Il poeta in esilio, lontano dall'isola nativa, dove trascorse l'infanzia serena, e ripensa a lei con profonda nostalgia, sapendo di non potervi mai più tornare, la rivede con il cuore nella sua smagliante bellezza, tra le acque del mare, da cui nacque la dea Venere, simboli di bellezza e della vita, la quale con il suo primo sorriso donò a quelle isole lo splendore di una ricchissima vegetazione e un clima incantevole.
Quell'incanto di cielo e di verde rivive nella poesia del più grande poeta greco, Omero; ma nei suoi versi è anche raccontata la storia tristissima di Ulisse, costretto dal fato a navigare per tanti mari avversi, prima di poter riabbracciare, reso ormai illustre dalla fama e dalla sventura, la sua nativa Itaca, un povero isolotto pietroso. Il Foscolo però ha un destino assai più amaro dell'eroe greco, perché rivedrà mai più la sua bellissima terra: a lei potrà lasciare solo la sua poesia, mentre il suo cadavere verrà sepolto in terra straniera e nessuno piangerà sulla sua tomba .
In questo sonetto accanto al motivo dell'esilio e del tormento per non poter più rivedere l'amata terra natia, il poeta esprime la propria incantata ammirazione per l'antica civiltà greca, simboleggiata appunto dalla bellezza di Zacinto e dall'altissima poesia di Omero.
Il culto della Grecia, come ideale di purezza, di armonia e di perfezione rientra nel gusto neoclassico, ma non fu estraneo neppure ai romantici che videro nella Grecia una specie di paradiso perduto dove poter dimenticare i loro tomenti interiori.
Anche nella Grecia esisteva il dolore : ne è la prova l'esilio di Ulisse. Ma alla fine Ulisse ritornò in patria ritrovando pace e felicità, cosa che è negata al Foscolo
Nè più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di colui che l’acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
ace e felicità, cosa che è negata al Foscolo
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di colui che l’acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.