italiano - Vincenzo Cuoco
Vincenzo Cuoco nacque a Civitacampomarano, nel Molise, nel 1770.
Venuto a Napoli ne 1787 per compiere gli studi di giurisprudenza, si dedicò, invece, all'economia, alla filosofia, alla storia, alla politica. la sua cultura si formò principalmente sugli illuministi napoletani (Genovesi, Galiani, Galanti) e francesi (Montesquieu, Rousseau), ma da essi egli risalì a Macchiavelli e al Vico, la tendenza a una concezione organica della storia e il riconoscimento del valore della tradizione. Quando, nel '99, scoppiarono a Napoli i moti rivoluzionari, conclusisi con la sostenitore del nuovo governo. Notevoli furono, in questo periodo, le Lettere a Vincenzo Russo, nelle quali discuteva la Costituzione che i repubblicani venivano elaborando e proponeva di estendere le autonomie locali.
Dopo il trionfo della controrivoluzione, fu processato e condannato a vent'anni d'esilio. riparò prima in Francia, poi a Milano, dove, nel 1801, pubblicò il Saggio Storico sulla rivoluzione napoletana del 179j9. Ricoprì, quindi, vari incarichi , prima nella Repubblica Cisalpina, poi nella Repubblica Italiana, il più importante dei quali fu la direzione del Giornale Italiano (1804-1806). Dalle colonne di ess svolse un'attiva propaganda nazionale, incitando gli Italiani a un rinnovamento morale, sociale, politico, economico, che li rendesse degni dell'indipendenza. E' di questi anni anche il Platone in Italia, un romanzo epistolare che sosteneva la tesi di un'antichissima civiltà fiorita nell'Italia meridionale prima della colonizzazione greca, e auspicava una rinascita spirituale dell'Italia non ispirata da ideologie straniere, ma dalle sue tradizioni di pensiero e di civiltà; un motivo, questo, che sarà ampiamente sviluppato ne Risorgimento e culminerà nel Primato di Gioberti.
Nel 1806, caduti i Borboni, il Cuoco tornò a Napoli, dove coprì importanti cariche sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Dopo la restaurazione borbonica si ritirò dalla vita politica, e morì pazzo nel 1823.
L'opera sua più importante è il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, lucida e appassionata storia d'idee oltre che di fatti. L'autore racconta le vicende della Repubblica Partenopea, inquadrandole in un'acuta disamina della storia europea di quegli anni, dalla Rivoluzione francese, di cui critica l'impostazione e i procedimenti, al suo diffondersi in Italia, fino al trattato di Campoformio, e rievoca le illusioni dei patrioti napletani e l'eroismo col quale seppero sostenere i proprio ideali fino al sacrificio.
Il Saggio riconduce all'astrattezza dottrinaria dei repubblicani il fallimento della loro azione pratica, Il Cuoco afferma che una rivoluzione non può essere opera di ragione ma deve partire da esigenze concrete, economiche e sociali, del popolo, che si muove solo spinto da bisogno, non dalle ideologie. I rivoluzionari napoletani avevano commesso l'errore di voler applicare il regime e la costituzione della Francia(considerandoli perfetti secondo ragione e quindi di valore assoluto) a un popolo diverso per tradizioni, costumi, struttura economica e politica: era stata. quindi, la loro, una rivoluzione passiva, venuta dall'esterno.
Si è parlato, per questo, di storicismo del Cuoco, ma questo giudizio va preso con cautela. Certo, la sua analisi e le sue critiche rispecchiavano un dato di fatto: la Repubblica Partenopea non era riuscita a vivere nella coscienza delle masse popolari che l'avevano avversata, collaborando in maniera decisiva al trionfo della reazione. Ma il Cuoco non teneva sufficientemente conto del fatto che la crisi militare della Repubblica era nata, inevitabilmente, dalle vittorie della seconda coalizione antifrancese e inoltre peccava anch'egli di astrattezza, quando non comprendeva i principi della Rivoluzione francese si erano imposti proprio per il loro carattere d'universalità, e che una rivoluzione non deve soltanto fondarsi sull'esistente, ma creare una realtà nuova, per iniziativa di pochi, che non solo in seguito diventa coscienza comune. Ma egli non era un rivoluzionario, bnsì un riformista, e il suo pensiero approdava a un cauto liberalismo e a un nazonalismo sincero. Infatti nel Giornale Italiano propugnava un'inidpendenza nazionale italiana, che l'Europa stessa avrebbe dovuto accettare come elemento di equilibrio politico e riconosceva a Napoleone il merito di aver creato in Italia un regime fondato sull'ordine e sulla legalità, nel pieno rispetto dei costumi e delle tradizioni del popolo, dando nuova vita alle istituzioni militari e avviando un processo politico unitario.
A tale proposito c'è nel Saggio, un'altra importante costatazione: quella dell'esistenza a Napoli e in tutta l'Italia, di due nazioni di diversa cultura, di diversi costumi, persino di linguaggio diverso. E' il problema, che rimarrà centrale nel nostro Risorgimento e oltre, di colmare l'abisso esistente fra una minoranza intellettuale progressista e legata alla cultura e alla storia europea, e le masse popolari arretrate, immerse da secoli nell'ignoranza e nella miseria.
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