Stendhal
Stendhal pseudonimo di Henri Beyle (1783-1842) , nato a Grenoble seguì con entusiasmo l'armata napoleonica in Italia che poi elesse a sua patria di elezione: qui infatti, a Milano, rimase alla caduta dell'imperatore, avendo contatti con i circoli romantici e con i gruppi carbonari. Dopo l'accento di Luigi Filippo fu nominato console francese a Civitavecchia. Morì a Parigi. Cronologicamente e culturalmente egli appartiene al romanticismo, ma il suo è un romanticismo fortemente storicistico e progressivo di derivazione apertamente illuministica. Stendhal è considerato il fondatore del moderno realismo: infatti rappresenta l'uomo all'interno della società che ne condiziona le idee e le passioni. Affascinato dal periodo eroico della rivoluzione e dell'impero sdegnò i meschini interessi e i giochi di potere del periodo successivo, che condannò apertamente. I suoi romanzi più famosi sono Il rosso e il nero (1830) e La Certosa di Parma.
L'atteggiamento realistico di fronte alla realtà si manifesta nel linguaggio che rifiuta il lirismo e ma magniloquenza del romanticismo alla Chateaubriand e alla Hugo per attenersi a una singolare sobrietà e imparzialità nella descrizione delle vicende e dei sentimenti: ne deriva una sorta di esattezza impersonale, di tipo cronachistico da codice civile come egli paradossalmente definì il proprio stile.
Per questo motivo Stendhal ai suoi tempi non fu compreso ma influenzò grandi scrittori realistici come Balzac e Tolstoj possiamo dunque collocarlo a metà strada tra romanticismo e realismo.
Translate
lunedì 1 ottobre 2018
venerdì 28 settembre 2018
il mito di Napoleone nell'età della restaurazione
il mito di Napoleone nell'età della restaurazione
I giovani nati al tempo della rivoluzione o di Napoleone furono gli spiriti che maggiormente patirono l'età della restaurazione : per loro l'Imperatore restava un mito abbagliante di cui si dovevano accontentare di ricevere una luce riflessa attraverso i ricordi e i racconti dei genitori. Una luminosa stagione di gloria li aveva sfiorati, ma non raggiunti, e perciò più grande era la delusione che provavano e insieme l'insoddisfazione che li angosciava. Il presente ai loro occhi si presentava piatto e mortificante, non aveva per i loro cuori nessuna attrattiva non offriva né ideali né sogni né speranze gettandoli nel vuoto opaco della malinconia e della noia : la malattia romantica comincia a insinuarsi negli spiriti più sensibili e a tormentarli. Ma l'assenza degli ideali può spingere gli spiriti desiderosi di affermarsi ad agire senza scrupoli adattandosi al mutamento dei tempi in una società avida di successo e di guadagni.
Stendhal e De Musset ci hanno lasciato pagine indimenticabili in cui si riflette lo stato d'animo con cui il mito di Napoleone è rivissuto nel periodo della restaurazione : ma mentre Stendhal nato nel 1783 aveva preso parte alle campagne d'Italia e di Russia, il più giovane De Musset del 1810, appartiene per formazione ed esperienza diretta ad un periodo culturale e politico successivo. Di qui il diverso atteggiamento dei due scrittori.
I giovani nati al tempo della rivoluzione o di Napoleone furono gli spiriti che maggiormente patirono l'età della restaurazione : per loro l'Imperatore restava un mito abbagliante di cui si dovevano accontentare di ricevere una luce riflessa attraverso i ricordi e i racconti dei genitori. Una luminosa stagione di gloria li aveva sfiorati, ma non raggiunti, e perciò più grande era la delusione che provavano e insieme l'insoddisfazione che li angosciava. Il presente ai loro occhi si presentava piatto e mortificante, non aveva per i loro cuori nessuna attrattiva non offriva né ideali né sogni né speranze gettandoli nel vuoto opaco della malinconia e della noia : la malattia romantica comincia a insinuarsi negli spiriti più sensibili e a tormentarli. Ma l'assenza degli ideali può spingere gli spiriti desiderosi di affermarsi ad agire senza scrupoli adattandosi al mutamento dei tempi in una società avida di successo e di guadagni.
