la tragedia romantica del Manzoni e il coro
La tragedia Manzonian è un tipico esempio del teatro romantico: La tragedia classica trattava di argomenti mitologici e si fondava su tre unità di tempo, luogo e azione per avere I caratteri di verosimiglianza. Il romantico Manzoni invece ritiene che il teatro deve rispecchiare la realtà e perciò deve trattare argomenti storici non mitologici. La verosimiglianza poi deve essere tutta interiore e non limitarsi ai caratteri esterni degli eventi da rappresentare, deve calarsi nell'animo dei protagonisti ricostruendone dall'interno I sentimenti e comportamento. Questa del cuore umano e dei sentimenti è la verità che interessa ai romantici.
Caratteristica peculiare della tragedia manzoniana sono I cori, ripresi dalla tragedia greca dove però avevano altra funzione con I quali il poeta si riserva uno spazio per riflettere e meditare commentando situazioni e vicende : in questo modo i fatti si trasformano in problemi spirituali la storia diventa meditazione, gli accadimenti trapassano in momenti universali ed eterni della vita.
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martedì 14 maggio 2019
Il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni
il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni
E' la fine dell'atto terzo : I Franchi superate le chiuse di Susa irrompono nella pianura, inseguendo I Longobardi in fuga. Gli italiani contemplano la sconfitta dei loro padroni con animo stupito e sospeso : l'antica fierezza della nazione e le umiliazioni subite si mescolano alla nascente speranza della libertà. Ma il poeta raffredda I loro entusiasmi e li mette in guardi a: come possono sperare di avere la libertà dai Franchi? non per loro certo costoro hanno sopportato fatiche e pericoli : essi resteranno qui da padroni, e I poveri illusi dovranno servire a due popoli non solo ai longobardo ma anche ai nuovi signori che ai accorderanno con quelli.
Il coro ha un chiaro riferimento alla situazione politica dei primi anni del Risorgimento ( non si dimentichi che la tragedia fu scritta al tempo dei moti del 1821) : se gli italiani vorranno la libertà dovranno conquistarsela da soli colle proprie forze e con il proprio sacrificio.
In questi versi serpeggia un senso di amaro e doloroso della vita che non è certo felice per nessuno con profonda commozione e cristiana pietà il poeta si accosta tanto agli italiani, schiavi e ben presto delusi nelle speranze quanto ai longobardi ormai non più signori sprezzanti ma poveri genitori angosciati per la sorte dei figli, e ai Franchi costretti a riprendere le armi e a correre rischi mortali una inutile sciagura per I vinti I vincitori e spettatori innocenti.
E' la fine dell'atto terzo : I Franchi superate le chiuse di Susa irrompono nella pianura, inseguendo I Longobardi in fuga. Gli italiani contemplano la sconfitta dei loro padroni con animo stupito e sospeso : l'antica fierezza della nazione e le umiliazioni subite si mescolano alla nascente speranza della libertà. Ma il poeta raffredda I loro entusiasmi e li mette in guardi a: come possono sperare di avere la libertà dai Franchi? non per loro certo costoro hanno sopportato fatiche e pericoli : essi resteranno qui da padroni, e I poveri illusi dovranno servire a due popoli non solo ai longobardo ma anche ai nuovi signori che ai accorderanno con quelli.
Il coro ha un chiaro riferimento alla situazione politica dei primi anni del Risorgimento ( non si dimentichi che la tragedia fu scritta al tempo dei moti del 1821) : se gli italiani vorranno la libertà dovranno conquistarsela da soli colle proprie forze e con il proprio sacrificio.
