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venerdì 27 settembre 2024

letteratura - vita e opere di Vincenzo Monti in breve

letteratura - vita e opere di Vincenzo Monti in breve



 Vincenzo Monti (1754-1828) è stato uno dei maggiori poeti e letterati italiani del periodo neoclassico e preromantico. La sua carriera è stata caratterizzata da un continuo adattamento alle vicende politiche e culturali della sua epoca, e la sua vasta produzione spazia tra vari generi, inclusi poesie, traduzioni e opere teatrali.

Vita

Monti nacque a Fusignano, in Romagna, il 19 febbraio 1754. Dopo aver studiato a Ferrara, si trasferì a Roma, dove divenne poeta di corte sotto papa Pio VI. Tuttavia, con l'arrivo delle truppe napoleoniche in Italia, Monti cambiò rapidamente schieramento, adattandosi alla nuova situazione politica e accettando incarichi dal governo rivoluzionario francese.

Nel 1797, fu incaricato di scrivere inni per celebrare la nascente Repubblica Cisalpina. La sua lealtà politica mutò nuovamente con il ritorno degli austriaci e, infine, con la Restaurazione. Monti riuscì a mantenere la sua reputazione e a rimanere influente fino alla sua morte, avvenuta a Milano nel 1828.

Opere principali

  1. "La Basvilliana" (1793): Un poema ispirato all'assassinio di Hugo de Basville, diplomatico francese ucciso a Roma, è considerata una delle opere più rappresentative del periodo rivoluzionario di Monti.

  2. "Il Bardo della Selva Nera" (1806): Un altro poema epico che mescola elementi romantici e classici.

  3. "La traduzione dell'Iliade" (1810-1823): Forse il suo lavoro più noto, Monti tradusse l’Iliade di Omero in italiano, adattandola secondo i canoni neoclassici. La traduzione ebbe un'enorme influenza sulla cultura italiana del XIX secolo, anche se fu criticata per la sua libertà rispetto al testo originale.

  4. "Prometeo" (1801): Tragedia che riprende il mito greco di Prometeo, rappresentativa del pensiero illuminista di Monti.

Monti fu spesso criticato per il suo opportunismo politico, ma resta uno degli autori più significativi del suo tempo, in grado di coniugare il classicismo formale con i nuovi fermenti culturali dell'epoca.

La sua capacità di adattarsi ai cambiamenti politici, senza rinunciare alla propria identità letteraria, lo ha reso un intellettuale centrale nella transizione tra illuminismo, neoclassicismo e romanticismo.

domenica 15 settembre 2024

la vita di Dante Alighieri

 

vita di dante

La prima vita e le influenze di Dante Alighieri

La prima infanzia di Dante Alighieri fu plasmata da un contesto familiare nobile ma modesto che influenzò il suo futuro come poeta e pensatore[1]. Nato a Firenze, visse in un vivace centro cittadino, circondato da monumenti notevoli come una torre tronca e il Battistero[1]. Da bambino, Dante sperimentò la perdita dei suoi genitori, che lasciò lui e la sorella maggiore a navigare insieme la loro giovinezza[2]. Questo ambiente familiare gli fornì una prospettiva unica sulla vita, poiché fu esposto sia ai privilegi che alle lotte dello status nobile. Tali esperienze avrebbero poi riecheggiato in tutte le sue opere letterarie, dove spesso emergono temi di perdita e resilienza.

L'istruzione di Dante ebbe un ruolo cruciale nel plasmare le sue influenze letterarie e le sue ricerche intellettuali[3]. Fu fortunato ad avere accesso all'istruzione, un privilegio non facilmente concedibile ai suoi tempi. Da giovane, fu influenzato da rinomati studiosi, in particolare Brunetto Latini, i cui insegnamenti lasciarono un'impressione duratura sullo sviluppo letterario di Dante[4]. I suoi studi si estesero oltre gli studiosi locali fino ad arrivare ad autori classici, tra cui Virgilio e Ovidio[5]. Questa esposizione letteraria diversificata permise a Dante di coltivare un profondo apprezzamento per la lingua e la poesia, che alla fine contribuì al suo ruolo di padre della lingua italiana[6]. La combinazione di esperienze personali e influenze educative gettò solide basi per le sue opere successive, in particolare la Divina Commedia.