Stendhal e De Musset ci hanno lasciato pagine indimenticabili in cui si riflette lo stato d'animo con cui il mito di Napoleone è rivissuto nel periodo della restaurazione : ma mentre Stendhal nato nel 1783 aveva preso parte alle campagne d'Italia e di Russia, il più giovane De Musset del 1810, appartiene per formazione ed esperienza diretta ad un periodo culturale e politico successivo. Di qui il diverso atteggiamento dei due scrittori.
giovedì 27 settembre 2018
il cinque maggio - Manzoni
il cinque maggio - Manzoni
La morte di Napoleone riportò alla mente di tutti le imprese dell'imperatore e riaccese le polemiche tra chi ne proclamava la grandezza e chi ne infangava la memoria. Napoleone non è più: attonito commosso il mondo pensa alla sua ultima ora e si domanderà se nascerà uno spirito altrettanto grande. Il poeta che ne ha seguito le alterne vicende della vita senza unire la sua alle mille voci ora servilmente plaudenti ora codardamente oltraggiose, di fronte alla morte prova un'intensa commozione ed innalza sulla sua tomba un inno forse immortale. La sua ispirazione non è politica ma intensamente religiosa : i posteri giudicheranno le imprese e la gloria di Napoleone egli invece si limita a chinarsi a Dio che volle stampare nello spirito di Napoleone un'orma così grande della sua potenza.
Il suo destino infatti non fu comune; egli provò tutto : raggiunse l'inebriante potenza e soffrì il più squallido esilio. Di tutta la vicenda napoleonica l'umanissima sensibilità del poeta, che con cristiana pietà si accosta a chi soffre, si sofferma a considerare non il momento della gloria ma il periodo della desolazione nella solitudine di Sant'Elena: la sofferenza che riscatta ogni colpa risveglia il nostro spirito di carità e ci induce a meditare sul destino umano e sulla invisibile presenza di Dio che governa ogni cosa.
Nel silenzio e nell'abbandono di sant'Elena Napoleone trovò la fede: il confronto tra l'esaltante passato e il desolato presente lo avrebbe gettato nella disperazione se il pensiero di Dio non lo avesse consolato aprendogli il cuore: le cose della terra e le sue effimere glorie perdono valore di fronte al cielo perché solo in esso riposa una vera e sicura speranza. Così Dio scese a confortare Napoleone morente ormai purificato dalla sofferenza e redento dal dolore. Alla sua tomba dunque gli uomini devono rivolgersi con cristiano pensiero di rispetto e di meditazione.
Dalla umana e terrena vicenda napoleonica esce vittoriosa la Fede trionfatrice sulle glorie e sui dolori tanto degli uomini comuni quando di quelli spiritualmente più ricchi e perciò più soggetti secondo il pensiero romantico all'esaltazione e all'abbattimento.
ode.
Nella lirica manzoniana si contrappongono due interpretazioni della figura di Napoleone : come mito romantico di personalità d'eccezione e come testimonianza della concezione cristiana della storia.
Ci troviamo di fronte ad un momento epico e ad un momento riflessivo che di diversificano anche sul piano stilistico.
Il momento epico appare scandito anzitutto da alcuni usi verbali che si ripetono in successione : l'Ei fu iniziale è ripreso da tutto Ei provò Ei si nomò ecc.
Intorno a questa linea si dispongono altre strutture ricorrenti : le sequenze di asindeti da cui sono collegate le serie incalzanti delle imprese ( Dall'Alpi alle piramidi ) la frequenza di costruzioni per iperbato ( Lui folgorante in solio ) le contrapposizioni ( la fuga e la vittoria )
IL punto di svolta dell'ode il passaggio dal momento epico a quello riflessivo è segnato da una variazione dell'uso verbale fondamentale : E sparve e i dì dell'ozio ... d'ora in poi ei scomparve dall'ode, Napoleone cessa di essere il gigante che incombeva su tutta la storia umana diventa figura elegiaca colta nella sua interiorità ( stette ......; e ripensò ..... ; cadde lo spirto anelo e disperò). E dopo l'annuncio sparve, a segnare una pausa di stacco tra il tmepo incalzante delle vicende epiche e quello fermo della meditazione si colloca l'unica ampia similitudine come sul capo al naufrago ...
