Giovanni pascoli
CENNI BIOGRAFICI
Giovanni Pascoli quarto di dieci frattelli ( Margherita, Ida, Giacomo, Luigi, Raffaele, Carolina, una seconda Ida, Giulio) nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 quattro minuti prima della fine dell'anno nella casetta materna da Ruggero (amministratore della tenuta Torlonia) e da Caterina Allocatelli Vincenzi.
Il periodo di tempo 1855-1862 segnò gli anni suoi felici dei giochi dei sogni dei primi studi.
Nel 1862 la prima ombra di morte calò sulla sua famiglia serena portando via sua sorella Ida di sette mesi; da allora la morte sembrerà coi suoi funebri colpi battere al ritmo della giovinezza del Pascoli.
Nell'autunno di quell'anno 1862 assieme ai fratelli Luigi, Giacomo e Raffaele fu condotto ad Urbino nel Collegio Raffaello tenuto dai Padri Scolopi. Qui Giovanni compì le scuole elementari e dal 1865 frequentò il Ginnasio. In questo stesso anno un'altra eco di morte risuonò nella sua casa; morì infatti sua sorella Carolina di cinque anni.
Nel 1867 e precisamente il 10 agosto alle ore 18 morì suo padre assassinato mentre tornava a casa su di un calessino tirato da una cavalla storna.
Una scena veramente tragica e di profonda commozione si presentò nei colori più sconsolati alla famigliola che man mano andava assottigliandosi la cavallina storna sul calessino insanguinato riportava a casa il padre di tante creature.
Poco dopo morì la primogenita di 18 anni. Nel 1868 consunta dal dolore morì la madre dell'ormai inconsolabile Giovanni.
Rimasero sette fanciulli con scarsissimi mezzi e senza conforto di affetti. Nel 1871 Giovanni terminata la prima liceale e lasciata Urbino trovò rifugio nella famiglia Tognacci poi a Rimini presso il fratello Giacomo perito agrimensore dove frequentò la secondo liceale . In questo anno morì il fratello Luigi.
Nel 1873 lasciò Firenze dopo aver sostenuto gli esami di licenza liceale fu però rimandato in scienze e si recò a Cesena dove in ottobre per i meriti letterari ottenne la licenza. Vinse la borsa di studio per l'Università.
Nell'anno 1876 morì il fratello Giacomo già padre di due figli. Giovanni così rimase il capo della famiglia ridotta ormai a sole cinque persone.
Miseria e angoscia furono le caratteristiche di questo periodo nel quale non dalla tristezza fu dominata l'anima di Giovanni ma dalla ribellione. Irreligione e spirito di rivolta o meglio di giustizia sociale distinsero in quegli anni la vita di Pascoli.
Dal 1876 al 1880 passò cinque anni di ignavia e di ira. Nel 1879 dopo varie dimostrazioni socialiste per dei compagni condannati fu arrestato e rinchiuso nel carcere di San Giovanni al Monte vi stette dal 7 settembre al 22 dicembre.
Uscì assolto ma ancora la fame lo tormentò fu su punto di uccidersi ma lo distolse la voce ammonitrice della madre morta.
L'ingiusta povertà e l'assassinio furono il fermento per tutto il suo umanissimo pensiero e la poesia futura.
Uscito dal carcere riprese gli studi si laureò e iniziò la sua carriera di insegnante prima nel liceo di Matera 1882 poi in quello di Massa 1884-1887 e quindi in quello di Livorno 1887-1895 in qualità di professore di latino e di greco.
Nel 1895 insegnò da straordinario grammatica greca e latina nell'Università di Bologna quindi senza concorso fu nominato Docente di Letteratura latina nell'Università di Messina dal romagnolo Giovanni Bonghi ministro dell'istruzione.
Nel 1903 si trasferì a Pisa e nel 1907 fu chiamato a succedere al Carducci nella cattedra di letteratura italiana nell'Università di Bologna.
Il 18 febbraio del 1912 già grave fu trasferito dalla sua casetta di Castelvecchio a Bologna dove il 6 aprile alle ore 15.30 morì.