Il coinvolgimento di Dante nel panorama politico di Firenze influenzò significativamente la sua traiettoria di vita, portando al suo eventuale esilio[7]. Fervido difensore dell'autonomia del Comune, cercò attivamente di mediare la violenta discordia tra fazioni rivali, in particolare i Guelfi e i Ghibellini[7]. Tuttavia, la sua posizione politica portò ad accuse di opposizione al Papa e di appropriazione indebita di fondi pubblici, che comportarono una multa e un esilio di due anni da Firenze[8]. Questo periodo di esilio non solo trasformò le sue opinioni politiche, ma ispirò anche un modello di governo più universale che in seguito articolò nei suoi scritti[9]. Le esperienze vissute durante questo periodo tumultuoso arricchirono ulteriormente il suo contributo letterario, poiché fornirono approfondimenti sulle complessità della natura umana e della giustizia sociale.

lunedì 26 agosto 2024

italiano - Vincenzo Cuoco

 italiano - Vincenzo Cuoco


Vincenzo Cuoco nacque a Civitacampomarano, nel Molise, nel 1770.

Venuto a Napoli ne 1787 per compiere gli studi di giurisprudenza, si dedicò, invece, all'economia, alla filosofia, alla storia, alla politica. la sua cultura si formò principalmente sugli illuministi napoletani (Genovesi, Galiani, Galanti) e francesi (Montesquieu, Rousseau), ma da essi egli risalì a Macchiavelli e al Vico, la tendenza a una concezione organica della storia e il riconoscimento  del valore della tradizione. Quando, nel '99, scoppiarono  a Napoli  i moti rivoluzionari, conclusisi con la sostenitore del nuovo governo. Notevoli furono, in  questo periodo, le Lettere a Vincenzo Russo, nelle quali discuteva la Costituzione che i repubblicani venivano elaborando e proponeva di estendere le autonomie locali.

Dopo il trionfo della controrivoluzione, fu processato e condannato a vent'anni  d'esilio. riparò prima in Francia, poi a Milano, dove, nel 1801, pubblicò il Saggio Storico  sulla rivoluzione napoletana del 179j9. Ricoprì, quindi, vari incarichi , prima nella Repubblica Cisalpina, poi  nella Repubblica Italiana, il più importante dei quali fu la direzione del Giornale Italiano (1804-1806). Dalle colonne di ess svolse un'attiva propaganda nazionale, incitando gli Italiani a un rinnovamento morale, sociale, politico, economico, che li rendesse degni dell'indipendenza. E' di questi anni anche il Platone in Italia, un romanzo  epistolare che sosteneva la tesi di  un'antichissima civiltà fiorita nell'Italia meridionale prima della colonizzazione greca, e auspicava una rinascita spirituale dell'Italia non ispirata da ideologie straniere, ma dalle sue tradizioni di pensiero  e di civiltà; un motivo, questo, che sarà ampiamente sviluppato ne Risorgimento  e culminerà nel Primato di Gioberti.

Nel 1806, caduti i Borboni, il Cuoco tornò a Napoli, dove coprì importanti cariche sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Dopo la restaurazione borbonica si ritirò  dalla vita politica, e morì pazzo nel 1823.

L'opera sua più importante è il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, lucida e appassionata storia d'idee oltre che di fatti. L'autore racconta le vicende della Repubblica Partenopea, inquadrandole in un'acuta disamina della storia europea di quegli anni, dalla Rivoluzione francese, di cui critica l'impostazione e i procedimenti, al suo diffondersi in Italia, fino al trattato di Campoformio, e rievoca le illusioni dei patrioti napletani e l'eroismo col quale seppero sostenere i proprio ideali fino al sacrificio.