La morte di Napoleone riportò alla mente di tutti le imprese dell'imperatore e riaccese le polemiche tra chi ne proclamava la grandezza e chi ne infangava la memoria. Napoleone non è più: attonito commosso il mondo pensa alla sua ultima ora e si domanderà se nascerà uno spirito altrettanto grande. Il poeta che ne ha seguito le alterne vicende della vita senza unire la sua alle mille voci ora servilmente plaudenti ora codardamente oltraggiose, di fronte alla morte prova un'intensa commozione ed innalza sulla sua tomba un inno forse immortale. La sua ispirazione non è politica ma intensamente religiosa : i posteri giudicheranno le imprese e la gloria di Napoleone egli invece si limita a chinarsi a Dio che volle stampare nello spirito di Napoleone un'orma così grande della sua potenza.
Il suo destino infatti non fu comune; egli provò tutto : raggiunse l'inebriante potenza e soffrì il più squallido esilio. Di tutta la vicenda napoleonica l'umanissima sensibilità del poeta, che con cristiana pietà si accosta a chi soffre, si sofferma a considerare non il momento della gloria ma il periodo della desolazione nella solitudine di Sant'Elena: la sofferenza che riscatta ogni colpa risveglia il nostro spirito di carità e ci induce a meditare sul destino umano e sulla invisibile presenza di Dio che governa ogni cosa.
Nel silenzio e nell'abbandono di sant'Elena Napoleone trovò la fede: il confronto tra l'esaltante passato e il desolato presente lo avrebbe gettato nella disperazione se il pensiero di Dio non lo avesse consolato aprendogli il cuore: le cose della terra e le sue effimere glorie perdono valore di fronte al cielo perché solo in esso riposa una vera e sicura speranza. Così Dio scese a confortare Napoleone morente ormai purificato dalla sofferenza e redento dal dolore. Alla sua tomba dunque gli uomini devono rivolgersi con cristiano pensiero di rispetto e di meditazione.
Dalla umana e terrena vicenda napoleonica esce vittoriosa la Fede trionfatrice sulle glorie e sui dolori tanto degli uomini comuni quando di quelli spiritualmente più ricchi e perciò più soggetti secondo il pensiero romantico all'esaltazione e all'abbattimento.
IL CINQUE MAGGIO
ode.
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita 5
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale10
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,15
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,20
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,25
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.30
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito35
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,45
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.60
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere65
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;90
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre95
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,105
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.108
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita 5
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale10
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,15
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,20
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,25
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.30
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito35
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,45
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.60
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere65
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;90
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre95
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,105
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.108
Nella lirica manzoniana si contrappongono due interpretazioni della figura di Napoleone : come mito romantico di personalità d'eccezione e come testimonianza della concezione cristiana della storia.
Ci troviamo di fronte ad un momento epico e ad un momento riflessivo che di diversificano anche sul piano stilistico.
Il momento epico appare scandito anzitutto da alcuni usi verbali che si ripetono in successione : l'Ei fu iniziale è ripreso da tutto Ei provò Ei si nomò ecc.
Intorno a questa linea si dispongono altre strutture ricorrenti : le sequenze di asindeti da cui sono collegate le serie incalzanti delle imprese ( Dall'Alpi alle piramidi ) la frequenza di costruzioni per iperbato ( Lui folgorante in solio ) le contrapposizioni ( la fuga e la vittoria )
IL punto di svolta dell'ode il passaggio dal momento epico a quello riflessivo è segnato da una variazione dell'uso verbale fondamentale : E sparve e i dì dell'ozio ... d'ora in poi ei scomparve dall'ode, Napoleone cessa di essere il gigante che incombeva su tutta la storia umana diventa figura elegiaca colta nella sua interiorità ( stette ......; e ripensò ..... ; cadde lo spirto anelo e disperò). E dopo l'annuncio sparve, a segnare una pausa di stacco tra il tmepo incalzante delle vicende epiche e quello fermo della meditazione si colloca l'unica ampia similitudine come sul capo al naufrago ...
il giovine eroe - Foscolo
il giovine eroe - Foscolo
L'entusiasmo di Foscolo per Napoleone venne meno dopo il trattato di Campoformio. Nel 1799 il poeta ripubblicò l'ode Bonaparte liberatore premettendole una lettera nella quale esortava Napoleone a non dimenticarsi la libertà che aveva portato ai popoli e a meditare che, se l'avesse tradita per diventare un tiranno, il suo nome sarebbe infamato per l'eternità.
