i memorialisti
Nella prima metà dell'Ottocento in piena atmosfera romantica fiorisce una serie di memorialisti cioè di scrittori che rievocano le vicende della loro vita connesse più o meno strettamente con gli eventi politici ma trasfigurate in virtù del ricordo personale in un'aura di poesia che si alimenta del gusto del realismo narrativo della confessione dell'introspezione psicologica della storia dell'anima di ciascuno di questi autori di memorie.
Oltre al d'Azeglio già ricordato nelle pagine che precedono autori di rilievo Silvio Pellico e Luigi Settembrini.
Silvio Pellico (1789-1854) è considerato il più degno di rilievo e di menzione.-
Nato a Saluzzo nel 1789 autore di mediocri anche se fortunatissime tragedie romantiche (celeberrima la Francesca di Rimini) il Pellico fu implicato nei processi carbonari del 1821 e condannato a quindici anni di carcere duro.
Dopo 8 anni di carcere allo Spielberg fu graziato e si ritirò a Torino dove visse fino al 1854 sempre estraneo alle passioni politiche e letterarie della giovinezza.
La sua opera più significativa è il libro Le Mie Prigioni dove la materia autobiografica è scevra di ogni polemica e da ogni risentimento personale.
C'è narrata la storia di una dolce e segreta Provvidenza di un'anima che nella fede ritrova la propria consolazione. Il libro tuttavia non può definirsi un'opera di devozione religiosa.
Con uno stile semplice e immediato il Pellico narra vicende e disegna personaggi anche di fuggevole apparizione non facilmente dimenticabili ( il carcere di Santa Margherita i Piombi di Venezia lo Spielberg il mutolino la Zanze schiller.
Le mie prigioni servì alla causa risorgimentale più di ogni altro scritto e suscitò larghissime simpatie all'Italia presso tutte le nazioni civili.
Diffusione straordinaria in quegli anni ebbe anche il libro del Pellico I doveri dell'uomo trattato ispirato al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita gli uomini alla concordia al reciproco aiuto e alla conciliazione.
In lui furono sempre vivi principi che aveva espresso come redattore del Conciliatore giornale politico in cui egli prospettava una soluzione pacifica dei rapporti Italo-austriaci e dopo la conversione al cattolicesimo frutto di lunghi anni di prigionia trascorsi in raccolta meditazione. La sua fede lo condusse a ipotizzare con simpatia il potere temporale dei Papi maturati anche i principi di ubbidienza e di rassegnazione cristiana.
Luigi Settembrini (1813-1876) nato a Napoli, giovanissimo si affiliò alla Giovine Italia e scoperto patì la prigionia.
Liberato riprese con ardore l'attività politica e per la sua qualità di promotore responsabile della rivoluzione napoletana del 1848 fu condannato alla pena di morte che però fu commutata in quella di carcere a vita.
Dalla deportazione in America lo salvò il figlio Raffaele che con un'azione da dirottatore si impadronì della nave e obbligò il capitano a sbarcare in Inghilterra tutti gli sventurati patrioti.
Morì senatore del Regno nel 1876.
Scrisse le Ricordanze della mia vita in cui mette in risalto le terribili condizioni della popolazione del Regno di Napoli sotto i Borboni e Lezioni di letteratura italiana di scarso valore critico.
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giovedì 28 dicembre 2017
mercoledì 13 dicembre 2017
riassunto de I promessi sposi
riassunto de I promessi sposi
E' un romanzo storico anche se il racconto che ne costituisce la trama è un'invenzione dell'autore.
La storia e l'invenzione la realtà storica e la fantasia il dato inteso come avvenimento, quindi caratterizzato da esattezza cronologica e da certezza di svolgimento e il frutto della fantasia di Manzoni si fondono perfettamente in quest'opera fino a diventare un tutt'uno inscindibile. E non riesce perciò più separabile la storia dall'invenzione dal momento che l'una si è versata nell'altra.
La vicenda del romanzo si svolge in due anni dal 1628 al 1630 è proprio la storia degli avvenimenti in questo biennio che costituisce la panoramica su cui si snoda la vicenda dei personaggio maggiori minori e minimi dei Promessi Sposi e soprattutto di Renzo e Lucia.
In Lombardia dominata dagli spagnoli c'erano in quegli anni funestati dalla carestia dalla guerra dalla peste dall'odio e dallo scontro delle classi sociali prepotenti signorotti altro clero plebe basso clero ecclesiastici pieni di zelo o vittime della viltà e la povera gente.
Il romanzo si apre con la scena che può dare immediatamente la misura e il tono di tutta l'opera la sera del 7 novembre 1628 un prete il curato di ..... Don Abbondio torna dalla sua passeggiata verso il paese per una stradicciola di campagna ad un tratto alza gli occhi dal breviario e vede presso un muricciolo due bravi (sicari di cui si servivano i signorotti prepotenti del tempo per vessare i deboli e comunque per portare a termine i loro disegni criminosi)
Delinquenza e paura brigantaggio e viltà appaiono subito come elementi caratterizzanti dell'assetto sociale di quell'epoca. Il Seicento con le sue ombre e le sue luci ma più con le ombre diventa così pure esso protagonista inconsapevole ma continuamente presente del romanzo.
Dall'apparizione dei bravi per diverse pagine scorrono elencazioni e citazioni ora intere ed ora per estratto di bandi di legge (gride) che i governanti emanano con un sempre crescente inasprimento delle pene con il preciso scopo di eliminare il fenomeno dei bravi.
Il ripetersi di queste gride con una monotonia quasi inverosimile mette in chiara evidenza che la forza del diritto è stata ormai soppiantata dal diritto della forza.
La pubblica autorità (Podestà il governatore) infatti o per timore o per connivenza o peggio per omissione degli atti dovuti a qualsiasi titolo aveva rinunciato al suo ruolo.
E la povera gente ( Renzo Lucia ed Agnese) quella timorata e rispettosa dei valori morali che non voleva mescolarsi ai facinorosi e ai delinquenti e non intendeva piegarsi alla volontà sfrenata e spregevole dei signorotti prepotenti dei malvagi ( Don Rodrigo e il Conte Attilio)doveva esporsi alle angherie e ai soprusi e talvolta anche la fuga.
Fu proprio il ritrovamento di una grida del 1628 la cosiddetta grida del miracolo in cui era contemplata la fattispecie penale di un curato che si fosse rifiutato per intimidazione di celebrare un matrimonio che suggerì l'idea la Manzoni di scrivere un romanzo ambientato nel secolo XVII che riflettesse il fatto criminoso.
Nacque così la trama del romanzo.
Don Rodrigo un signorotto prepotente servendosi dei suoi bravi impone a Don Abbondio parroco del paese di non celebrare le nozze di due giovani lavoratori : Renzo Tramaglino e Lucia Mondella entrambi operai della filanda locale.
In difesa dei due giovani interviene un cappuccino Fra Cristoforo con tutto l'ardore delle sua fede e con il coraggioso atteggiamento che lo porta fino al castello di Don Rodrigo. Ma il suo intervento si rivela inutile gli procura ingiurie e minacce del signorotto.