Il Saggio riconduce all'astrattezza dottrinaria dei repubblicani il fallimento  della loro azione pratica, Il Cuoco afferma che una rivoluzione non può essere opera di ragione ma deve partire da esigenze concrete, economiche e sociali, del popolo, che si muove solo spinto da bisogno, non dalle ideologie. I rivoluzionari napoletani avevano commesso l'errore di voler applicare il regime e la costituzione della Francia(considerandoli perfetti secondo ragione e quindi di valore assoluto) a un popolo diverso per tradizioni, costumi, struttura economica e politica: era stata. quindi, la loro, una rivoluzione passiva, venuta dall'esterno.

Si è parlato, per questo, di storicismo del Cuoco, ma questo giudizio va preso con cautela. Certo, la sua analisi e le sue critiche rispecchiavano un dato di fatto: la Repubblica Partenopea non era riuscita a vivere nella coscienza delle masse popolari che l'avevano avversata, collaborando in maniera decisiva al trionfo della reazione. Ma il Cuoco non teneva sufficientemente conto del fatto che la crisi militare della Repubblica era nata, inevitabilmente, dalle  vittorie della seconda coalizione antifrancese e inoltre peccava anch'egli di astrattezza, quando  non comprendeva i principi della Rivoluzione francese si erano imposti proprio  per il loro carattere d'universalità, e che una rivoluzione non deve soltanto fondarsi sull'esistente, ma creare una realtà nuova, per iniziativa di pochi, che non solo in seguito diventa coscienza comune. Ma egli non era un rivoluzionario, bnsì un riformista, e il suo pensiero approdava a un cauto liberalismo e a un nazonalismo sincero. Infatti nel Giornale Italiano propugnava un'inidpendenza nazionale italiana, che l'Europa  stessa avrebbe dovuto accettare come elemento di equilibrio politico e riconosceva a Napoleone il merito di aver creato in Italia un regime fondato sull'ordine e sulla legalità, nel pieno rispetto dei costumi e delle tradizioni del popolo, dando  nuova vita alle istituzioni militari e avviando un processo politico unitario.

A tale proposito c'è nel Saggio, un'altra importante costatazione: quella dell'esistenza a Napoli e in tutta l'Italia, di due nazioni di diversa cultura, di diversi costumi, persino di linguaggio diverso. E' il problema, che rimarrà centrale nel nostro Risorgimento  e oltre, di colmare l'abisso esistente fra una minoranza intellettuale progressista e legata alla cultura e alla storia europea, e le masse popolari arretrate, immerse da secoli nell'ignoranza e nella miseria.


lunedì 15 luglio 2024

italiano - aggettivi qualificativi - la forma

  italiano - aggettivi qualificativi - la forma 



1 classe : aggettivi che al maschile singolare terminano in -o e hanno quattro forme

bello - bella - belli - belle

2 classe :  aggettivi che al maschile singolare terminano per -e hanno solo due forme 

gentile - gentili

3 classe : aggettivi che al maschile singolare terminano in -a e hanno una forma al singolare e due al plurale

egoista - egoisti - egoiste


giovedì 27 giugno 2024

Il purismo - la questione della lingua

 IL purismo - la questione della lingua


Il ravvivarsi della tradizione nazionale nella coscienza letteraria si manifesta anche nel rinascere della questione della lingua, intesa come lingua scritta, non parlata , e come stile, secondo un'impostazione armai plurisecolare del problema. Si  è visto come, nel corso dei secoli,  tale questione non fosse stata una mera invenzione di retori, ma la manifestazione forse unica dell'ideale sentimento di una comune italianità  proposto dalla comune tradizione letteraria, anche se quasi del tutto privo di riscontri sul piano politico. Ora tuttavia si ha una consapevolezza maggiore che il problema della lingua coinvolge quello dell'unità culturale italiana - e quindi della produzione di testi atti a essere divulgati per tutto il Paese - ed è  espressione, come afferma il Monti , d'uno  "spirito di nazione", dato che la comune lingua letteraria è "l'unico  tratto di fisionomi ache ci conservi l'aspetto di una ancor viva e sola famiglia".