Il tormento per la passione politica delusa, anima, come si è visto le Ultime lettere di Jacopo Ortis : in esse si può leggere la pagina ferocemente antinapoleonica che riproduciamo.
Nella lettera del 17 marzo 1798 Jacopo sfoga con asprezza il suo sdegno contro Napoleone. Molti si fidano ancora di lui, ma non Jacopo, cioè Foscolo, il quale non può non diffidare di chi ha rivelato animo volgare e crudele, ha deluso con vile astuzia le speranze dei patrioti , ha sottoscritto una costituzione democratica per Venezia pur avendo già ceduto la città agli Austriaci. Le leggi egoistiche della politica hanno ormai abituato gli uomini ai vergognosi trattati che vendono i popoli come se fossero branchi di pecore, ma questo pensiero non può consolare che ha preso la patria e ne piange il turpe tradimento. Non si dica che Napoleone è italiano di origine e quindi un giorno aiuterà la sua terra : Napoleone è un tiranno e i tiranni non hanno patria.
E' una pagina ferma e polemicamente efficace, ispirata da una sincera passione politica, da un dolente amor patrio e da un profondo risentimento morale.
"Moltissimi intanto si fidano nel Giovin Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io da un animo basso e crudele, non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace ? Sì basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta generosa ferocia ? Selim I che fece scannare sul Nilo trenta mila guerrieri Circassi arresisi alla sua fede, e Nadir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento mila indiani, sono più atroci bensì meno spregevoli. Vidi con gli occhi miei una costituzione democratica postillata dal Giovin Eroe, postillata di mano sua, e mandata da Passeriano a Venezia perché l'accettasse; e il trattato di Campoformio era già più giorni firmato e Venezia era trafficata, e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tutti ha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni e d'esili. - Non accuso la ragion di stato che vende, come branchi di pecore, le nazioni : così fu sempre, e così sarà : piango la patria mia,
che mi fu tolta e il modo ancor m'offende
- Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria : altri sel creda; io risposi e risponderò sempre :
- la Natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria; e non l'ha.
L'entusiasmo di Foscolo per Napoleone venne meno dopo il trattato di Campoformio. Nel 1799 il poeta ripubblicò l'ode Bonaparte liberatore premettendole una lettera nella quale esortava Napoleone a non dimenticarsi la libertà che aveva portato ai popoli e a meditare che, se l'avesse tradita per diventare un tiranno, il suo nome sarebbe infamato per l'eternità.
Il tormento per la passione politica delusa, anima, come si è visto le Ultime lettere di Jacopo Ortis : in esse si può leggere la pagina ferocemente antinapoleonica che riproduciamo.
Nella lettera del 17 marzo 1798 Jacopo sfoga con asprezza il suo sdegno contro Napoleone. Molti si fidano ancora di lui, ma non Jacopo, cioè Foscolo, il quale non può non diffidare di chi ha rivelato animo volgare e crudele, ha deluso con vile astuzia le speranze dei patrioti , ha sottoscritto una costituzione democratica per Venezia pur avendo già ceduto la città agli Austriaci. Le leggi egoistiche della politica hanno ormai abituato gli uomini ai vergognosi trattati che vendono i popoli come se fossero branchi di pecore, ma questo pensiero non può consolare che ha preso la patria e ne piange il turpe tradimento. Non si dica che Napoleone è italiano di origine e quindi un giorno aiuterà la sua terra : Napoleone è un tiranno e i tiranni non hanno patria.
E' una pagina ferma e polemicamente efficace, ispirata da una sincera passione politica, da un dolente amor patrio e da un profondo risentimento morale.