Il giovane Renzo si consiglio di Agnese madre di Lucia sposa promessa si rivolge ad un uomo di legge l'avvocato Azzeccagarbugli amico di Don Rodrigo che non soltanto rifiuta il proprio patrocinio ma caccia via in malo modo il povero giovane che aveva ancora una certa fiducia nella legge e nella sua applicazione contro i malvagi.
Tenta poi sempre su consiglio di Agnese il matrimonio clandestino ma anche questo fallisce per la timidezza e al titubanza della giovane fidanzata che temendo di fare cosa non giusta esita a pronunciare al frase di rito richiesta per la validità di questo tipo di matrimonio.
Fra Cristoforo consiglia ai due giovani di lasciare il paese e di rifugiarsi Lucia in monastero e Renzo a Milano.
Lucia così viene accolta al monastero di Monza in cui viene affidata alla "Signora" passata poi alla storia con la denominazione di Monaca di Monza una sorta di suora appartenente ad una famiglia nobile ma donna perversa e malvagia che si presta poi a far rapire dai bravi dell'Innominato ( Bernardino Visconti) la povera giovane che viene reclusa in un castello di questo potente quanto malvagio personaggio che su richiesta supplichevole di Don Rodrigo consuma per mezzo dei sicari il delitto di Sequestro di persona.
senza ricevere compenso diverso dall'atto di umiliazione del borioso Don Rodrigo.
Ed ecco l'intervento della Provvidenza la presenza di Lucia nel castello dell'Innominato la sua supplica allo spietato tiranno per ottenere la liberazione fanno scoppiare improvvisa la crisi psicologica del carceriere che dopo una lunghissima notte insonne si affretta a presentarsi al Cardinale Federico borromeo in visita pastorale.
I capitoli dal XIX la XXXII riguardano la fase più drammatica del romanzo una fase in cui si affrontano il bene simboleggiato dal Cardinale e il male impersonato dall'Innominato.
I capitoli XXXIII al XLII descrivono al quiete individuale e collettiva dopo susseguirsi di tempeste più o meno burrascose.
La provvidenza fa trionfare il bene sul male e il romanzo si conclude con la redenzione generale di tutti i personaggi che sono stati livellati su una piattaforma di comune tribolazione la peste.
E' da questa collettiva purificazione ricevono tutti gran luce e soprattutto le creature tribolate Renzo e Lucia che finalmente vedono realizzato il loro sogno d'amore con le nozze celebrate da Don Abbondio.
I promessi sposi possono perciò definirsi anche il poema della famiglia l'opera in cui il Manzoni innalza uno stupendo monumento alla famiglia cristiana che vive nella rettitudine e con il suo comportamento intonato al rispetto reciproco degli sposi all'amore di questi per i figli e alla comune comprensione costituisce l'esempio più valido per al formazione di una società caratterizzata dalla concordia e dalla solidarietà elementi indispensabili ad una convivenza giusta e feconda.
Nei promessi sposi confluiscono tutti i motivi delle opere del Manzoni L'autore vi è presente con la cultura con la sua erudizione e con la sua fede religiosa
E' un romanzo storico anche se il racconto che ne costituisce la trama è un'invenzione dell'autore.
La storia e l'invenzione la realtà storica e la fantasia il dato inteso come avvenimento, quindi caratterizzato da esattezza cronologica e da certezza di svolgimento e il frutto della fantasia di Manzoni si fondono perfettamente in quest'opera fino a diventare un tutt'uno inscindibile. E non riesce perciò più separabile la storia dall'invenzione dal momento che l'una si è versata nell'altra.
La vicenda del romanzo si svolge in due anni dal 1628 al 1630 è proprio la storia degli avvenimenti in questo biennio che costituisce la panoramica su cui si snoda la vicenda dei personaggio maggiori minori e minimi dei Promessi Sposi e soprattutto di Renzo e Lucia.
In Lombardia dominata dagli spagnoli c'erano in quegli anni funestati dalla carestia dalla guerra dalla peste dall'odio e dallo scontro delle classi sociali prepotenti signorotti altro clero plebe basso clero ecclesiastici pieni di zelo o vittime della viltà e la povera gente.
Il romanzo si apre con la scena che può dare immediatamente la misura e il tono di tutta l'opera la sera del 7 novembre 1628 un prete il curato di ..... Don Abbondio torna dalla sua passeggiata verso il paese per una stradicciola di campagna ad un tratto alza gli occhi dal breviario e vede presso un muricciolo due bravi (sicari di cui si servivano i signorotti prepotenti del tempo per vessare i deboli e comunque per portare a termine i loro disegni criminosi)
Delinquenza e paura brigantaggio e viltà appaiono subito come elementi caratterizzanti dell'assetto sociale di quell'epoca. Il Seicento con le sue ombre e le sue luci ma più con le ombre diventa così pure esso protagonista inconsapevole ma continuamente presente del romanzo.
Dall'apparizione dei bravi per diverse pagine scorrono elencazioni e citazioni ora intere ed ora per estratto di bandi di legge (gride) che i governanti emanano con un sempre crescente inasprimento delle pene con il preciso scopo di eliminare il fenomeno dei bravi.
Il ripetersi di queste gride con una monotonia quasi inverosimile mette in chiara evidenza che la forza del diritto è stata ormai soppiantata dal diritto della forza.
La pubblica autorità (Podestà il governatore) infatti o per timore o per connivenza o peggio per omissione degli atti dovuti a qualsiasi titolo aveva rinunciato al suo ruolo.
E la povera gente ( Renzo Lucia ed Agnese) quella timorata e rispettosa dei valori morali che non voleva mescolarsi ai facinorosi e ai delinquenti e non intendeva piegarsi alla volontà sfrenata e spregevole dei signorotti prepotenti dei malvagi ( Don Rodrigo e il Conte Attilio)doveva esporsi alle angherie e ai soprusi e talvolta anche la fuga.
Fu proprio il ritrovamento di una grida del 1628 la cosiddetta grida del miracolo in cui era contemplata la fattispecie penale di un curato che si fosse rifiutato per intimidazione di celebrare un matrimonio che suggerì l'idea la Manzoni di scrivere un romanzo ambientato nel secolo XVII che riflettesse il fatto criminoso.
Nacque così la trama del romanzo.
Don Rodrigo un signorotto prepotente servendosi dei suoi bravi impone a Don Abbondio parroco del paese di non celebrare le nozze di due giovani lavoratori : Renzo Tramaglino e Lucia Mondella entrambi operai della filanda locale.
In difesa dei due giovani interviene un cappuccino Fra Cristoforo con tutto l'ardore delle sua fede e con il coraggioso atteggiamento che lo porta fino al castello di Don Rodrigo. Ma il suo intervento si rivela inutile gli procura ingiurie e minacce del signorotto.