Intenzione comune è quella di reagire alla sciatteria dei prosatori dell'ultimo settecento e al loro uso indiscriminato di francesismi, attuando un ideale di prosa classicamente elaborata e più conforme alle tradizioni espressive e al genio della lingua italiana, e legata, al tempo stesso, alla vita moderna europea. Anche qui, però, le soluzioni proposte riflettono  il contrasto dell'epoca  fra il vecchio e il nuovo, fra il tradizionalismo gretto e uno moderno e progressivo. Al primo appartengono i puristi di stretta osservanza, quali il napoletano Basilio Puoti  e colui che fu salutato come il maestro del purismo, il veronese padre Antonio Cesari(1760-1828), che pr pugnò  il ritorno ai modi e persino al lessico del Trecento, strumento adeguato, a suo avviso  per tutte le esigenze della cultura moderna. Il merito  maggiore di questi puristi sta nell'edizione e nella divulgazione di testi trecenteschi e nella ristampa accresciuta e corretta, opera del Cesari, del dizionario della Crusca. La loro soluzione del problema linguistico  era invece inattuale. 

Più moderna fu quella del piacentino Petro Giordani (1774- 1848) , scrittore  forbito che unì a un moderato purismo  linguistico una concezione classica dello stile. Nelle sue numerose prose d'arte (discorsi, elogi, panegirici, come quello  dedicato a Napoleone, scritti critici, epigrafi) volle unire lingua del Trecento e stile greco, giungendo ad attuare una forma di eloquenza limpida e sobria, che non fu senza effetto sul giovane Leopardi, Vagheggiò l'ideale di una letteratura colta e fervida di affetti, ispirata a nobili idealità  morali ed educative, rivolte ai legislatori, ai giovani, all'elevazione del popolo, animata da un sentimento degli ideali e delle glorie nazionali, che egli propugnò coraggiosamente negli scritti e nella vita, tanto che, dopo il 1815, subì frequenti preseguzioni e anche il carcere.Mancò alla sua opera vigore creativo, ma la sua figura appare fra le più nobili del suo tempo per la probità e per l'influsso che esercitò sui giovani: bati ricordare al sua amicizia con Leopardi, di cui intuì subito la grandezza. Anche la sua soluzione del problema linguistica restò tuttavia troppo aristocratica.


giovedì 23 maggio 2024

il Neoclassicismo

 il Neoclassicismo 


Pur ispirandosi sempre più alla realtà  presente e a una sostanza di  affetti già romanticamente orientata, la poesia di quest'età è legata, in Italia, al gusto neoclassico.

Il Neoclassicismo, sorto, come abbiamo visto nella seconda metà del Settecento, in margine a scoperte archeologiche e agli studi  sull'arte classica del tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann e del pittore austriaco Raffaello Mengs, si era subito esteso dalle arti figurative alla letteratura.

Fondamentale era, in esso, l'idea winckelmanniana che l'arte classica esprimesse, con le sue forme limpide  e la sua euritmia, una calma grandezza e una nobile semplicità, specchio dell'armonia  spirituale che veniva additata come carattere fondamentale dell'età antica. Di conseguenza, l'estetica  neoclassica poneva come scopo dell'arte e della poesia  la contemplazione della bellezza ideale, intesa come trasfigurazione della realtà contingente in immagini di bellezza perfetta, fuori del flusso del divenire, non turbata dall'impeto della passione, consistente in una pura, rarefatta  armonia di forme, colori e di suoni.

