Quali sono gli elementi essenziali delle personalità dantesca ?
la fede religiosa, ideale politico e la coscienza artistica.
Quale esperienza della vita di Dante deve essere ritenuta importante?
l'esperienza della città stato cioè di Firenze
quale partito fu al potere durante la vita di Dante ?
Il partito dei Guelfi dal 1266.
Questi però erano divisi sul finire del XII secolo nelle due frazioni dei Bianchi (la famiglia dei Cerchi poche famiglie magnatizie, la parte più democratica del popolo grasso e del popolo minuto) e dei Neri (famiglia dei Donati la maggior parte delle famiglie magnatizie e la parte più ricca del popolo grasso)
I Bianchi volevano la completa autonomia del Comune di Firenze ; I Neri invece vedevano i loro interessi e quelli della città legati al papato ( Bonifacio) e agli Angioini di Napoli (Carlo II).
Quale fu la più importante carica politica ricoperta da Dante a Firenze?
Quella di priore dal 15 giugno al 15 agosto 1300: i sei priori Dante incluso erano tutti di parte bianca
Quale anno si può considerare fondamentale nella vita di Dante ?
IL 1302 in cui ha inizio l'esilio del poeta. Il 27 gennaio Dante - seguace dei Bianchi tenace oppositore dei Neri e del papa Bonifacio VIII - viene condannato con sentenza della podestà di Firenze Cante dei Gabrielli da Gubbio al pagamento di 5000 fiorini piccoli al bando fuori di Toscana per due anni e all'esclusione dagli uffici pubblici .
Dante - che probabilmente stava tornando da Roma, ove si era recato ambasciatore presso Bonifacio VIII - non si presentò (così si ritiene) a Firenze. Perciò con una sentenza del 10 marzo viene condannato in esilio perpetuo e ad essere arso vivo se fosse caduto in potere del comune.
La prima sentenza -di cui ci è giunto testo - conteneva una non ben specificata accusa di baratteria (traffico illecito dei pubblici uffici) e di turbamento della pace: la condanna era in realtà una ritorsione dei Neri contro Dante che aveva sostenuto l'indipendenza del comune.
Quali effetti ha prodotto l'esilio sulla personalità di Dante ?
L'esilio ha ampliato e maturato la sua convinzione politica l'idea imperiale si forma e si approfondisce dopo che egli ha constatato, pagando di persona, le conseguenze nefaste delle lotte di parte e dell'intervento in esse della curia romana.
Ma nell'elisio Dante ha pure maturato e arricchito tutta la sua umanità accentuando il proprio distacco dai compagni di sventura disonesti e mediocri.
L'esilio scrive Grabher scavò anche la più profonda in lui quella interiore solitudine se al dire del Boccaccio lo spingeva ad essere rimoto dalle genti "rimoto " lo faceva anche tra le genti e che gli permise di ascoltare meglio le profonde voci dell'anima levandolo sempre più in alto il contingente fino a profilarlo e trasfigurarlo nel mendo eterno del suo Poema
In quali opere in prosa Dante espone il suo pensiero politico ?
Nel convivio (IV trattato missione provvidenziale dell'Impero affidata al popolo romano) e soprattutto nel trattato latino Monarchia . Va a intendere la passione politica di Fante (che è sempre passione politico - religiosa) giova conoscere le Epistole (tutte scritte in latino) e tra esse
a) quella rivolta ai principi e ai popoli della penisola per annunciare il Cesare redentore (Arrigo VII)
b)quella rivolta agli scelleratissimi fiorentini per minacciare ad essi la vendetta imperiale
c) quella rivolta ad Arrigo VII per esortarlo a schiacciare la tessa della vipera(Firenze
d) quella rivolta ai cardinali italiani dopo la morte di Clemente V
Tutte le opere citate furono composte durante l'esilio
Per riassumere in poche parole il contenuto della Monarchia.
Libro I. Per garantire pace e giustizia alla società umana è necessario l'Impero : così essa potrà sviluppare l'intelletto speculativo e pratico attuando la vera felicità in terra
Libro II. Il popolo romano è stato predestinato all'Impero universale della Provvidenza divina :le sue conquiste furono necessarie per avviare il mondo alla felicità.