Il giovane Renzo si consiglio di Agnese madre di Lucia sposa promessa si rivolge ad un uomo di legge l'avvocato Azzeccagarbugli amico di Don Rodrigo che non soltanto rifiuta il proprio patrocinio ma caccia via in malo modo il povero giovane che aveva ancora una certa fiducia nella legge e nella sua applicazione contro i malvagi.
Tenta poi sempre su consiglio di Agnese il matrimonio clandestino ma anche questo fallisce per la timidezza e al titubanza della giovane fidanzata che temendo di fare cosa non giusta esita a pronunciare al frase di rito richiesta per la validità di questo tipo di matrimonio.
Fra Cristoforo consiglia ai due giovani di lasciare il paese e di rifugiarsi Lucia in monastero e Renzo a Milano.
Lucia così viene accolta al monastero di Monza in cui viene affidata alla "Signora" passata poi alla storia con la denominazione di Monaca di Monza una sorta di suora appartenente ad una famiglia nobile ma donna perversa e malvagia che si presta poi a far rapire dai bravi dell'Innominato ( Bernardino Visconti) la povera giovane che viene reclusa in un castello di questo potente quanto malvagio personaggio che su richiesta supplichevole di Don Rodrigo consuma per mezzo dei sicari il delitto di Sequestro di persona.
senza ricevere compenso diverso dall'atto di umiliazione del borioso Don Rodrigo.
Ed ecco l'intervento della Provvidenza la presenza di Lucia nel castello dell'Innominato la sua supplica allo spietato tiranno per ottenere la liberazione fanno scoppiare improvvisa la crisi psicologica del carceriere che dopo una lunghissima notte insonne si affretta a presentarsi al Cardinale Federico borromeo in visita pastorale.
I capitoli dal XIX la XXXII riguardano la fase più drammatica del romanzo una fase in cui si affrontano il bene simboleggiato dal Cardinale e il male impersonato dall'Innominato.
I capitoli XXXIII al XLII descrivono al quiete individuale e collettiva dopo susseguirsi di tempeste più o meno burrascose.
La provvidenza fa trionfare il bene sul male e il romanzo si conclude con la redenzione generale di tutti i personaggi che sono stati livellati su una piattaforma di comune tribolazione la peste.
E' da questa collettiva purificazione ricevono tutti gran luce e soprattutto le creature tribolate Renzo e Lucia che finalmente vedono realizzato il loro sogno d'amore con le nozze celebrate da Don Abbondio.
I promessi sposi possono perciò definirsi anche il poema della famiglia l'opera in cui il Manzoni innalza uno stupendo monumento alla famiglia cristiana che vive nella rettitudine e con il suo comportamento intonato al rispetto reciproco degli sposi all'amore di questi per i figli e alla comune comprensione costituisce l'esempio più valido per al formazione di una società caratterizzata dalla concordia e dalla solidarietà elementi indispensabili ad una convivenza giusta e feconda.
Nei promessi sposi confluiscono tutti i motivi delle opere del Manzoni L'autore vi è presente con la cultura con la sua erudizione e con la sua fede religiosa
Alberto Moravia
Alberto Moravia
Nacque a Roma nel 1907. Sin da primo romanzo "gli indifferenti " (1929) a suo modo fonda il neorealismo non tanto per l'impegno ideologico quanto per il vigore cronistico con il quale rappresenta la stoltezza e l'ipocrisia delle classi borghesi.
Lo scrittore così all'età giovanissima di 22 anni si rivela un eccezionale narratore. La borghesia romana è rappresentata da una famiglia; la madre vedova l'amante di questa i figli Carla e Michele e i loro amici.
A questa tematica Moravia rimane ancorato per tutta la vita fondamentalmente fedele a se stesso.
L'evoluzione moraviana consiste in un orizzontale non verticale verso il profondo.
Con la sua opera Moravia mette in evidenza la decadenza anzi la fine di valori borghesi e della stessa borghesia.
I personaggi che essa esprime sono tutti negativi.
Negli indifferenti il personaggio chiave è Michele un insensibile assoluto dal cuore arido: non sa vivere non sa amare non sa odiare ed ha la lucida coscienza della propria viltà ed indifferenza.
Di fattura mediocre sono i suoi racconti :
"La bella vita " (1935) " Le ambizioni sbagliate "(1935) "L'imbroglio " " I sogni del pigro " (1940) "La Mascherata" (1941) "L'amante infelice" (1943) "L'epidemia" 1944).
Nel 1944 Moravia si orienta verso due diverse direzioni; la saggistica "La speranza ossia Cristianesimo e Comunismo " e il romanzo "Agostino".
Alla fine della guerra aderisce al partito Comunista Italiano e nel saggio " La speranza" fa la sua professione di fede e con un audace parallelo confronta la generazione del basso impero di Roma che trovò nel Cristianesimo la fonte della speranza e della vita con la generazione dell'Italia prostata dalla guerra che nel comunismo potrà trovare la fede e la speranza di ripresa e di rinascita morale civile e sociale.
Un romando profondamente psicologico di Moravia è " Agostino" in cui il protagonista a proprie spese a prezzo di un travaglio interiore mediante scabrosissime esperienze in casa e fuori e certi iniziazioni al sesso opera il proprio passaggio dalla fanciullezza alla maturità.
Va attribuita a merito di Moravia la rappresentazione realistica che egli talvolta anche in maniera oltremodo cruda fa nei suoi romanzi della società contemporanea che vede totalmente impegnata nella ricerca di due cose : sesso e denaro avendo perduto tutti i valori.
E' del 1947 il suo romanzo "La romana" ed ancora sesso.
La protagonista non è più una aristocratica ma Adriana una ragazza del popolo spina all'amore e al vizio dalla madre che si prostituisce per vocazione ella è fatta per soddisfare i maschi.
E sesso nell'altro romanzo " La disubbidienza" (1948 ). E qui è opportuno precisare che non è statica la tematica di Moravia ma la società che egli rappresenta.
Sempre con la medesima nota dominante del sesso Moravia scrisse i romanzi "L'amore coniugale" e "il conformista" dove il sesso si mescola alla ideologia politica : il protagonista un burocrate conformista invertito che si era integrato nel regime fascista per una sorta di furbizia carrieristica che gli consentirà di ottenere posti in direzione e quindi di realizzarsi sessualmente. Nel romanzo c'è eterosessualità omosessualità maschile e femminile.
Altri suoi romanzi sono " La ciociara" 1957 "La noia " 1962).
La ciociara è un romanzo in cui l'autore perfeziona il suo linguaggio romano-laziale conferendogli un carattere popolare si sente in esso l'impegno dell'autore a rendere omaggio alla Resistenza.
Al lettore "La ciociara" si presenta come probante testimonianza di un vertice artistico di Moravia narratore un'opera solitaria senza alcun rapporto con nessun'altra ne di quelle che la precedettero né di quelle successive. Politica e sesso sono gli elementi basilare della tematica del romanzo che è specchio fedele di un fatto di cronaca, ma anche rappresentazione dell'atmosfera morale e civile in cui la vicenda si svolge; la violenza carnale di cui è vittima Rosetta durante l'occupazione tedesca a Roma diventa emblematica di tutte le violenze private e pubbliche della soldataglia tedesca contro i cittadini e contro l'Italia.