Quest'ideale, nell'età napoleonica, si attenuò in forme contrastanti. Nella sua forma più diffusa penetrò  nella moda, nel costume, nelle vesti divenne gusto di scenografie spettacolari e solenni, letteratura di evasione fantastica o intesa a nobilitare col ricordo o meglio  con il travestimento di una romanità di parata, i fasti del regime napoleonico. Il rappresentante più celebrato di questa tendenza fu Vincenzo Monti, che pure a tratti ritrovò nell'adesione al mondo classico una limpida misura di umanità.

In altri settori il Neoclassicismo appare permeato della diffusa sensibilità arcadico-preromantica (Pindemonte) e romantica (Foscolo). Il mondo classico è visto come un mondo di serena armonia per sempre perduto verso il quale l'anima romantica, tormentata e complessa, si protende nostalgicamente. Questo nuovo mito della classicità  fu caro a molti poeti legati al Romanticismo, dal Goethe allo Schiller al Hoelderlin in Germania, allo Shelley e al Keats in Inghilterra, al Foscolo e al Leopardi in Italia.

In genere il neoclassicismo italiano cercò di tradurre in forme d'antica bellezza un contenuto attuale e rinnovò dall'interno il classicismo, contribuendo a sgretolare le norme pedantesche in cui si era sempre più irretito nel corso dei secoli; anche se continuò l'ideale di una letteratura rivolta a un pubblico eletto e della poesia come forma di espressione aristocratica.

Va però considerato il fatto che esso, in genere, lasciò sussistere tra la realtà e la sua rappresentazione artistica, lo schermo di convenzioni letterarie e retoriche che finivano per agire in senso antirealistico: la mitologia antica per esempio diventò una sorta di linguaggio stereotipato, non più legato, per giunta, ad alcuna occasione del vivere e del sentire, E' vero tuttavia che la nuova poetica, proclamata da Andrea Chénier in Francia e da Ippolito Pindemonte in Italia, che si propose di fare dei versi antichi su pensieri nuovi, contribuì a un primo svecchiamento della nostra tradizione.


giovedì 16 maggio 2024

letteratura dell'età napoleonica - introduzione storica

 letteratura dell'età napoleonica - introduzione storica 


Fra gli ultimi anni del Settecento e il 1815 l'Italia visse una delle epoche più importanti  della sua storia moderna : quella dell'invasione delle armate rivoluzionarie francesi (1706 - 99), dell'effimero  tentativo di restaurazione degli  eserciti austro-russi (maggio 1799 - giugno 1800) e della sua partecipazione, dopo la battaglia di Marengo, alla politica napoleonica, prima come Repubblica, poi come Regno satellite, fino alla Restaurazione (1815).

L'ingresso nell'orbita francese ebbe numerosi effetti positivi : la dimensione unitaria impressa alla vita del Paese per la prima volta dopo  i tempi di Roma; lo svecchiamento in senso antifeudale di tutte le forme della vita associata provocato dell'estensione all'Italia del codice napoleonico; il costituirsi, sia pure più lento che altrove, d'una classe borghese egemonica che portò da un lato  più ampie masse di cittadini a partecipare alla vita politica, dall'altro allo svecchiamento di forme decrepite di costume pubblico e privato; con un'idea della politica non più chiusa nel segreto  d'un gruppo  ristretto di corte, ma aperta alla discussione parlamentare e anelante a giustificarsi dinanzi alla pubblica opinione. Questa veniva sollecitata in modo  vario e capillare da una propaganda politica ben organizzata, da un rigoroso controllo dei mezzi d'informazione (i giornali, e l'editoria) ma era pur sempre concepita come fonte e giustificazione della sovranità.

