davanti san Guido - Carducci
il poeta in treno fra Livorno e Roma si vede a un tratto venire incontro presso la stazione di Bolgheri il viale dei cipressi caro alla sua lontana infanzia. I cipressi lo invitano a restare lì tutto è rimasto come allora: ma egli non può fermarsi non è più ragazzo è ormai un uomo famoso. I cipressi sembrano dubitare delle sue parole : sarà celebre, ma il suo cuore è travagliato da mille affanni e soltanto lì egli potrà liberarsene ritrovando la pace serena di allora.
ancora il poeta rifiuta: ma non può fermarsi, ha una figlia da mantenere, deve lavorare e guadagnare I cipressi fanno l'ultimo tentativo per trattenerlo : cosa dovranno dire alla nonna Lucia, sepolta lì presso?
E al poeta allora sembra di rivedere la nonna e di riascoltarne una fiaba quella della fanciulla che corre e corre per ritrovare il suo amore, ma invano per tanto tempo. Anche per lui è stata la stessa cosa : quello che ha inseguito invano per tanto tempo, felicità e serenità e forse in quel luogo sotto I cipressi o nel cimitero. Solo nell'infanzia e nella morte dunque si può trovare la pace.
La poesia è giustamente una delle più famose rime nuove : il mondo spensierato della fanciullezza, il luminoso paesaggio maremmano , I dolci ricordi famigliari contrastano con la delusione di una vita piena di amarezze e affanni. L'ombra della morte porta un'atmosfera riposante e pacata :essa non è mai per Carducci un tormento né un'angoscia ma un punto di arrivo una meta sogguardata senza paura come un porto sereno e dolce che tutto pacifica : la tensione drammatica del romanticismo si è sciolta in una accettazione pacata e umana, di un realismo senza esagerazioni né inutili compiacimenti
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardâr.
Mi riconobbero, e “Ben torni omai”
bisbigliaron vèr me co ‘l capo chino
“Perché non scendi? perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
ove soffia dal mare il maestrale:
ira non ti serbiam de le sassate
tue d’una volta: oh, non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
deh perché fuggi rapido così?
Le passere la sera intreccian voli
a noi d’intorno ancora. Oh resta qui!”.
“Bei cipressetti, cipressetti miei,
fedeli amici d’un tempo migliore,
oh di che cuor con voi mi resterei”
guardando io rispondeva “oh di che cuore!
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
or non è più quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
e scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù;
non son più, cipressetti, un birichino,
e sassi in specie non ne tiro più
E massime a le piante. “Un mormorio
pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
e il dì cadente con un ghigno pio
tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
una gentil pietade avean di me,
e presto il mormorio si fe’ parole:
“Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
che rapisce de gli uomini i sospir,
come dentro al tuo petto eterne risse
ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
l’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
rimanti, e i rei fantasmi, oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
de i cuor vostri battuti dal pensier
guizzan come da i vostri cimiteri
putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
che de le grandi querce a l’ombra stan
ammusando i cavalli e intorno intorno
tutto è silenzio ne l’ardente pian,
ti canteremo noi cipressi i cori
che vanno eterni fra la terra e il cielo:
da quegli olmi le ninfe usciran fuori
te ventilando co ‘l lor bianco velo;
e Pan l’eterno che su l’erme alture
a quell’ora e ne i pian solingo va
il dissidio, o mortal, de le tue cure
ne la diva armonia sommergerà”.
non ne tiro più.