Nel 1954 un'altra opera di Moravia "Il disprezzo " viene ad arricchire la sua produzione artistica ma non la tematica essa rimane fissa.
L'ultima opera particolarmente valida di Moravia è la "noia" il romanzo in cui convergono gli elementi che caratterizzano i contenuti e il tono della sua narrativa : "sciopero" alienazione e sesso con l'aggiunta della noia ( conseguente all'interruzione dell'attività da parte del protagonista).
Nel 1965 viene pubblicato da Moravia "L'attenzione" un romanzo difficile sia per il tono che per lo svolgimento contenutistico : l'arte di Moravia appare più matura ma anche più complessa.
Fu scrittore interprete della sua generazione che sostiene la staticità dell'arte e della sua concezione elementi particolari delle sue tematiche indifferenza conformismo disprezzo noia come risultati dell'alienazione borghese.
Nel 1967 si recò con la sua compagna Maraini in Cina Giappone e Corea come corrispondente giornalista.
Collaborerà con il Corriere della Sera e scriverà Io e Lui pubblicato nel 1971
La vita interiore 1978
1934 nel 1982
L'uomo che guarda nel 1985
Il viaggio a Roma nel 1988
La donna leopardo postumo incompiuto pubblicato nel 1991
Morirà nel 1990
Nacque a Roma nel 1907. Sin da primo romanzo "gli indifferenti " (1929) a suo modo fonda il neorealismo non tanto per l'impegno ideologico quanto per il vigore cronistico con il quale rappresenta la stoltezza e l'ipocrisia delle classi borghesi.
Lo scrittore così all'età giovanissima di 22 anni si rivela un eccezionale narratore. La borghesia romana è rappresentata da una famiglia; la madre vedova l'amante di questa i figli Carla e Michele e i loro amici.
A questa tematica Moravia rimane ancorato per tutta la vita fondamentalmente fedele a se stesso.
L'evoluzione moraviana consiste in un orizzontale non verticale verso il profondo.
Con la sua opera Moravia mette in evidenza la decadenza anzi la fine di valori borghesi e della stessa borghesia.
I personaggi che essa esprime sono tutti negativi.
Negli indifferenti il personaggio chiave è Michele un insensibile assoluto dal cuore arido: non sa vivere non sa amare non sa odiare ed ha la lucida coscienza della propria viltà ed indifferenza.
Di fattura mediocre sono i suoi racconti :
"La bella vita " (1935) " Le ambizioni sbagliate "(1935) "L'imbroglio " " I sogni del pigro " (1940) "La Mascherata" (1941) "L'amante infelice" (1943) "L'epidemia" 1944).
Nel 1944 Moravia si orienta verso due diverse direzioni; la saggistica "La speranza ossia Cristianesimo e Comunismo " e il romanzo "Agostino".
Alla fine della guerra aderisce al partito Comunista Italiano e nel saggio " La speranza" fa la sua professione di fede e con un audace parallelo confronta la generazione del basso impero di Roma che trovò nel Cristianesimo la fonte della speranza e della vita con la generazione dell'Italia prostata dalla guerra che nel comunismo potrà trovare la fede e la speranza di ripresa e di rinascita morale civile e sociale.
Un romando profondamente psicologico di Moravia è " Agostino" in cui il protagonista a proprie spese a prezzo di un travaglio interiore mediante scabrosissime esperienze in casa e fuori e certi iniziazioni al sesso opera il proprio passaggio dalla fanciullezza alla maturità.
Va attribuita a merito di Moravia la rappresentazione realistica che egli talvolta anche in maniera oltremodo cruda fa nei suoi romanzi della società contemporanea che vede totalmente impegnata nella ricerca di due cose : sesso e denaro avendo perduto tutti i valori.
E' del 1947 il suo romanzo "La romana" ed ancora sesso.
La protagonista non è più una aristocratica ma Adriana una ragazza del popolo spina all'amore e al vizio dalla madre che si prostituisce per vocazione ella è fatta per soddisfare i maschi.
E sesso nell'altro romanzo " La disubbidienza" (1948 ). E qui è opportuno precisare che non è statica la tematica di Moravia ma la società che egli rappresenta.
Sempre con la medesima nota dominante del sesso Moravia scrisse i romanzi "L'amore coniugale" e "il conformista" dove il sesso si mescola alla ideologia politica : il protagonista un burocrate conformista invertito che si era integrato nel regime fascista per una sorta di furbizia carrieristica che gli consentirà di ottenere posti in direzione e quindi di realizzarsi sessualmente. Nel romanzo c'è eterosessualità omosessualità maschile e femminile.
Altri suoi romanzi sono " La ciociara" 1957 "La noia " 1962).
La ciociara è un romanzo in cui l'autore perfeziona il suo linguaggio romano-laziale conferendogli un carattere popolare si sente in esso l'impegno dell'autore a rendere omaggio alla Resistenza.
Al lettore "La ciociara" si presenta come probante testimonianza di un vertice artistico di Moravia narratore un'opera solitaria senza alcun rapporto con nessun'altra ne di quelle che la precedettero né di quelle successive. Politica e sesso sono gli elementi basilare della tematica del romanzo che è specchio fedele di un fatto di cronaca, ma anche rappresentazione dell'atmosfera morale e civile in cui la vicenda si svolge; la violenza carnale di cui è vittima Rosetta durante l'occupazione tedesca a Roma diventa emblematica di tutte le violenze private e pubbliche della soldataglia tedesca contro i cittadini e contro l'Italia.
Nel 1954 un'altra opera di Moravia "Il disprezzo " viene ad arricchire la sua produzione artistica ma non la tematica essa rimane fissa.
L'ultima opera particolarmente valida di Moravia è la "noia" il romanzo in cui convergono gli elementi che caratterizzano i contenuti e il tono della sua narrativa : "sciopero" alienazione e sesso con l'aggiunta della noia ( conseguente all'interruzione dell'attività da parte del protagonista).
Nel 1965 viene pubblicato da Moravia "L'attenzione" un romanzo difficile sia per il tono che per lo svolgimento contenutistico : l'arte di Moravia appare più matura ma anche più complessa.
Fu scrittore interprete della sua generazione che sostiene la staticità dell'arte e della sua concezione elementi particolari delle sue tematiche indifferenza conformismo disprezzo noia come risultati dell'alienazione borghese.
Nel 1967 si recò con la sua compagna Maraini in Cina Giappone e Corea come corrispondente giornalista.
