grandezza delle quattro che abbiamo citato. Questo forse comprova quanto l'arte di Verga sia legata al linguaggio e alla terra d'origine.
Giovanni Verga (1840-1922) è il nostro grande prosatore della seconda metà dell'800. Nacque a Catania, dopo l'unità si trasferì a Firenze, allora capitale del regno, e quindi passò a Milano, dove più ricca ferveva la vita artistica e letteraria e dove I problemi sociali del paese erano più vivamente sentiti gli ultimi ventinove anni li trascorse nella città natale, dove morì dopo una vita sostanzialmente povera di avvenimenti esteriori amareggiato dalla incomprensione del pubblico e dei critici per la sua opera.
La sua esperienza letteraria fu ricca e molteplice. Iniziò con romanzi storici o languidamente sentimentali o ambientati nel mondo aristocratico frivolo e vuoto.
Maturatosi attraverso la lettura dei naturalisti francesi, trovò la sua vera via ispirandosi alla sua terra e alla sua gente, di cui conosceva il modo di vivere e di pensare I sentimenti le passioni e le sofferenze. Scrisse due raccolte di novelle, Vita nei campi ('80) e Novelle rusticane ('83) che descrivono personaggi semplici, povera gente della campagna, incatenati a una vita di stenti e di sacrifici accettati con rassegnazione come se si trattasse di leggi fatali contro cui è inutile ribellarsi. Di un progettato ciclo di romanzi intitolato "I vinti " perché con essi voleva dimostrare che gli uomini sono dei vinti dalla vita a qualunque ceto appartengano, Verga ne compose solo due I malavoglia ('81) e Mastro don Gesualdo ('89): il primo racconta la storia di una famiglia di poveri pescatori di Aci Trezza travolta da una serie di disavventure e di disgrazie che solo alla fine vede profilarsi la speranza di risollevarsi dalla malasorte il secondo narra la vita di un muratore che col lavoro e la tenacia si arricchisce e sale nella scala sociale ma finisce miseramente nel più completo isolamento e fallimento spirituale.
Il mondo verghiano è animato dal pi cupo pessimismo : la vita è una lotta nella quale si è destinati alla sconfitta malgrado l'intensità e la costanza dell'impegno che vi si mette. Ma la vera grande importanza dell'opera verghiana consiste nel linguaggio nello stile. Lo scrittore non racconta, ma lascia per così dire che le cose si raccontino da sè: la vicenda procede come vista e filtrata dalla coralità dei personaggi che la vivono ripensandola e commentandola con la propria esperienza e sensibilità. La lingua e la sintassi di Verga sono un'assoluta novità : la forte impronta dialettale dà particolare rilievo di autenticità e di verità a cose e persone, portandole in un certo senso alla luce dall'interno della coscienza dei protagonisti e di chi gli si muove attorno.
Le rimanenti opere narrative verghiane romanzi e novelle non sono ambientate in Sicilia me non hanno perspicuità e la grandezza delle quattro che abbiamo citato. Questo forse comprova quanto l'arte di Verga sia legata al linguaggio e alla terra d'origine.
martedì 5 dicembre 2017
Giovanni Verga
Giovanni Verga
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
venerdì 2 ottobre 2015
Stile del Mastro Dan Gesualdo
Tematiche, stile e poetica
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
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