In questi versi serpeggia un senso di amaro e doloroso della vita che non è certo felice per nessuno con profonda commozione e cristiana pietà il poeta si accosta tanto agli italiani, schiavi e ben presto delusi nelle speranze quanto ai longobardi ormai non più signori sprezzanti ma poveri genitori angosciati per la sorte dei figli, e ai Franchi costretti a riprendere le armi e a correre rischi mortali una inutile sciagura per I vinti I vincitori e spettatori innocenti.
lunedì 13 maggio 2019
la morte di Ermengarda - Manzoni
la morte di Ermengarda - Manzoni
a metà dell'atto IV il coro commenta la morte di Ermengarda, assopitasi in una pace dolce e serena nel convento di San Salvatore di Brescia, dopo un angoscioso delirio in cui è esploso il suo amore ancora intenso e non sopito per Carlo Magno, il marito che l'ha ripudiata . L'eco della guerra tra Franchi e Longobardi si placa per un momento di fronte alla morte che ha concluso nel silenzio e nella pace di un ritiro religioso il dramma terreno di una giovane infelice, sul cui doloroso destino il poeta si china pensoso e commosso a riflettere : legata per sempre a Carlo Magno nella solitudine di un chiostro ella chiedeva l'oblio, ma invano perchè I ricordi dei momenti più felici della sua vita coniugale le tornavano alla mente, tormentandola. Questa lotta durissima coi propri affetti redime nella sofferenza la giovane principessa; perché possa serenamente morire, è necessario che ella si innalzi dall'amore terreno all'amore celeste offrendo a Dio il proprio tormento. Soltanto la sofferenza redime : per quando ha patito Ermengarda non sarà ricordata con odio come gli altri Longobardi oppressori ma sarà invece compianta come tutte le vittime innocenti che ora riposano intorno a lei.
Il dolore è un dono della provvidenza perché permette di elevarsi sulle violenze e sulle ingiustizie della vita riscattando ogni colpa
a metà dell'atto IV il coro commenta la morte di Ermengarda, assopitasi in una pace dolce e serena nel convento di San Salvatore di Brescia, dopo un angoscioso delirio in cui è esploso il suo amore ancora intenso e non sopito per Carlo Magno, il marito che l'ha ripudiata . L'eco della guerra tra Franchi e Longobardi si placa per un momento di fronte alla morte che ha concluso nel silenzio e nella pace di un ritiro religioso il dramma terreno di una giovane infelice, sul cui doloroso destino il poeta si china pensoso e commosso a riflettere : legata per sempre a Carlo Magno nella solitudine di un chiostro ella chiedeva l'oblio, ma invano perchè I ricordi dei momenti più felici della sua vita coniugale le tornavano alla mente, tormentandola. Questa lotta durissima coi propri affetti redime nella sofferenza la giovane principessa; perché possa serenamente morire, è necessario che ella si innalzi dall'amore terreno all'amore celeste offrendo a Dio il proprio tormento. Soltanto la sofferenza redime : per quando ha patito Ermengarda non sarà ricordata con odio come gli altri Longobardi oppressori ma sarà invece compianta come tutte le vittime innocenti che ora riposano intorno a lei.
Il dolore è un dono della provvidenza perché permette di elevarsi sulle violenze e sulle ingiustizie della vita riscattando ogni colpa
domenica 12 maggio 2019
Adelchi - una tragedia romantica
Adelchi una tragedia romantica
La tragedia Adelchi scritta tra il 1820 e il 1822, rievoca gli ultimi anni del dominio longobardo in Italia (772-774) Desiderio decide di invadere el terre del papa al cui soccorso interviene il re dei Franchi Carlo Magno, che ha appena ripudiato la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio. Bloccato alle chiuse, Carlo sta per abbandonare l'impresa quando ili diacono Martino gli indica la strada per superare l'ostacolo e prendere alle spalle le truppe longobarde guidate da Adelchi, figlio di Desiderio. Quest'ultimo, tradito dai duchi sarà sconfitto e preso prigioniero mentre Ermengarda e Adelchi moriranno purificati e rasserenati dal dolore e dalle sofferenze.
E' una tragedia nella quale si esprime la spiritualità romantica e cristiana del Manzoni. Sullo sfondo di eventi storici fedelmente ricostruiti lo scrittore si cala nell'animo dei personaggi per comprenderne I travagli e I conflitti interiori : ma per tutti la realtà è sofferenza e dolore e la stessa storia è un susseguirsi di prepotenze e di soprusi dei più forti a danno dei più deboli. Un uguale destino di sofferenza e di delusione accumuna Adelchi ed Ermengarda e il popolo italiano ; però mentre da quella sofferenza ai due infelici principi verrà la redenzione e il riscatto, agli italiani l'arrivo dei franchi non porterà la sognata libertà ma una nuova schiavitù.