Collaborerà con il Corriere della Sera e scriverà Io e Lui pubblicato nel 1971
La vita interiore 1978
1934 nel 1982
L'uomo che guarda nel 1985
Il viaggio a Roma nel 1988
La donna leopardo postumo incompiuto pubblicato nel 1991
Morirà nel 1990
mercoledì 6 dicembre 2017
Giovanni Pascoli
Giovanni pascoli
CENNI BIOGRAFICI
Giovanni Pascoli quarto di dieci frattelli ( Margherita, Ida, Giacomo, Luigi, Raffaele, Carolina, una seconda Ida, Giulio) nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 quattro minuti prima della fine dell'anno nella casetta materna da Ruggero (amministratore della tenuta Torlonia) e da Caterina Allocatelli Vincenzi.
Il periodo di tempo 1855-1862 segnò gli anni suoi felici dei giochi dei sogni dei primi studi.
Nel 1862 la prima ombra di morte calò sulla sua famiglia serena portando via sua sorella Ida di sette mesi; da allora la morte sembrerà coi suoi funebri colpi battere al ritmo della giovinezza del Pascoli.
Nell'autunno di quell'anno 1862 assieme ai fratelli Luigi, Giacomo e Raffaele fu condotto ad Urbino nel Collegio Raffaello tenuto dai Padri Scolopi. Qui Giovanni compì le scuole elementari e dal 1865 frequentò il Ginnasio. In questo stesso anno un'altra eco di morte risuonò nella sua casa; morì infatti sua sorella Carolina di cinque anni.
Nel 1867 e precisamente il 10 agosto alle ore 18 morì suo padre assassinato mentre tornava a casa su di un calessino tirato da una cavalla storna.
Una scena veramente tragica e di profonda commozione si presentò nei colori più sconsolati alla famigliola che man mano andava assottigliandosi la cavallina storna sul calessino insanguinato riportava a casa il padre di tante creature.
Poco dopo morì la primogenita di 18 anni. Nel 1868 consunta dal dolore morì la madre dell'ormai inconsolabile Giovanni.
Rimasero sette fanciulli con scarsissimi mezzi e senza conforto di affetti. Nel 1871 Giovanni terminata la prima liceale e lasciata Urbino trovò rifugio nella famiglia Tognacci poi a Rimini presso il fratello Giacomo perito agrimensore dove frequentò la secondo liceale . In questo anno morì il fratello Luigi.
Nel 1873 lasciò Firenze dopo aver sostenuto gli esami di licenza liceale fu però rimandato in scienze e si recò a Cesena dove in ottobre per i meriti letterari ottenne la licenza. Vinse la borsa di studio per l'Università.
Nell'anno 1876 morì il fratello Giacomo già padre di due figli. Giovanni così rimase il capo della famiglia ridotta ormai a sole cinque persone.
Miseria e angoscia furono le caratteristiche di questo periodo nel quale non dalla tristezza fu dominata l'anima di Giovanni ma dalla ribellione. Irreligione e spirito di rivolta o meglio di giustizia sociale distinsero in quegli anni la vita di Pascoli.
Dal 1876 al 1880 passò cinque anni di ignavia e di ira. Nel 1879 dopo varie dimostrazioni socialiste per dei compagni condannati fu arrestato e rinchiuso nel carcere di San Giovanni al Monte vi stette dal 7 settembre al 22 dicembre.
Uscì assolto ma ancora la fame lo tormentò fu su punto di uccidersi ma lo distolse la voce ammonitrice della madre morta.
L'ingiusta povertà e l'assassinio furono il fermento per tutto il suo umanissimo pensiero e la poesia futura.
Uscito dal carcere riprese gli studi si laureò e iniziò la sua carriera di insegnante prima nel liceo di Matera 1882 poi in quello di Massa 1884-1887 e quindi in quello di Livorno 1887-1895 in qualità di professore di latino e di greco.
Nel 1895 insegnò da straordinario grammatica greca e latina nell'Università di Bologna quindi senza concorso fu nominato Docente di Letteratura latina nell'Università di Messina dal romagnolo Giovanni Bonghi ministro dell'istruzione.
Nel 1903 si trasferì a Pisa e nel 1907 fu chiamato a succedere al Carducci nella cattedra di letteratura italiana nell'Università di Bologna.
Il 18 febbraio del 1912 già grave fu trasferito dalla sua casetta di Castelvecchio a Bologna dove il 6 aprile alle ore 15.30 morì.
CENNI BIOGRAFICI
Giovanni Pascoli quarto di dieci frattelli ( Margherita, Ida, Giacomo, Luigi, Raffaele, Carolina, una seconda Ida, Giulio) nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 quattro minuti prima della fine dell'anno nella casetta materna da Ruggero (amministratore della tenuta Torlonia) e da Caterina Allocatelli Vincenzi.
Il periodo di tempo 1855-1862 segnò gli anni suoi felici dei giochi dei sogni dei primi studi.
Nel 1862 la prima ombra di morte calò sulla sua famiglia serena portando via sua sorella Ida di sette mesi; da allora la morte sembrerà coi suoi funebri colpi battere al ritmo della giovinezza del Pascoli.
Nell'autunno di quell'anno 1862 assieme ai fratelli Luigi, Giacomo e Raffaele fu condotto ad Urbino nel Collegio Raffaello tenuto dai Padri Scolopi. Qui Giovanni compì le scuole elementari e dal 1865 frequentò il Ginnasio. In questo stesso anno un'altra eco di morte risuonò nella sua casa; morì infatti sua sorella Carolina di cinque anni.
Nel 1867 e precisamente il 10 agosto alle ore 18 morì suo padre assassinato mentre tornava a casa su di un calessino tirato da una cavalla storna.
Una scena veramente tragica e di profonda commozione si presentò nei colori più sconsolati alla famigliola che man mano andava assottigliandosi la cavallina storna sul calessino insanguinato riportava a casa il padre di tante creature.
Poco dopo morì la primogenita di 18 anni. Nel 1868 consunta dal dolore morì la madre dell'ormai inconsolabile Giovanni.
Rimasero sette fanciulli con scarsissimi mezzi e senza conforto di affetti. Nel 1871 Giovanni terminata la prima liceale e lasciata Urbino trovò rifugio nella famiglia Tognacci poi a Rimini presso il fratello Giacomo perito agrimensore dove frequentò la secondo liceale . In questo anno morì il fratello Luigi.
Nel 1873 lasciò Firenze dopo aver sostenuto gli esami di licenza liceale fu però rimandato in scienze e si recò a Cesena dove in ottobre per i meriti letterari ottenne la licenza. Vinse la borsa di studio per l'Università.
Nell'anno 1876 morì il fratello Giacomo già padre di due figli. Giovanni così rimase il capo della famiglia ridotta ormai a sole cinque persone.
Miseria e angoscia furono le caratteristiche di questo periodo nel quale non dalla tristezza fu dominata l'anima di Giovanni ma dalla ribellione. Irreligione e spirito di rivolta o meglio di giustizia sociale distinsero in quegli anni la vita di Pascoli.
Dal 1876 al 1880 passò cinque anni di ignavia e di ira. Nel 1879 dopo varie dimostrazioni socialiste per dei compagni condannati fu arrestato e rinchiuso nel carcere di San Giovanni al Monte vi stette dal 7 settembre al 22 dicembre.