Libro III. L'autorità dell'imperatore deriva direttamente da Dio come quella del Pontefice l'imperatore è quindi indipendente dal pontefice. IL primo guida l'umanità alla felicità mediante la verità filosofica; il secondo guida l'umanità alla beatitudine celeste mediante la verità rivelata
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martedì 6 ottobre 2015
venerdì 2 ottobre 2015
Stile del Mastro Dan Gesualdo
Tematiche, stile e poetica
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
martedì 29 settembre 2015
riassunto di Mastro Don Gesualdo
Introduzione
Il progetto del Mastro Don Gesualdo è uno di quelli che assorbe maggiormente le forze verghiane; se l’idea di proseguire il “ciclo dei vinti” secondo l’abbozzo tracciato nella Prefazione dei I Malavoglia compare già in una lettera all’amico Capuana del febbraio 1881, lo sviluppo della nuova opera è assai complesso e travagliato. Così, il nuovo lavoro vede prima la luce sulla rivista «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre 1888, poi - a seguito di accordi editoriali con Treves - viene edito in volume (con cospicui interventi correttori dell’autore stesso, come sottolineato dalla critica) l’anno successivo.
Riassunto dell'opera
Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e ad un’indefessa etica del lavoro: appunto, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure, con ipocrita deferenza, al nuovo status borghese, che il protagonista s'è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando, partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale.
Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.
La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo.
Il progetto del Mastro Don Gesualdo è uno di quelli che assorbe maggiormente le forze verghiane; se l’idea di proseguire il “ciclo dei vinti” secondo l’abbozzo tracciato nella Prefazione dei I Malavoglia compare già in una lettera all’amico Capuana del febbraio 1881, lo sviluppo della nuova opera è assai complesso e travagliato. Così, il nuovo lavoro vede prima la luce sulla rivista «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre 1888, poi - a seguito di accordi editoriali con Treves - viene edito in volume (con cospicui interventi correttori dell’autore stesso, come sottolineato dalla critica) l’anno successivo.
Riassunto dell'opera
Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e ad un’indefessa etica del lavoro: appunto, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure, con ipocrita deferenza, al nuovo status borghese, che il protagonista s'è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando, partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale.
Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.
La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo.
lunedì 21 settembre 2015
poetica di Leopardi
La poetica di Leopardi è caratterizzata da una perfetta continuità lirica che va dal "Saggio sopra gli errori popolari degli antichi " fino al concludersi della sua produzione letteraria.
La rievocazione di miti e di leggende sul tuono, sul vento, sul terremoto, sui terrori notturni e sugli astri che tanto spazio occupano nel "Saggio" rivelano già nello scrittore adolescente una fervida immaginazione un'adesione profonda alle belle fole si felici errori di cui echeggiano spesso i canti della maturità.
Il Leopardi che ritiene di ricercare al fine di scoprire verità scientifiche in effetti vive fantasie di altri tempi in versi e in prosa e le esprime con tono chiaramente lirico.
Proprio per questo "saggio " si apre l' anima poetica di Leopardi e nasce la sua poesia, come documento di un avvertito sentimento d'amore per la donna ma ancora più come rivelazione dei tormenti fisici, che lo invogliano ad un continuo colloquio con se stesso e lo inducono ad una sempre più profonda introspezione:
Le sue oper più significative sono i Canti e le "operette morali "
Attraverso una lettura ed un adeguato commento delle sue opere è possibile cogliere i motivi, le forme e i valori della poetica di Leopardi .
I documenti che, meglio e più a fondo, rivelano il pensiero, il sentimento e perciò il mondo interiore del "contino di Recanati " sono gli "idilli" piccoli e grandi raccolti e pubblicati dal Leopardi stesso nei "Canti" .
Le composizioni poetiche, in versi occupano il ventennio 1816-1836 con l'interruzione di un triennio 1823 - 1826 in cui Leopardi non sentendosi più incline a scrivere versi, si diede alla stesura delle "Operette Morali" che comunque anche se scritte in prosa non interrompono la continuità lirica della sua produzione.