Su questo sconsolato mondo di dolore lo scrittore stende un velo di umana pietà e di cristiana compassione e un fermo incitamento a lottare per I propri ideali : in questo consiste la novità e la ricchezza del mondo spirituale e poetico del Manzoni fondato sui principi del cristianesimo e del romanticismo, su un sincero amore della libertà e dell'indipendenza nazionale e su un profondo interesse per la storia
la pentecoste - Alessandro Manzoni
la pentecoste - Alessandro Manzoni
E' il più famoso e più bello degli Inni Sacri : ebbe una lenta maturazione poetica dal 1817 al 1822. Il peccato degrada l'uomo e lo allontana da Dio con un distacco ora non più incolmabile perché a Dio può ricondurlo la Chiesa con la sua missione apostolica da quando lo Spirito Santo si è calato in essa per elargire attraverso di essa i suoi doni all'umanità. Dio vive nel cuore dell'uomo nelle sue gioie e nelle sue ansie, lo trasforma dall'interno, lo arma contro ogni difficoltà, gli dà infine la pace che addolcisce la morte in una serena e fiduciosa speranza.
L'inno può essere diviso in tre parti : nella prima, dopo una apostrofe alla Chiesa che ne sintetizza lo spirito e la missione, si tratteggia un atteggiamento degli Apostoli nei giorni della Passione e della Resurrezione, quando timorosi per la propria sorte, rimasero celati nascondendosi ai nemici; nella seconda si descrive la miracolosa calata dello Spirito Santo sugli Apostoli raccolti nel Cenacolo cinquanta giorni dopo la Resurrezione ( la parola pentecoste letteralmente significa cinquantesima giornata) l'inizio della predicazione e della diffusione del vangelo e l'avvento della nuova società cristiana rinnovatrice dell'umanità nell'ultima parte infine il poeta prega lo Spirito Santo perché continui a scendere sugli uomini per vivificarli e rinnovarli con la sua grazia.
E' il più famoso e più bello degli Inni Sacri : ebbe una lenta maturazione poetica dal 1817 al 1822. Il peccato degrada l'uomo e lo allontana da Dio con un distacco ora non più incolmabile perché a Dio può ricondurlo la Chiesa con la sua missione apostolica da quando lo Spirito Santo si è calato in essa per elargire attraverso di essa i suoi doni all'umanità. Dio vive nel cuore dell'uomo nelle sue gioie e nelle sue ansie, lo trasforma dall'interno, lo arma contro ogni difficoltà, gli dà infine la pace che addolcisce la morte in una serena e fiduciosa speranza.
L'inno può essere diviso in tre parti : nella prima, dopo una apostrofe alla Chiesa che ne sintetizza lo spirito e la missione, si tratteggia un atteggiamento degli Apostoli nei giorni della Passione e della Resurrezione, quando timorosi per la propria sorte, rimasero celati nascondendosi ai nemici; nella seconda si descrive la miracolosa calata dello Spirito Santo sugli Apostoli raccolti nel Cenacolo cinquanta giorni dopo la Resurrezione ( la parola pentecoste letteralmente significa cinquantesima giornata) l'inizio della predicazione e della diffusione del vangelo e l'avvento della nuova società cristiana rinnovatrice dell'umanità nell'ultima parte infine il poeta prega lo Spirito Santo perché continui a scendere sugli uomini per vivificarli e rinnovarli con la sua grazia.
L'Inno ha momenti liricamente indimenticabili soprattutto nelle strofe che descrivono il rinnovamento interiore portato dal cristianesimo e nella preghiera finale: nell'invocazione e nella preghiera allo Spirito Santo Manzoni si rivela commosso conoscitore dell'animo umano, delle sue ansie ma anche l'interiore libertà pace e serenità che la fede dà agli uomini
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LA PENTECOSTE
Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;
Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.
Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;
Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.
Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante
giovedì 9 maggio 2019
Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni nacque a Milano, da nobile famiglia nel 1785; la madre Giulia, era figlia di Cesare Beccaria, una delle figure più importanti del mondo culturale settecentesco italiano ed europeo, autore del famosissimo "Dei delitti e delle pene " contro la tortura e la pena di morte. Ancora giovinetto., Alessandro, pur educato in collegi religiosi, respirò il clima della rivoluzione francese, inneggiando alla libertà e avversando ogni forma di tirannide. A Milano, liberata dai francesi e divenuta capitale della Repubblica Cisalpina, confluivano I più begli ingegni del tempo, scrittori e patrioti provenienti da ogni parte d'Italia : la loro conoscenza giovò moltissimo sulla formazione culturale e spirituale del giovane, ma in lui fu determinante il bisogno di una salda coscienza morale, quale gli perveniva soprattutto dalla vita esemplare e dall'opera poetica di Giuseppe Parini , morto proprio in quegli anni, acre sferzatore di ogni forma di corruzione.
A vent'anni si recò a Parigi , raggiungendo la madre che si era separata dal marito. Qui frequentò un circolo di studiosi aperti alle nuove idee letterarie che cominciavano a circolare in Europa; sempre a Parigi maturò lentamente il ritorno alla religione, da cui si era frattanto allontanato. Per la sua conversione fu determinante la forte e dolce personalità della moglie. Enrichetta Blondel, una calvinista passata al cattolicesimo. La conversione religiosa fu per Manzoni una riconferma di quei valori spirituali, la libertà l'uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini, che la Rivoluzione francese gli aveva insegnato e che egli sentì anzitutto come dovere della coscienza sorretta e rinvigorita dalla fede in Dio, prima ancora che come impegno civile, sociale e politico di giustizia terrena. Le convinzioni politiche e religiose lo portarono così ad un calore umano, ad uno spirito di carità e di profonda partecipazione alle sofferenze e alle speranze del popolo, dei cui sentimenti si fece interprete per naturale disposizione dell'animo : per conseguenza fu dunque un romantico. Per lui il romanticismo fu anzitutto bisogno di capire e amare gli uomini di leggere nei loro cuori di metterne a nudo i dolori e le gioie le aspirazioni e le delusioni.
Condivise sol popolo italiano l'amore per la libertà e per l'indipendenza nazionale. Anche se per naturale ritrosia non volle mai mettersi in evidenza, tenne le fila del movimento romantico milanese di cui fu subito riconosciuto il principale rappresentante. Allo stesso modo, non nascose la propria fede politica, ma la espresse chiaramente nelle sue opere e nei pochi gesti ufficiali che compì, come per esempio quando accettò la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia, apertamente condannato dalla Chiesa. Il suo cattolicesimo non gli impedì infatti di partecipare agli ideali del Risorgimento, anzi egli fu una delle personalità più autorevoli del pensiero neo-guelfo e del cattolicesimo liberale.
Dalla conversione in poi la vita del Manzoni fu povera di avvenimenti, ma ricca di opere e di meditazione interiore : lo scrittore visse quasi sempre a Milano, ritirato, ma pur sempre presente alle più importanti vicende letterarie e politiche del paese. Poi morì nel 1873.
Le sue opere principali opere sono : gli Inni sacri (1812-22), celebrazione delle più importanti feste liturgiche (La Resurrezione, il Natale, La Passione, la Pentecoste), le due tragedie storiche Il Conte di Carmagnola ('16) e Adelchi ('22), le due odi Marzo 1821 e Cinque Maggio scritte nel 1821 in occasione rispettivamente di moti carbonari e della morte di Napoleone e il romanzo I Promessi Sposi inizianto nel '023 pubblicato per la prima volta nel'27 e nella stesura definitiva nel '40 - '42 dopo una lunga opera di revisione stilistica , e che è giustamente considerato il capolavoro suo della nostra narrativa romantica.