Uscì assolto ma ancora la fame lo tormentò fu su punto di uccidersi ma lo distolse la voce ammonitrice della madre morta.
L'ingiusta povertà e l'assassinio furono il fermento per tutto il suo umanissimo pensiero e la poesia futura.
Uscito dal carcere riprese gli studi si laureò e iniziò la sua carriera di insegnante prima nel liceo di Matera 1882 poi in quello di Massa 1884-1887 e quindi in quello di Livorno 1887-1895 in qualità di professore di latino e di greco.
Nel 1895 insegnò da straordinario grammatica greca e latina nell'Università di Bologna quindi senza concorso fu nominato Docente di Letteratura latina nell'Università di Messina dal romagnolo Giovanni Bonghi ministro dell'istruzione.
Nel 1903 si trasferì a Pisa e nel 1907 fu chiamato a succedere al Carducci nella cattedra di letteratura italiana nell'Università di Bologna.
Il 18 febbraio del 1912 già grave fu trasferito dalla sua casetta di Castelvecchio a Bologna dove il 6 aprile alle ore 15.30 morì.
martedì 5 dicembre 2017
Giovanni Verga
Giovanni Verga
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
mercoledì 29 novembre 2017
Giosuè Carducci
Giosuè Carducci
CENNI BIOGRAFICI
Il Carducci è l'espressione più originale e vigorosa dell'anima poetica dell'Italia nella seconda metà de secolo XIX.
Egli nacque in Val di Castello frazione Pietrasanta in Versilia il 27 luglio 1835 secondogenito dal medico Michele d'antico sangue fiorentino e da Ildegonda Celli.
Il padre carbonaro per i fatti del 183 in Toscana, patì prigionia e relegazione passò per le sue idee politiche di condotta in condotta e nell'aprile del 1849 da Saiatico riparò in Firenze dove studiò presso i Padri Scolopi.
Laureatosi a Pisa nel '56 ebbe una cattedra nel ginnasio granducale di San Miniato al Tedesco.
Nel '58 vinse il concorso per il ginnasio municipale di Arezzo, ma per l'accusa di empietà religiosa il governo non rettificò la nomina. In seguito alla morte del padre e del fratello maggiore Dante passò a Firenze dove studiò alacremente e cercò di provvedere anche alla madre ed al fratello minore Valfredo curando le edizioni di classici per l'editore Barbera.
Nel '59 sposò Elvira Menicucci da cui ebbe 4 figli di questi Dante morì bimbo di tre anni con suo sconsolato dolore.
Nell'agosto del '60 era professore al liceo di Pistoia quando Terenzio Mamiani ministro dell'istruzione lo chiamò ad insegnare letteratura italiana nell'Università di Bologna.
La sua vita fu tutta dedita alla poesia alla scuola alla famiglia e alle battaglie civili.
Verso il '60 era stato liberale sabaudo dopo i fatti di Aspromonte fu repubblicano. In tale qualità venne eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo, nel '76.
Verso l'80 si riconciliò con la monarchia per quell'onesto senso della storica necessità cui si erano già spiegate le tempre di Garibaldi e Crispi cioè l'amore patrio preminente ad ogni considerazione di partito.
Nel '90 fu nominato Senatore del regno. Nel 1904 gravi condizioni di salute lo costrinsero a lasciare l'insegnamento dopo quarant'anni di servizio, cui aveva atteso con mirabile zelo e con fiero senso del dovere.
Ebbe dal governo la medesima pensione assegnata al Manzoni nel 1906:
La Svezia gli conferì il premio Nobel per la letteratura.
Il 16 febbraio 1907 morì a Bologna.
LE OPERE
Iuvenilia - contengono disdegni del Carducci per il romanticismo disdegni che si concretano spesso con gli ammonimenti patrii e morali. Il poeta si fa vindice del suo pensiero "nello squallore de l'etade obliqua".
Levia Gravia- Raccolta nella quale compaiono vagheggiamenti nella natura quadri storici e celebrazioni pattriottiche.
Inno a Satana - E' suggestivo in alcune immagini specialmente in quella finale del treno ferroviario; l'inno tratta materiale che sarà sempre poi caro al poeta. IN Satana il Carducci vede non l'anticristo ma il moderno Prometeo, che rompe le secolari catene che lo legano per agire secondo verità e pure civiltà.
Giambi e Epodi - Poesie che, per lo sdegno satirico, si atteggiano come i Giambi di Archiloco poeta greco e per il contenuto politico ricordano gli Epodi di Orazio poeta latino. Di fronte al generale sconforto degli italiani per la sconfitta di Lissa e Custoza il poeta si leva indignato a fustigare i fiacchi e gli imbelli.
Intermezzo - segna il passaggio dai Giambi ed Epodi alle Rime Nuove; contiene canti di polemica letteraria diretti non solo contro i Romantici ma contro tutti gli assertori o seguaci di tendenze alle quali il Carducci si sentiva contrario.
Rime Nuove - Queste hanno varie inspirazioni . IN esse spira una serena contemplazione della natura e una sentimentale ondata di memorie giovanili. Il canto più famoso è senza dubbio "Davanti San Guido " dove il poeta immagina di conversare con i cipressi che lo videro bambino e adombra della novella della nonna Lucia il dileguarsi del giovanile incanto lamentato nel sonetto Traversando la Maremma Toscana.
La Canzone di Legnano e Ca ira - Qui canta ribelli ed eroi; assurge evocare i fasti della Lega Lombarda nella prima e nei sonetti Ca ira rappresenta i primi terribili episodi della Rivoluzione Francese.
Le Odi Barbare- L'arte carducciana nella Odi Barbare raggiunge la più alta espressione. Queste Odi sono chiamate barbare dal poeta perché cerca di rendere gli schemi della metrica della poesia greca e latina con il sistema accentuativo anziché quello quantitativo rivelando così che sono scritti da un barbaro cioè da un poeta non greco né romano. In esse si fondano i primi essenziali e vitali elementi della ispirazione del Carducci e l'unità di sentimenti diventa melodiosa euritmia.
Vate della terza Italia egli da Toma trae i più fulgidi auspici; vuole compiuta l'Italia sino ai suoi confini etnici; esalta le figure dei liberatori di Garibaldi in specie.
Rime e Ritmi - In questi componimenti poetici più intimi si fanno i colloqui con l'infinito che attende il poeta nel suo mistero e su chi la già respinte fede di Cristo getta un raggio e diffonde un cantico.
CENNI BIOGRAFICI
Il Carducci è l'espressione più originale e vigorosa dell'anima poetica dell'Italia nella seconda metà de secolo XIX.
Egli nacque in Val di Castello frazione Pietrasanta in Versilia il 27 luglio 1835 secondogenito dal medico Michele d'antico sangue fiorentino e da Ildegonda Celli.