E' da ritenere pertanto semplicemente scolastica e forse anche arbitraria la suddivisione in periodi dell'opera poetica del Leopardi uguali sono i grandi temi trattati nei "Canti" e nelle "Operette morali " il dolore umano (individuale, collettivo), il dolore universale, la potenza misteriosa della natura, la natura matrigna.
La rievocazione di miti e di leggende sul tuono, sul vento, sul terremoto, sui terrori notturni e sugli astri che tanto spazio occupano nel "Saggio" rivelano già nello scrittore adolescente una fervida immaginazione un'adesione profonda alle belle fole si felici errori di cui echeggiano spesso i canti della maturità.
Il Leopardi che ritiene di ricercare al fine di scoprire verità scientifiche in effetti vive fantasie di altri tempi in versi e in prosa e le esprime con tono chiaramente lirico.
Proprio per questo "saggio " si apre l' anima poetica di Leopardi e nasce la sua poesia, come documento di un avvertito sentimento d'amore per la donna ma ancora più come rivelazione dei tormenti fisici, che lo invogliano ad un continuo colloquio con se stesso e lo inducono ad una sempre più profonda introspezione:
Le sue oper più significative sono i Canti e le "operette morali "
Attraverso una lettura ed un adeguato commento delle sue opere è possibile cogliere i motivi, le forme e i valori della poetica di Leopardi .
I documenti che, meglio e più a fondo, rivelano il pensiero, il sentimento e perciò il mondo interiore del "contino di Recanati " sono gli "idilli" piccoli e grandi raccolti e pubblicati dal Leopardi stesso nei "Canti" .
Le composizioni poetiche, in versi occupano il ventennio 1816-1836 con l'interruzione di un triennio 1823 - 1826 in cui Leopardi non sentendosi più incline a scrivere versi, si diede alla stesura delle "Operette Morali" che comunque anche se scritte in prosa non interrompono la continuità lirica della sua produzione.
E' da ritenere pertanto semplicemente scolastica e forse anche arbitraria la suddivisione in periodi dell'opera poetica del Leopardi uguali sono i grandi temi trattati nei "Canti" e nelle "Operette morali " il dolore umano (individuale, collettivo), il dolore universale, la potenza misteriosa della natura, la natura matrigna.
sabato 19 settembre 2015
ITALO CALVINO
Italo Calvino è nato a Santiago di Las Vegas nell'isola di Cuba il 15 ottobre 1923 ha diretto la rivist "il Menabò" si è reso noto per il romanzi e i racconti la cui trama è tra realtà e fantasia, avventura e angoscia Tra le sue opere si ricordano "il sentiero dei nidi di ragno " "ultimo viene il coro", "il Visconte dimezzato" Gli amori difficili", "Ti con Zeio".
Uno dei più significativi scrittori dell'Italia di cui ha indagato momenti e aspetti salienti con la ricerca stilistica continuamente rinnovata
Nelle opere di Calvino il neo-realismo viene arricchito e superato graze ad un sempre più forte intervento della fantasia e della razionalità inseparabilmente unite si ispirano all'esperienza dell' epoca fascista e alla Resistenza
In seguito ha pubblicato Marcovaldo in cui la fantasia coglie con felice umorismo le contraddizioni e le deformazioni della nostra società tecnologica
muore il 19 settembre 1985 hanno dichiarato il 2013 come anno di Italo Calvino in occasione del suo 90 compleanno
Uno dei più significativi scrittori dell'Italia di cui ha indagato momenti e aspetti salienti con la ricerca stilistica continuamente rinnovata
Nelle opere di Calvino il neo-realismo viene arricchito e superato graze ad un sempre più forte intervento della fantasia e della razionalità inseparabilmente unite si ispirano all'esperienza dell' epoca fascista e alla Resistenza
In seguito ha pubblicato Marcovaldo in cui la fantasia coglie con felice umorismo le contraddizioni e le deformazioni della nostra società tecnologica
muore il 19 settembre 1985 hanno dichiarato il 2013 come anno di Italo Calvino in occasione del suo 90 compleanno
giovedì 17 settembre 2015
il riassunto dei Malavoglia
Capitolo I: Ad Aci Trezza, un piccolo paesino presso Catania, in Sicilia, vive alla casa del nespolo una famiglia di pescatori, i Toscano, soprannominati da tutti Malavoglia . Capo famiglia è padron ‘Ntoni, ci sono poi il figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza, soprannominata Longa, e i figli: ‘Ntoni, il maggiore, di vent’anni, Luca, Mena, soprannominata Sant’Agata perché passa tutto il suo tempo al telaio, Alessi e la piccola Lia. Il quadro familiare è quindi variegato: se pardon ‘Ntoni è il capofamiglia, Bastianazzo ne ha ereditato la forza e la dedizione al lavoro; ‘Ntoni è da subito un giovane buono ma sfaticato. I Malavoglia, dal punto di vista sociale, sono dei “possidenti” poiché, oltre alla casa del nespolo, sono i proprietari della “Provvidenza”, una barca da pesca.