I promessi sposi sono un romanzo storico ambientato nella Lombardia del Seicento, nel quale, attraverso le vicende dei due poveri giovani, Renzo e Lucia, sullo sfondo di guerre, soprusi e sofferenze fisiche e spirituali ( la calata dei Lanzichenecchi, la carestia, la peste ) Manzoni rappresenta l'eterna vicenda della vita in cui prevalgono le ingiustizie e dolori; di fronte ai mali però bisogna resistere e lottare fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza. Il romanzo si trasforma in un'epopea storico-religiosa che nella profondità della sua umanissima ispirazione celebra l'amore per il prossimo e la fede in Dio da cui la vita riceve senso e valore
Alessandro Manzoni nacque a Milano, da nobile famiglia nel 1785; la madre Giulia, era figlia di Cesare Beccaria, una delle figure più importanti del mondo culturale settecentesco italiano ed europeo, autore del famosissimo "Dei delitti e delle pene " contro la tortura e la pena di morte. Ancora giovinetto., Alessandro, pur educato in collegi religiosi, respirò il clima della rivoluzione francese, inneggiando alla libertà e avversando ogni forma di tirannide. A Milano, liberata dai francesi e divenuta capitale della Repubblica Cisalpina, confluivano I più begli ingegni del tempo, scrittori e patrioti provenienti da ogni parte d'Italia : la loro conoscenza giovò moltissimo sulla formazione culturale e spirituale del giovane, ma in lui fu determinante il bisogno di una salda coscienza morale, quale gli perveniva soprattutto dalla vita esemplare e dall'opera poetica di Giuseppe Parini , morto proprio in quegli anni, acre sferzatore di ogni forma di corruzione.
A vent'anni si recò a Parigi , raggiungendo la madre che si era separata dal marito. Qui frequentò un circolo di studiosi aperti alle nuove idee letterarie che cominciavano a circolare in Europa; sempre a Parigi maturò lentamente il ritorno alla religione, da cui si era frattanto allontanato. Per la sua conversione fu determinante la forte e dolce personalità della moglie. Enrichetta Blondel, una calvinista passata al cattolicesimo. La conversione religiosa fu per Manzoni una riconferma di quei valori spirituali, la libertà l'uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini, che la Rivoluzione francese gli aveva insegnato e che egli sentì anzitutto come dovere della coscienza sorretta e rinvigorita dalla fede in Dio, prima ancora che come impegno civile, sociale e politico di giustizia terrena. Le convinzioni politiche e religiose lo portarono così ad un calore umano, ad uno spirito di carità e di profonda partecipazione alle sofferenze e alle speranze del popolo, dei cui sentimenti si fece interprete per naturale disposizione dell'animo : per conseguenza fu dunque un romantico. Per lui il romanticismo fu anzitutto bisogno di capire e amare gli uomini di leggere nei loro cuori di metterne a nudo i dolori e le gioie le aspirazioni e le delusioni.
Condivise sol popolo italiano l'amore per la libertà e per l'indipendenza nazionale. Anche se per naturale ritrosia non volle mai mettersi in evidenza, tenne le fila del movimento romantico milanese di cui fu subito riconosciuto il principale rappresentante. Allo stesso modo, non nascose la propria fede politica, ma la espresse chiaramente nelle sue opere e nei pochi gesti ufficiali che compì, come per esempio quando accettò la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia, apertamente condannato dalla Chiesa. Il suo cattolicesimo non gli impedì infatti di partecipare agli ideali del Risorgimento, anzi egli fu una delle personalità più autorevoli del pensiero neo-guelfo e del cattolicesimo liberale.
Dalla conversione in poi la vita del Manzoni fu povera di avvenimenti, ma ricca di opere e di meditazione interiore : lo scrittore visse quasi sempre a Milano, ritirato, ma pur sempre presente alle più importanti vicende letterarie e politiche del paese. Poi morì nel 1873.
Le sue opere principali opere sono : gli Inni sacri (1812-22), celebrazione delle più importanti feste liturgiche (La Resurrezione, il Natale, La Passione, la Pentecoste), le due tragedie storiche Il Conte di Carmagnola ('16) e Adelchi ('22), le due odi Marzo 1821 e Cinque Maggio scritte nel 1821 in occasione rispettivamente di moti carbonari e della morte di Napoleone e il romanzo I Promessi Sposi inizianto nel '023 pubblicato per la prima volta nel'27 e nella stesura definitiva nel '40 - '42 dopo una lunga opera di revisione stilistica , e che è giustamente considerato il capolavoro suo della nostra narrativa romantica.