Il padre carbonaro per i fatti del 183 in Toscana, patì prigionia e relegazione passò per le sue idee politiche di condotta in condotta e nell'aprile del 1849 da Saiatico riparò in Firenze dove studiò presso i Padri Scolopi.
Laureatosi a Pisa nel '56 ebbe una cattedra nel ginnasio granducale di San Miniato al Tedesco.
Nel '58 vinse il concorso per il ginnasio municipale di Arezzo, ma per l'accusa di empietà religiosa il governo non rettificò la nomina. In seguito alla morte del padre e del fratello maggiore Dante passò a Firenze dove studiò alacremente e cercò di provvedere anche alla madre ed al fratello minore Valfredo curando le edizioni di classici per l'editore Barbera.
Nel '59 sposò Elvira Menicucci da cui ebbe 4 figli di questi Dante morì bimbo di tre anni con suo sconsolato dolore.
Nell'agosto del '60 era professore al liceo di Pistoia quando Terenzio Mamiani ministro dell'istruzione lo chiamò ad insegnare letteratura italiana nell'Università di Bologna.
La sua vita fu tutta dedita alla poesia alla scuola alla famiglia e alle battaglie civili.
Verso il '60 era stato liberale sabaudo dopo i fatti di Aspromonte fu repubblicano. In tale qualità venne eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo, nel '76.
Verso l'80 si riconciliò con la monarchia per quell'onesto senso della storica necessità cui si erano già spiegate le tempre di Garibaldi e Crispi cioè l'amore patrio preminente ad ogni considerazione di partito.
Nel '90 fu nominato Senatore del regno. Nel 1904 gravi condizioni di salute lo costrinsero a lasciare l'insegnamento dopo quarant'anni di servizio, cui aveva atteso con mirabile zelo e con fiero senso del dovere.
Ebbe dal governo la medesima pensione assegnata al Manzoni nel 1906:
La Svezia gli conferì il premio Nobel per la letteratura.
Il 16 febbraio 1907 morì a Bologna.
LE OPERE
Iuvenilia - contengono disdegni del Carducci per il romanticismo disdegni che si concretano spesso con gli ammonimenti patrii e morali. Il poeta si fa vindice del suo pensiero "nello squallore de l'etade obliqua".
Levia Gravia- Raccolta nella quale compaiono vagheggiamenti nella natura quadri storici e celebrazioni pattriottiche.
Inno a Satana - E' suggestivo in alcune immagini specialmente in quella finale del treno ferroviario; l'inno tratta materiale che sarà sempre poi caro al poeta. IN Satana il Carducci vede non l'anticristo ma il moderno Prometeo, che rompe le secolari catene che lo legano per agire secondo verità e pure civiltà.
Giambi e Epodi - Poesie che, per lo sdegno satirico, si atteggiano come i Giambi di Archiloco poeta greco e per il contenuto politico ricordano gli Epodi di Orazio poeta latino. Di fronte al generale sconforto degli italiani per la sconfitta di Lissa e Custoza il poeta si leva indignato a fustigare i fiacchi e gli imbelli.
Intermezzo - segna il passaggio dai Giambi ed Epodi alle Rime Nuove; contiene canti di polemica letteraria diretti non solo contro i Romantici ma contro tutti gli assertori o seguaci di tendenze alle quali il Carducci si sentiva contrario.
Rime Nuove - Queste hanno varie inspirazioni . IN esse spira una serena contemplazione della natura e una sentimentale ondata di memorie giovanili. Il canto più famoso è senza dubbio "Davanti San Guido " dove il poeta immagina di conversare con i cipressi che lo videro bambino e adombra della novella della nonna Lucia il dileguarsi del giovanile incanto lamentato nel sonetto Traversando la Maremma Toscana.
La Canzone di Legnano e Ca ira - Qui canta ribelli ed eroi; assurge evocare i fasti della Lega Lombarda nella prima e nei sonetti Ca ira rappresenta i primi terribili episodi della Rivoluzione Francese.
Le Odi Barbare- L'arte carducciana nella Odi Barbare raggiunge la più alta espressione. Queste Odi sono chiamate barbare dal poeta perché cerca di rendere gli schemi della metrica della poesia greca e latina con il sistema accentuativo anziché quello quantitativo rivelando così che sono scritti da un barbaro cioè da un poeta non greco né romano. In esse si fondano i primi essenziali e vitali elementi della ispirazione del Carducci e l'unità di sentimenti diventa melodiosa euritmia.
Vate della terza Italia egli da Toma trae i più fulgidi auspici; vuole compiuta l'Italia sino ai suoi confini etnici; esalta le figure dei liberatori di Garibaldi in specie.
Rime e Ritmi - In questi componimenti poetici più intimi si fanno i colloqui con l'infinito che attende il poeta nel suo mistero e su chi la già respinte fede di Cristo getta un raggio e diffonde un cantico.
martedì 28 novembre 2017
Il verismo
Il verismo
Il verismo che uno delle più notevoli correnti letterarie della metà del Ottocento nacque e si sviluppò in Italia tra il 1870 e 1890 quando la passione eroica del Risorgimento si era spenta e la soluzione di gravi problemi sociali richiedeva uomini particolarmente sensibili nell'interpretare le esigenze di singole popolazioni del Regno d'Italia.
Il Romanticismo eroico che aveva animato tutti glia avvenimenti storici del Risorgimento nazionale si era definitivamente chiuso. Un'altra sorta di Romanticismo che in un certo senso si identificava con il Decadentismo del Prati e dell'Aleardi si andava divulgando lugubre e lacrimoso un po' dappertutto in Italia. Era intanto penetrato in Italia il Realismo naturalistico d'importazione francese ad opera dei cosiddetti autori-ritrattisti o fotografi Flaubert e Zola che diedero origine al romanzo naturalista.
Il Verismo italiano fu però un orientamento letterario autonomo; non può infatti ricollegarsi in alcun modo al realismo francese su cui ampia e determinante fu al concezione filosofico-scientifica del Positivismo.
Un termine di confronto con il Verismo può trovare soltanto con il Romanticismo manzoniano che, se ebbe come canone artistico la poetica del vero , non si sottrasse, tuttavia al soggettivismo e all'individualismo.
CARATTERI FONDAMENTALI DEL VERISMO
I ) Impersonalità dell'arte.
L'autore dell'opera d'arte doveva rimanere estraneo alla vicenda ritratta realisticamente e narrata senza la partecipazione né reale né fantastica.
Il romanzo, la novella e gli altri generi in cui si manifestò il Verismo diventavano un aspetto della scienza (letteratura come scienza), il cui oggetto di studio si concretizzava nell'analisi psicologica ed ecologica (commozioni, sentimenti, turbe fisiche e psichiche dell'uomo caratteristiche dell'ambiente considerato come naturale sede e dimora del singolo e della collettività).
II) Socialità dell'arte.
I veristi intesero l'arte come dimostrazione di una fede laica e sociale. Essi ebbero come fine l'azione e la documentazione dell'azione e della vicenda umana inquadrata in un momento storico in un contesto sociale in cui spiccassero soprattutto le reali condizione delle classi più misere.