L’ordine della famiglia viene turbato quando ‘Ntoni riceve la chiamata di leva : quest’evento priva la famiglia di una vitale forza-lavoro. Essendo in un periodo di ristrettezze e pensando di fare un affare, padron ‘Ntoni, con la mediazione di Piedipapera, acquista a credito dal ricco zio Crocifisso, l’usuraio del paese, un carico di lupini e manda Bastianazzo con la Provvidenza, a venderli a Riposto. Con lui parte pure Menico.
Capitolo II: Mentre la Provvidenza salpa, vengono presentati gli altri personaggi di Aci Trezza (il farmacista don Franco, il vicario don Gianmaria, il maestro Silvestro, la Zuppidda). Mentre aspetta notizie del carico di lupini, padron ‘Ntoni discute con altri uomini sui gradini della chiesa dell’impresa dei lupini: se l’affare andasse in porto, Mena avrebbe la dote per sposare Brasi Cipolla, anche se lei è innamorato del povero compare Alfio. Alla casa del nespolo, la Longa e le altre vicine discutono della Mena e fanno pettegolezzi su altri paesani.Capitolo III: Di notte si scatena la tempesta. Tutti al villaggio pensano alla barca con il carico di lupini e, pur criticando i Malavoglia nella bettola di suor Mariangela la Santuzza, poco dopo si ritirano in chiesa a pregare. Zio Crocifisso vuole che padron ‘Ntoni, davanti a testimoni, ammetta che i lupini li ha presi a credito. Nel frattempo tutti i Malavoglia - in particolare la Longa,moglie di Bastianazzo - si disperano. Il naufragio della Provvidenza, che preannuncia la rovina economica della famiglia Toscano, viene raccontato in maniera indiretta, attraverso le voci e le reazioni di questo “” popolare.coro
Capitolo IV: Sono passati tre giorni e ormai è chiaro anche ad Aci Trezza che la barca e il suo carico sono affondati e cheBastianazzo è morto affogato. Alla commemorazione per Bastianazzo tutti si interessano alla sventura dei Malavoglia (per compassione o per ineteresse) e ognuno ha qualcosa da dire sulla loro situazione. Infatti i Malavoglia con la morte di Bastianazzo, il carico di lupini da ripagare a zio Crocifisso e la Mena da maritare, per non parlare dell’infelice annata per colpa dell’assenza di pioggia, si trovano in grandi difficoltà economiche. Nel frattempo, in paese si intersecano le trame tra i personaggi per guadagnarsi un matrimonio vantaggioso.
Capitolo V: Alfio Mosca fa sapere a Mena che ha sentito che i Malavoglia, per far fronte ai problemi economici, vogliono farla sposare a Brasi Cipolla, figlio di padron Fortunato, che possiede barche, chiuse e vigne. Viene nel fratempo ritrovata sulla spiaggia la Provvidenza: la barca è distrutta ma si pensa di ripararla. ‘Ntoni riesce ad ottenere la lettera di congedo e a tornare a casa e il fratello Luca decide di partire per la leva al posto suo.