I promessi sposi sono un romanzo storico ambientato nella Lombardia del Seicento, nel quale, attraverso le vicende dei due poveri giovani, Renzo e Lucia, sullo sfondo di guerre, soprusi e sofferenze fisiche e spirituali ( la calata dei Lanzichenecchi, la carestia, la peste ) Manzoni rappresenta l'eterna vicenda della vita in cui prevalgono le ingiustizie e dolori; di fronte ai mali però bisogna resistere e lottare fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza. Il romanzo si trasforma in un'epopea storico-religiosa che nella profondità della sua umanissima ispirazione celebra l'amore per il prossimo e la fede in Dio da cui la vita riceve senso e valore
giovedì 27 settembre 2018
il cinque maggio - Manzoni
il cinque maggio - Manzoni
La morte di Napoleone riportò alla mente di tutti le imprese dell'imperatore e riaccese le polemiche tra chi ne proclamava la grandezza e chi ne infangava la memoria. Napoleone non è più: attonito commosso il mondo pensa alla sua ultima ora e si domanderà se nascerà uno spirito altrettanto grande. Il poeta che ne ha seguito le alterne vicende della vita senza unire la sua alle mille voci ora servilmente plaudenti ora codardamente oltraggiose, di fronte alla morte prova un'intensa commozione ed innalza sulla sua tomba un inno forse immortale. La sua ispirazione non è politica ma intensamente religiosa : i posteri giudicheranno le imprese e la gloria di Napoleone egli invece si limita a chinarsi a Dio che volle stampare nello spirito di Napoleone un'orma così grande della sua potenza.
Il suo destino infatti non fu comune; egli provò tutto : raggiunse l'inebriante potenza e soffrì il più squallido esilio. Di tutta la vicenda napoleonica l'umanissima sensibilità del poeta, che con cristiana pietà si accosta a chi soffre, si sofferma a considerare non il momento della gloria ma il periodo della desolazione nella solitudine di Sant'Elena: la sofferenza che riscatta ogni colpa risveglia il nostro spirito di carità e ci induce a meditare sul destino umano e sulla invisibile presenza di Dio che governa ogni cosa.
Nel silenzio e nell'abbandono di sant'Elena Napoleone trovò la fede: il confronto tra l'esaltante passato e il desolato presente lo avrebbe gettato nella disperazione se il pensiero di Dio non lo avesse consolato aprendogli il cuore: le cose della terra e le sue effimere glorie perdono valore di fronte al cielo perché solo in esso riposa una vera e sicura speranza. Così Dio scese a confortare Napoleone morente ormai purificato dalla sofferenza e redento dal dolore. Alla sua tomba dunque gli uomini devono rivolgersi con cristiano pensiero di rispetto e di meditazione.
Dalla umana e terrena vicenda napoleonica esce vittoriosa la Fede trionfatrice sulle glorie e sui dolori tanto degli uomini comuni quando di quelli spiritualmente più ricchi e perciò più soggetti secondo il pensiero romantico all'esaltazione e all'abbattimento.
ode.
Nella lirica manzoniana si contrappongono due interpretazioni della figura di Napoleone : come mito romantico di personalità d'eccezione e come testimonianza della concezione cristiana della storia.
Ci troviamo di fronte ad un momento epico e ad un momento riflessivo che di diversificano anche sul piano stilistico.
Il momento epico appare scandito anzitutto da alcuni usi verbali che si ripetono in successione : l'Ei fu iniziale è ripreso da tutto Ei provò Ei si nomò ecc.
Intorno a questa linea si dispongono altre strutture ricorrenti : le sequenze di asindeti da cui sono collegate le serie incalzanti delle imprese ( Dall'Alpi alle piramidi ) la frequenza di costruzioni per iperbato ( Lui folgorante in solio ) le contrapposizioni ( la fuga e la vittoria )
IL punto di svolta dell'ode il passaggio dal momento epico a quello riflessivo è segnato da una variazione dell'uso verbale fondamentale : E sparve e i dì dell'ozio ... d'ora in poi ei scomparve dall'ode, Napoleone cessa di essere il gigante che incombeva su tutta la storia umana diventa figura elegiaca colta nella sua interiorità ( stette ......; e ripensò ..... ; cadde lo spirto anelo e disperò). E dopo l'annuncio sparve, a segnare una pausa di stacco tra il tmepo incalzante delle vicende epiche e quello fermo della meditazione si colloca l'unica ampia similitudine come sul capo al naufrago ...