III) Funzione promozionale dell'arte.
I veristi tendevano a scoprire la legge di ogni fenomeno, specialmente sociale ed ad illuminare la ragione che, fatta esperta di tutti gli organi e le leve del meccanismo umano, fisiologico e psicologico e perciò anche sociologico, avrebbe potuto eliminare dal mondo il vizio e determinare attraverso il processo scientifico il programma ed il perfezionamento del singolo individuo e dell'aggregato sociale.
IV) Popolarità e dialettalità della espressione.
I veristi mentre operavano per una sempre maggiore conoscenza dei luoghi che diventavano la panoramica su cui si svolgeva la vicenda delle loro novelle o dei loro romanzi interessavano i lettori delle loro opere, scrivendo con un lingua più possibile vicina al cittadino o al popolo di cui si narrava. Rendevano così più vera e realistica la narrazione e quindi più viva la partecipazione del lettore e cioè più efficace ai fini politici e sociali la letteratura cui davano di volta in volta origine.
V) la letteratura come strumento di denuncia.
Le opere dei veristi servivano ai loro autore come mezzi di denuncia sociale. Si ricordi che tra il 1870 e il 1890 dalle popolazioni delle isole e delle regioni meridionali d'Italia, particolarmente richiesta era la soluzione della questione sociale. Erano gli strati più bassi delle popolazioni siciliano sarde napoletano calabresi, delle popolazione del Mezzogiorno d'Italia c he con insistenza invocavano riforme e leggi che risolvessero il problema complesso ed annoso della miseria.
Gli autori veristi superando in un certo senso il lassismo e la sfiducia dilagante nelle loro regioni più che nelle loro province, in virtù della fede laica e sociale che può considerarsi la leva del loro operare, raccolsero e resero pubblica con il metodo della denuncia, la protesta di tutta la classe sociale la più vasta quella che dal lavoro senza protezione e senza tutela né giuridica né previdenziale doveva trarre gli scarsi mezzi di sostentamento.
Le regioni più profondamente esaminate con i criteri della scienza positivistico-sociologica furono Sicilia (Capuana e Verga) la Sardegna (Grazia Deledda) la Maremma Toscana (Renato Fucini con lo pseudonimo Neri Tanfucio) e i bassifondi di Napoli (Matilde Serao).
Anche D'Annunzio descrissse la vita dei pastori d'Abruzzo e Ada Negri.
Il verismo che uno delle più notevoli correnti letterarie della metà del Ottocento nacque e si sviluppò in Italia tra il 1870 e 1890 quando la passione eroica del Risorgimento si era spenta e la soluzione di gravi problemi sociali richiedeva uomini particolarmente sensibili nell'interpretare le esigenze di singole popolazioni del Regno d'Italia.
Il Romanticismo eroico che aveva animato tutti glia avvenimenti storici del Risorgimento nazionale si era definitivamente chiuso. Un'altra sorta di Romanticismo che in un certo senso si identificava con il Decadentismo del Prati e dell'Aleardi si andava divulgando lugubre e lacrimoso un po' dappertutto in Italia. Era intanto penetrato in Italia il Realismo naturalistico d'importazione francese ad opera dei cosiddetti autori-ritrattisti o fotografi Flaubert e Zola che diedero origine al romanzo naturalista.
Il Verismo italiano fu però un orientamento letterario autonomo; non può infatti ricollegarsi in alcun modo al realismo francese su cui ampia e determinante fu al concezione filosofico-scientifica del Positivismo.
Un termine di confronto con il Verismo può trovare soltanto con il Romanticismo manzoniano che, se ebbe come canone artistico la poetica del vero , non si sottrasse, tuttavia al soggettivismo e all'individualismo.
CARATTERI FONDAMENTALI DEL VERISMO
I ) Impersonalità dell'arte.
L'autore dell'opera d'arte doveva rimanere estraneo alla vicenda ritratta realisticamente e narrata senza la partecipazione né reale né fantastica.
Il romanzo, la novella e gli altri generi in cui si manifestò il Verismo diventavano un aspetto della scienza (letteratura come scienza), il cui oggetto di studio si concretizzava nell'analisi psicologica ed ecologica (commozioni, sentimenti, turbe fisiche e psichiche dell'uomo caratteristiche dell'ambiente considerato come naturale sede e dimora del singolo e della collettività).
II) Socialità dell'arte.
I veristi intesero l'arte come dimostrazione di una fede laica e sociale. Essi ebbero come fine l'azione e la documentazione dell'azione e della vicenda umana inquadrata in un momento storico in un contesto sociale in cui spiccassero soprattutto le reali condizione delle classi più misere.
III) Funzione promozionale dell'arte.
I veristi tendevano a scoprire la legge di ogni fenomeno, specialmente sociale ed ad illuminare la ragione che, fatta esperta di tutti gli organi e le leve del meccanismo umano, fisiologico e psicologico e perciò anche sociologico, avrebbe potuto eliminare dal mondo il vizio e determinare attraverso il processo scientifico il programma ed il perfezionamento del singolo individuo e dell'aggregato sociale.
IV) Popolarità e dialettalità della espressione.
I veristi mentre operavano per una sempre maggiore conoscenza dei luoghi che diventavano la panoramica su cui si svolgeva la vicenda delle loro novelle o dei loro romanzi interessavano i lettori delle loro opere, scrivendo con un lingua più possibile vicina al cittadino o al popolo di cui si narrava. Rendevano così più vera e realistica la narrazione e quindi più viva la partecipazione del lettore e cioè più efficace ai fini politici e sociali la letteratura cui davano di volta in volta origine.
V) la letteratura come strumento di denuncia.
Le opere dei veristi servivano ai loro autore come mezzi di denuncia sociale. Si ricordi che tra il 1870 e il 1890 dalle popolazioni delle isole e delle regioni meridionali d'Italia, particolarmente richiesta era la soluzione della questione sociale. Erano gli strati più bassi delle popolazioni siciliano sarde napoletano calabresi, delle popolazione del Mezzogiorno d'Italia c he con insistenza invocavano riforme e leggi che risolvessero il problema complesso ed annoso della miseria.
Gli autori veristi superando in un certo senso il lassismo e la sfiducia dilagante nelle loro regioni più che nelle loro province, in virtù della fede laica e sociale che può considerarsi la leva del loro operare, raccolsero e resero pubblica con il metodo della denuncia, la protesta di tutta la classe sociale la più vasta quella che dal lavoro senza protezione e senza tutela né giuridica né previdenziale doveva trarre gli scarsi mezzi di sostentamento.
Le regioni più profondamente esaminate con i criteri della scienza positivistico-sociologica furono Sicilia (Capuana e Verga) la Sardegna (Grazia Deledda) la Maremma Toscana (Renato Fucini con lo pseudonimo Neri Tanfucio) e i bassifondi di Napoli (Matilde Serao).
Anche D'Annunzio descrissse la vita dei pastori d'Abruzzo e Ada Negri.
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