"Moltissimi intanto si fidano nel Giovin Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io da un animo basso e crudele, non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace ? Sì basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta generosa ferocia ? Selim I che fece scannare sul Nilo trenta mila guerrieri Circassi arresisi alla sua fede, e Nadir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento mila indiani, sono più atroci bensì meno spregevoli. Vidi con gli occhi miei una costituzione democratica postillata dal Giovin Eroe, postillata di mano sua, e mandata da Passeriano a Venezia perché l'accettasse; e il trattato di Campoformio era già più giorni firmato e Venezia era trafficata, e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tutti ha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni e d'esili. - Non accuso la ragion di stato che vende, come branchi di pecore, le nazioni : così fu sempre, e così sarà : piango la patria mia,
che mi fu tolta e il modo ancor m'offende
- Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria : altri sel creda; io risposi e risponderò sempre :
- la Natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria; e non l'ha.
mercoledì 26 settembre 2018
Bonaparte liberatore - Foscolo
Bona parte liberatore - Foscolo
I versi di Foscolo tratti dall'ode Bonaparte liberatore scritta nel maggio del 1797 e stampata a pubbliche spese per decreto della Giunta di difesa generale della Repubblica cispadana come ricorda l'autore, nell'atmosfera ardente di entusiasmo suscitato dalle strepitose vittorie di Napoleone che con la sua prima campagna in Italia sbaragliò l'esercito sardo costrinse alla resa l'imperatore e dette vita alla Cispadana e ad altre repubbliche democratiche a imitazione della repubblica francese.
In questo periodo e in questa lirica Napoleone appare il campione della libertà contro la tirannide. L'ode esaltazione nello stesso tempo della libertà e di Napoleone ha una struttura nel gusto neoclassico del tempo e riflette la formazione letteraria del poeta.
Dall'ode piuttosto lunga e pesante riportiamo pochi versi quelli nei quali la raffigurazione di Napoleone, malgrado l'apparato retorico completamente estraneo al nostro gusto e alla nostra sensibilità, rivela pienamente l'entusiasmo e l'adesione del giovane Foscolo fremente di sincero ardore di libertà per essa come sappiamo ha già dovuto esulare dall'amata Venezia e allontanarsi dalla adorata madre e dagli amici. Per comprendere meglio il testo si ricordi che nell'ode il poeta si rivolge direttamente alla libertà.
BONAPARTE LIBERATORE
[...]
E guerrier veggo di fiorente alloro
Cinto le bionde chiome
Su cui purpuree tremolando vanno
Candide azzurre piume; egli al tuo nome
Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
Senno de' suoi corsier governa il morso
Ardir li 'ncalza e de' marziali il coro
Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno
In aer librate con perpetuo corso
Sorte, Vittoria, e Fama.
[...]
Deh ! mira, come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace
Per disperazion fatta secura :
E furor matto e improvida paura
Le movi intorno di rapace guerra ? [...]
Ma tu, feroce Dea, non badi e passi
E a tuon de' bronzi e al fuminar tremendo
E a l'ululo guerrier perndonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
Del tuo giovin Campion splende la lancia;
Tutto trema e si prostra anzi i suoi passi,
E l'Aquila real fugge stridendo
Ferita ne le penne e ne la pancia.
Gallia intuona e diffonde
Di libertade il nome
E mare e cielo Libertà risponde :
l'Angel di morte per le imbelli chiome
Squassa ed ostende coronata la testa :
Liberà ! grida a le provincie dome.
I versi di Foscolo tratti dall'ode Bonaparte liberatore scritta nel maggio del 1797 e stampata a pubbliche spese per decreto della Giunta di difesa generale della Repubblica cispadana come ricorda l'autore, nell'atmosfera ardente di entusiasmo suscitato dalle strepitose vittorie di Napoleone che con la sua prima campagna in Italia sbaragliò l'esercito sardo costrinse alla resa l'imperatore e dette vita alla Cispadana e ad altre repubbliche democratiche a imitazione della repubblica francese.
In questo periodo e in questa lirica Napoleone appare il campione della libertà contro la tirannide. L'ode esaltazione nello stesso tempo della libertà e di Napoleone ha una struttura nel gusto neoclassico del tempo e riflette la formazione letteraria del poeta.
Dall'ode piuttosto lunga e pesante riportiamo pochi versi quelli nei quali la raffigurazione di Napoleone, malgrado l'apparato retorico completamente estraneo al nostro gusto e alla nostra sensibilità, rivela pienamente l'entusiasmo e l'adesione del giovane Foscolo fremente di sincero ardore di libertà per essa come sappiamo ha già dovuto esulare dall'amata Venezia e allontanarsi dalla adorata madre e dagli amici. Per comprendere meglio il testo si ricordi che nell'ode il poeta si rivolge direttamente alla libertà.