La morte di Napoleone riportò alla mente di tutti le imprese dell'imperatore e riaccese le polemiche tra chi ne proclamava la grandezza e chi ne infangava la memoria. Napoleone non è più: attonito commosso il mondo pensa alla sua ultima ora e si domanderà se nascerà uno spirito altrettanto grande. Il poeta che ne ha seguito le alterne vicende della vita senza unire la sua alle mille voci ora servilmente plaudenti ora codardamente oltraggiose, di fronte alla morte prova un'intensa commozione ed innalza sulla sua tomba un inno forse immortale. La sua ispirazione non è politica ma intensamente religiosa : i posteri giudicheranno le imprese e la gloria di Napoleone egli invece si limita a chinarsi a Dio che volle stampare nello spirito di Napoleone un'orma così grande della sua potenza.
Il suo destino infatti non fu comune; egli provò tutto : raggiunse l'inebriante potenza e soffrì il più squallido esilio. Di tutta la vicenda napoleonica l'umanissima sensibilità del poeta, che con cristiana pietà si accosta a chi soffre, si sofferma a considerare non il momento della gloria ma il periodo della desolazione nella solitudine di Sant'Elena: la sofferenza che riscatta ogni colpa risveglia il nostro spirito di carità e ci induce a meditare sul destino umano e sulla invisibile presenza di Dio che governa ogni cosa.
Nel silenzio e nell'abbandono di sant'Elena Napoleone trovò la fede: il confronto tra l'esaltante passato e il desolato presente lo avrebbe gettato nella disperazione se il pensiero di Dio non lo avesse consolato aprendogli il cuore: le cose della terra e le sue effimere glorie perdono valore di fronte al cielo perché solo in esso riposa una vera e sicura speranza. Così Dio scese a confortare Napoleone morente ormai purificato dalla sofferenza e redento dal dolore. Alla sua tomba dunque gli uomini devono rivolgersi con cristiano pensiero di rispetto e di meditazione.
Dalla umana e terrena vicenda napoleonica esce vittoriosa la Fede trionfatrice sulle glorie e sui dolori tanto degli uomini comuni quando di quelli spiritualmente più ricchi e perciò più soggetti secondo il pensiero romantico all'esaltazione e all'abbattimento.
IL CINQUE MAGGIO
ode.
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita 5
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale10
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,15
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,20
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,25
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.30
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito35
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,45
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.60
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere65
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;90
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre95
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,105
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.108
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita 5
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale10
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,15
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,20
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,25
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.30
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito35
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,45
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.60
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere65
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;90
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre95
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,105
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.108
Nella lirica manzoniana si contrappongono due interpretazioni della figura di Napoleone : come mito romantico di personalità d'eccezione e come testimonianza della concezione cristiana della storia.
Ci troviamo di fronte ad un momento epico e ad un momento riflessivo che di diversificano anche sul piano stilistico.
Il momento epico appare scandito anzitutto da alcuni usi verbali che si ripetono in successione : l'Ei fu iniziale è ripreso da tutto Ei provò Ei si nomò ecc.
Intorno a questa linea si dispongono altre strutture ricorrenti : le sequenze di asindeti da cui sono collegate le serie incalzanti delle imprese ( Dall'Alpi alle piramidi ) la frequenza di costruzioni per iperbato ( Lui folgorante in solio ) le contrapposizioni ( la fuga e la vittoria )
IL punto di svolta dell'ode il passaggio dal momento epico a quello riflessivo è segnato da una variazione dell'uso verbale fondamentale : E sparve e i dì dell'ozio ... d'ora in poi ei scomparve dall'ode, Napoleone cessa di essere il gigante che incombeva su tutta la storia umana diventa figura elegiaca colta nella sua interiorità ( stette ......; e ripensò ..... ; cadde lo spirto anelo e disperò). E dopo l'annuncio sparve, a segnare una pausa di stacco tra il tmepo incalzante delle vicende epiche e quello fermo della meditazione si colloca l'unica ampia similitudine come sul capo al naufrago ...
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