Capitolo VI: ‘Ntoni, tornato ad Aci Trezza per aiutare economicamente la famiglia, scopre che Sara di comare Tudda, la ragazza che egli amava, si è sposata con un vedovo. Tutti Malavoglia, nel frattempo, si mettono a lavorare per ripagare il debito che viene provvisoriamente rimandato e che lo zio Crocifisso, per non inimicarsi tutto il paese, finge di cedere il credito a Tino Piedipapera. Se i Malavoglia (che lavorano assiduamente per riparare le perdite del naufragio) non ripagheranno il debito, zio Crocifisso potrà prendersi la barca e la casa del nespolo; tuttavia, un avvocato di città cui i Malavoglia si sono rivolti assicura che non devono nulla all’usuraio, dato che non ci sono documenti ufficiali e che la casa costituisce la dote della Longa (quindi non può essere espropriata). Tuttavia, padron ‘Ntoni, per un superiore senso dell’onore, vuole rispettare la parola data. La Longa, convinta dall’ipocrita Don Silvestro (che odia ‘Ntoni per faccende sentimentali), alla fine rinuncia alla dote.
Capitolo VII: Luca Malavoglia parte per il servizio militare. Nel frattempo la Provvidenza è finalmente riparata da compare Zuppiddu e può di nuovo prendere il largo: i Malavoglia sperano quindi di far buona pesca e non dover vendere la casa. Pare anche che Mena possa sposarsi con il ricco Brasi Cipolla. ‘Ntoni, scontratosi violentemente con Piedipapera per il debito da estinguere, chiede di sposare Barbara Zuppidda, ma padron ‘Ntoni gli nega il permesso, sia a causa dei problemi economici sia perché prima deve sposarsi Mena. In paese invece si assiste a una ribellione contro la dirigenza (e in particolare contro Don Silvestro) per l’aumento il prezzo del sale della pece.
Capitolo VIII: Mena sa che manca poco al saldo del debito e poi dovrà sposare Brasi Cipolla, mentre lei ama Alfio Mosca, che, prima di partire per lavorare a Bicocca (dove c’è la malaria) le confessa i propri sentimenti. Gli altri pretendenti di Barbara Zuppidda (cioè il brigadiere don Michele e Vanni Pizzuto) decidono di unirsi contro ‘Ntoni, che è un’effettiva minaccia, infatti i due giovani sognano di poter scappare e sposarsi. I Malavoglia organizzano un incontro tra Mena e Brasi Cipolla, il ragazzo è molto interessato, mentre Mena è visibilmente triste.
Capitolo IX: Mena e Brasi Cipolla si stanno per sposare, ma durante la cerimonia della spartizione dei capelli della sposa giunge la notizia che una nave italiana è affondata durante la battaglia di Lissa. Nei giorni successivi il silenzio di Luca rende evidente che è successo qualcosa: i Malavoglia si recano alla capitaneria e scoprono che effettivamente Luca è morto nella battaglia di Lissa. Padron ‘Ntoni cerca di ritardare ancora il pagamento ma Tino Piedipapera rifiuta: i Malavoglia devono così cedere la casa del nespolo e ritirarsi a vivere in affitto nella casupola di un beccaio. Padron Cipolla rompe il fidanzamento di Mena col figlio e anche ‘Ntoni perde le simpatie di Barbara.
Capitolo X: Una tempesta coglie padron ‘Ntoni e Alessi mentre sono sulla Provvidenza. Naufragano contro gli scogli e padron ‘Ntoni batte la testa, ma dopo giorni di cure riesce a sopravvivere. I Malavoglia lavorano e si impegnano per ripagare il debito e riscattare la casa del nespolo: da un lato, alcuni affari fortunati fanno tornare la speranza, ma dall’altro ‘Ntoni, che passa sempre più tempo all’osteria, comincia ad estraniarsi dalla vita familiare e della “religione della casa” di suo padre.
Capitolo XI: ‘Ntoni desidera partire da Aci Trezza per cercare fortuna, ma le preghiere della Longa riescono a dissuaderlo. A Catania però scoppia un’epidemia di colera che presto arriva anche ad Aci Trezza; vecchia e stanca, la Longa si ammala e muore rapidamtne. Senza più nessuno che lo trattenga, ‘Ntoni decide di partire. La Lia nel frattempo è cresciuta ed è diventata bella.