BONAPARTE LIBERATORE
[...]
E guerrier veggo di fiorente alloro
Cinto le bionde chiome
Su cui purpuree tremolando vanno
Candide azzurre piume; egli al tuo nome
Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
Senno de' suoi corsier governa il morso
Ardir li 'ncalza e de' marziali il coro
Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno
In aer librate con perpetuo corso
Sorte, Vittoria, e Fama.
[...]
Deh ! mira, come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace
Per disperazion fatta secura :
E furor matto e improvida paura
Le movi intorno di rapace guerra ? [...]
Ma tu, feroce Dea, non badi e passi
E a tuon de' bronzi e al fuminar tremendo
E a l'ululo guerrier perndonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
Del tuo giovin Campion splende la lancia;
Tutto trema e si prostra anzi i suoi passi,
E l'Aquila real fugge stridendo
Ferita ne le penne e ne la pancia.
Gallia intuona e diffonde
Di libertade il nome
E mare e cielo Libertà risponde :
l'Angel di morte per le imbelli chiome
Squassa ed ostende coronata la testa :
Liberà ! grida a le provincie dome.
sabato 22 settembre 2018
Il mito di Napoleone
Il mito di Napoleone
La figura e l'opera di Napoleone grandeggiato a cavallo tra il XVII e il XIX secolo : erede della Rivoluzione francese ne diffuse le idee e le conquiste per tutta Europa, sconvolgendo con la sua presemza e la sua azione l'intero continente. La fine dell'impero napoleonico chiuse un'epoca di grandiose vicende e di generosi entusiasmi; ma l'Europa non tornò quella di prima. I germi di un mondo nuovo erano stati ormai gettati.
L'Europa dei sovrani e dell'assolutismo era tramontata e stava nascendo l'Europa delle nazioni e della libertà. Oggetto contemporaneamente di amore e di odio Napoleone entrò subito nella vicenda : il suo fu il primo mito romantico a investire le coscienze e ad accendere le fantasie con giudizi e sentimenti talora contrastanti, anche in una stessa persona.
Questo ad esempio accadde non solo a Foscolo ma anche al grande musicista tedesco Beethoven, che nel 1804 aveva concepito una grandiosa sinfonia (la numero 3) in omaggio al genio di Napoleone primo console, che gli sembrava incarnasse i suoi ideali di libertà e di democrazia; però quando Napoleone si fece incoronare imperatore, Beethoven cancellò la dedica e la sostituì con il titolo con cui oggi è nota di " sinfonia Eroica , composta per festeggiare il ricordo di un grand'uomo "
A noi qui ora non interessa registrare il dibattito storico politico che si sviluppò sulla sua opera e che non si è ancora del tutto concluso
La figura e l'opera di Napoleone grandeggiato a cavallo tra il XVII e il XIX secolo : erede della Rivoluzione francese ne diffuse le idee e le conquiste per tutta Europa, sconvolgendo con la sua presemza e la sua azione l'intero continente. La fine dell'impero napoleonico chiuse un'epoca di grandiose vicende e di generosi entusiasmi; ma l'Europa non tornò quella di prima. I germi di un mondo nuovo erano stati ormai gettati.
L'Europa dei sovrani e dell'assolutismo era tramontata e stava nascendo l'Europa delle nazioni e della libertà. Oggetto contemporaneamente di amore e di odio Napoleone entrò subito nella vicenda : il suo fu il primo mito romantico a investire le coscienze e ad accendere le fantasie con giudizi e sentimenti talora contrastanti, anche in una stessa persona.