Le armate francesi portavano al loro seguito i grandi principi che avevano ispirato la Rivoluzione francese, ne  facevano un mezzo di lotta, di attrazione della simpatia dei popoli ai quali facevano balenare una speranza nuova di vita. Ma d'altra parte  persisteva  la tortuosa  ragion di stato, che induceva  come nel caso di Campoformio, a un baratto di popoli (la Repubblica di Venezia ceduta all'Austria) ai quali era stata promessa la libertà; gli ideali di libertà e indipendenza vagheggiati  dai nostri patrioti che per essi avevano combattuto accanto alle armate "liberatrici" dei francesi apparivano compromessi dalla prepotenza militare, dal cinismo politico  e dal dispotismo di Napoleone.

Un dato positivo era che questi contrasti implicavano responsabili scelte ideologiche e anche etiche da parte di ampi strati  della popolazione. La politica scendeva nelle piazze, reclutava fra le masse i nuovi eserciti rivoluzionari o controrivoluzionari, i nuovi generali, re e imperatori. Non vi erano più, ormai, guerre d'eserciti, ma di popoli (i partigiani spagnoli contro gli invasori francesi; ma anche i "sanfedisti" contro la Repubblica Partenopea), che  si battevano in nome delle loro tradizioni e del loro diritto alla libertà. Su una nuova idea di nazione tedesca, in contrasto con un secolare particolarismo politico si fondava la resistenza della Germania a Napoleone ; e anche altrove, persino in Italia, incominciava ad affermarsi l'ideale nazionale contro il cosmopolitismo propagandistico delle armate francesi. Il nazionalismo, prima di divenire, come nel tardo Ottocento e nella prima metà del Novecento, volontà prevaricatrice di potenza delle singole stirpi, fu riconoscimento d'una propria civiltà specifica, accompagnato dalla volontà d'una collaborazione civile fra i popoli, di là dalla politica dinastica dei re.

In questi anni, irti di contraddizioni, di guerre, di sofferenze, ma anche di coraggio e di grande attività politica ideologica e d'un forte impegno morale per i popoli europei, si affermò una visione della vita più dinamica sia nei sia nei rapporti pubblici sia in quelli privati, più aperta alla libera iniziativa individuale; se si vuole, più ricca di avventura.

Questo rinnovamento fu più lento in Italia per la sua qualità di stato satellite, e anche per la lentezza con cui si svilupparono  in essa le trasformazioni sociali, Restava da superare il grande divario secolare città-campagna, lo sviluppo  della borghesia  era, e rimarrà, in forte ritardo  rispetto ai paesi europei più progrediti. Tuttavia  el esigenze burocratiche e militari del nuovo stato garantirono un'ampia  circolazione degli Italiani  nella Penisola, vi  ristabilirono una tradizione militare e civile; soprattutto  ricondussero almeno le elites borghesi  e il popolo delle città a un rinnovato interesse per la politica attiva.

Tale interesse, dopo aver ispirato i primi moti insurrezionali all'approssimarsi delle truppe francesi perdura nella Repubblica e poi nel Regno, nella dialettica fra Giacobinismo e moderatismo. Il primo significava scelta del governo repubblicano e spostamento ideologico e politico dal tema della libertà  a quello dell'uguaglianza reale dei cittadini sul piano socio- economico  e politico; il secondo , che ispirò  la politica napoleonica, era inteso al contenimento delle aspirazioni  rivoluzionarie delle masse, soprattutto del  proletariato  e dei contadini e all'accoglimento  della borghesia ricca, accanto ai nobili  e ai proprietari terrier, nella classe dirigente, riservando una funzione subalterna ai piccoli proprietari e alla borghesia impiegatizia.

Fra grandi difficoltà e dure lezioni della storia, fra speranze ardenti e disillusioni i nostri uomini migliori compresero che l'esperienza napoleonica era positiva, perchè stimolava il risveglio d'una coscienza nazionale unitaria e ridestava l'Italia da un sonno secolare, immettendola di nuovo nel vivo della storia europea. Compresero soprattutto che la libertà  non è un dono, ma conquista sofferta e difficile d'un popol. Da questa coscienza maturavano i primi germi del Rinascimento.