Capitolo XII: Padron ‘Ntoni decide di vendere la Provvidenza allo zio Crocifisso; lui e il figlio Alessi lavoreranno sulle barche di padron Cipolla. I Malavoglia sono ancora ridotti allo stato di povertà ma fantasticano su come riscattare la casa del nespolo. ‘Ntoni torna, più povero di prima: passa il suo tempo all’osteria, è stanco di lavorare ed è invidioso di chi ha molti soldi e non deve fare nulla.
Capitolo XIII: ‘Ntoni passa il tempo a bere alla bettola della Santuzza, con cui ha una relazione. Padron ‘Ntoni riesce a farlo ragionare e per una settimana il ragazzo torna a lavorare, ma poi riprende a bere. Don Michele corteggia la Lia e spesso passa da casa dei Malavoglia, e qui un giorno informa Mena che il fratello si è lasciato trascinare in un affare di contrabbando. Inoltre ‘Ntoni finisce in mezzo in una brutta rissa all’osteria con il brigadiere Don Michele, che, essendo il precedente amante di Santuzza, le permetteva di svolgere traffici di contrabbando con Rocco Spatu e Cinghialenta. Zio Crocifisso e la Vespa si sposano, e la donna comincia a dilapidare il suo patrimonio
Capitolo XIV: Qualche notte dopo la rissa del capitolo precedente, ‘Ntoni, sopreso dalle guardie, pugnala al petto Don Michele, pur senza ucciderlo. Viene arrestato e padron ‘Ntoni spende ogni risparmio per assicurargli una difesa al processo. Al processo però l’avvocato difensore per minimizzare l’accaduto sostiene che ‘Ntoni non abbia pugnalato Don Michele per questioni di contrabbando ma per difendere l’onre di Lia, dopo una tresca con Don Michele. Padre ‘Ntoni sviene e si dispera, mentre ‘Ntoni viene condannato a cinque anni di carcere e Lia, non resistendo di fronte al disonore, scappa da Aci Trezza. Si darà alla prostituzione a Catania e non tornerà mai più.
Capitolo XV: Padron ‘Ntoni è ormai vecchio e malato, ma Mena e Alessi non vogliono portarlo in ospedale e farlo morire lontano da casa sua. Comprendendo la situazione padron ‘Ntoni chiede ad Alfio Mosca, che è ritornato in paese, di portarlo in ospedale in un momento in cui i due nipoti sono assenti. Alessi si sposa con la Nunziata, che amava sin da ragazzino e riscatta la casa del nespolo, pur a prezzo di durissimi sacrifici. Padron ‘Ntoni muore prima che possano portarlo a casa. Alfio Mosca chiede la mano di Mena ma la ragazza rifiuta perché ormai ha già ventisei anni e la storia di Lia ha fatto sprofondare la famiglia nel disonore. Così Mena si ritira a curare i figli di Alessi e Nunziata. Una notte si presenta a casa ‘Ntoni, da poco uscito dal carcere, Alessi gli propone di restare ma ‘Ntoni sceglie amaramente di andarsene prima del sorgere del sole.
lunedì 14 settembre 2015
Giacomo Leopardi -LA CONVERSIONE POLITICA
Nel 1815 il peta celebra la vittoria politica degli austriaci sul Murat e dichiara legittimi i governi della Restaurazione nel 1817 invece scrive Pero Giordani con accenti di caldo patriottismo "Mia patria è l'Italia per la quale ardo d'amore" nel 1818 compone le due canzoni patriottiche
"all'Italia" (per il vero non molto sentita ma solo letterariamente trattata) e "sopra il monumento di Dante" (più avvertito in questa canzone è il sentimento d'amore per la patria asservita allo straniero ma tuttavia il linguaggio è più oratorio che poetico )
si ha così in Leopardi la conversione poetica cioè il passaggio del poeta dalle idee reazionarie (conservatrici ) all'entusiasmo per la libertà della patria
"all'Italia" (per il vero non molto sentita ma solo letterariamente trattata) e "sopra il monumento di Dante" (più avvertito in questa canzone è il sentimento d'amore per la patria asservita allo straniero ma tuttavia il linguaggio è più oratorio che poetico )
si ha così in Leopardi la conversione poetica cioè il passaggio del poeta dalle idee reazionarie (conservatrici ) all'entusiasmo per la libertà della patria
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