Questo ad esempio accadde non solo a Foscolo ma anche al grande musicista tedesco Beethoven, che nel 1804 aveva concepito una grandiosa sinfonia (la numero 3) in omaggio al genio di Napoleone primo console, che gli sembrava incarnasse i suoi ideali di libertà e di democrazia; però quando Napoleone si fece incoronare imperatore, Beethoven cancellò la dedica e la sostituì con il titolo con cui oggi è nota di " sinfonia Eroica , composta per festeggiare il ricordo di un grand'uomo "
A noi qui ora non interessa registrare il dibattito storico politico che si sviluppò sulla sua opera e che non si è ancora del tutto concluso
mercoledì 19 settembre 2018
Aroldo di George Byron
Aroldo di George Byron
Il Pellegrinaggio di Aroldo (1812-1818) è un poema a sfondo autobiografico in strofe di nove versi, nel quale si descrivono i viaggi e le riflessioni di un giovane inglese che, sazio della vita sino allora condotta tra bagordi e turpitudini, lascia volontariamente la patria e vaga tra la penisola iberica la Grecia e l'Italia. Le descrizioni e le riflessioni che costituiscono la vera ossatura dell'opera hanno come punto di riferimento la personalità di Aroldo, marcata dal vizio dalla noia, dall'amore della solitudine, dal dramma segreto che lo tormenta dal gusto dell'esilio volontario dal disprezzo della gente comune cioè dai tipici atteggiamenti romantici che in lui si complicano perché in parte sono autentici e in parte artificiosi in quanto costituiscono una posa studiata del personaggio Byron.
Per la caratterizzazione dell'eroe romantico Aroldo eroe che cerca fuga dagli uomini e dalla realtà decisa nel primo brano per sazietà di piacere interiore scontentezza e nel secondo per incapacità di rapporti umani e conseguente disgusto per i propri simili, indifferenza per tutti e lucida disperazione. Il sentimento potrebbe essere sincero ma la sua rappresentazione caricata ed enfatica e nello stesso tempo compiaciuta ci porta verso una forma di estetismo cupo e tenebroso. Il linguaggio nel complesso è sostenuto e costruito retoricamente si sente la volontà di colpire il lettore con una certa aura poetica e una particolare enfasi nel modo di presentare situazioni o di riflettere su atteggiamenti dello spirito attraverso vocaboli sintassi ed immagini ricercate. Siamo lontani dal clima magniloquente di Chyateaubriand, ma ci troviamo sempre in un genere di discorso poetico di consapevole sostenutezza formale che corrisponde al modo di atteggiarsi e di presentarsi del personaggio Byron. Non sarà difficile per il lettore individuare le parole e le immagini che più marcatamente incidono il profilo interiore del protagonista.
Il Pellegrinaggio di Aroldo (1812-1818) è un poema a sfondo autobiografico in strofe di nove versi, nel quale si descrivono i viaggi e le riflessioni di un giovane inglese che, sazio della vita sino allora condotta tra bagordi e turpitudini, lascia volontariamente la patria e vaga tra la penisola iberica la Grecia e l'Italia. Le descrizioni e le riflessioni che costituiscono la vera ossatura dell'opera hanno come punto di riferimento la personalità di Aroldo, marcata dal vizio dalla noia, dall'amore della solitudine, dal dramma segreto che lo tormenta dal gusto dell'esilio volontario dal disprezzo della gente comune cioè dai tipici atteggiamenti romantici che in lui si complicano perché in parte sono autentici e in parte artificiosi in quanto costituiscono una posa studiata del personaggio Byron.
Per la caratterizzazione dell'eroe romantico Aroldo eroe che cerca fuga dagli uomini e dalla realtà decisa nel primo brano per sazietà di piacere interiore scontentezza e nel secondo per incapacità di rapporti umani e conseguente disgusto per i propri simili, indifferenza per tutti e lucida disperazione. Il sentimento potrebbe essere sincero ma la sua rappresentazione caricata ed enfatica e nello stesso tempo compiaciuta ci porta verso una forma di estetismo cupo e tenebroso. Il linguaggio nel complesso è sostenuto e costruito retoricamente si sente la volontà di colpire il lettore con una certa aura poetica e una particolare enfasi nel modo di presentare situazioni o di riflettere su atteggiamenti dello spirito attraverso vocaboli sintassi ed immagini ricercate. Siamo lontani dal clima magniloquente di Chyateaubriand, ma ci troviamo sempre in un genere di discorso poetico di consapevole sostenutezza formale che corrisponde al modo di atteggiarsi e di presentarsi del personaggio Byron. Non sarà difficile per il lettore individuare le parole e le immagini che più marcatamente incidono il profilo interiore del protagonista.
Iscriviti a:
Post (Atom)