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mercoledì 6 dicembre 2017
martedì 5 dicembre 2017
Giovanni Verga
Giovanni Verga
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da Giovan Battista Verga Catalano di nobile famiglia e Caterina Mauro di famiglia borghese oriunda da Vizzini studiò privatamente ed ebbe fra gli altri maestri il cugino don Antonio Abate rivoluzionario e autore di poemi tragedie e romanzi storici, e i frate francescano Antonio Maugeri noto come un buon filosofo. La sua prima educazione fu di stampo romantico. Finiti gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che frequento con scarso profitto. Il più efficace insegnamento lo ricevette dalla vita che egli osservò fin da allora con acume e serietà notevoli.
La sua osservazione sugli avvenimenti e sui fatti umani si fece più attenta negli anni 1854-1855 quando con la famiglia durante il colera che infuriava a Vizzini si trasferì nelle campagne di quella zona e osservò da vicino la vita degli umili contadini con i quali ebbe frequenti contatti. Il periodo di vicinanza con i contadini della sua terra gli giovò moltissimo come esperienza umana e quindi nella sua formazione di scrittore e di artista.
Nel 1860 la Sicilia fu liberata da Garibaldi venne istituita la Guardia Nazionale ed il Verga vi si arruolò animato com'era di ideali unitari e prestò servizio per circa quattro anni nella I legione.
In quello stesso anno fondò il giornale "Roma degli italiani" la cui pubblicazione ebbe la durata di soli tre mesi. L'anno successivo 1861 fondò "l'Italia contemporanea", che ebbe vita effimera uscì un solo numero; sorte meno sfortunata ebbe "l'indipendente " del quale sotto la responsabilità del Verga uscirono 10 numeri poi venne ceduto a don Antonio Abate.
Nel 1863 morì Giovan Battista Verga e dopo due anni dalla morte del padre lo scrittore lasciava "la vita di provincia immiserita " e si recava a Firenze capitale ormai del regno d'Italia e quindi centro delle maggiori attrazioni politiche e culturali e mondane. Le frequenti visite e i lunghi soggiorni in Firenze furono per il Vega occasioni per un contatto generico con la lingua toscana.
Dal 1869 al 1872 egli visse stabilmente a Firenze; nel 1872 si trasferì a Milano, dove, con intervalli catanesi più o meno lunghi soggiornò per molti anni. Frequentò il salotto della contessa Maffei elegante ritrovo letterario ed artistico, dove conobbe i maggiori scrittori della Scapigliatura Praga Boito Tarchetti e Betteloni.
Nel 1877 giungeva a Milano dalla Sicilia Luigi Capuana e si consolidava così un'antica e solida amicizia che si alimentò di aiuti e suggerimenti reciprochi.
Tra la fine del 1878 e la fine de 1879 il Verga si recò a Catania dove si fermò per lavorare attorno al bozzetto marinaresco "Padron N'toni ". Intanto moriva la madre. Ritornò quindi a Milano, dove ne 1880 con la pubblicazione di "Vita nei campi" iniziò la grande stagione del Verga.
Poi fu tutto una produzione di opere "I malavoglia" 1881 "Novelle rusticane " 1882.
Per completezza di dati biografici è da ricordare che il Verga a Milano nel settembre del 1880 incontrò casualmente Giselda Foianesi moglie del poeta Mario Rapisardi che egli conosceva da vari anni e da quell'incontro nacque una relazione decennale che poi si trasformò in un rapporto di sincera amicizia.
Nel 1889 uscì il romanzo "Mastro Don Gesualdo " IL verga ormai tornato in Sicilia dove viveva stabilmente anche se non mancavano viaggi e soggiorni a Milano e Roma.
Dal 1893 cominciò la sua relazione amorosa con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo dedita alla musica e alla miniatura.
Dal 1903 iniziò un periodo di silenzio del Verga.
Solo nel 1920 avvenne il riconoscimento ufficiale della grandezza del Verga scrittore e celebrazioni furono tenute in suo onore a Roma e Catania.
Nell'ottobre dello stesso anno venne nominato senatore del Regno.
La sera del 24 gennaio 1922 di ritorno a casa dal circolo dell'Unione il Verga congedò il cameriere si chiuse a chiave in camera posò gli occhiarli sul comodino e colpito da trombosi dopo una penosa agonia di tre giorni morì
mercoledì 29 novembre 2017
Giosuè Carducci
Giosuè Carducci
CENNI BIOGRAFICI
Il Carducci è l'espressione più originale e vigorosa dell'anima poetica dell'Italia nella seconda metà de secolo XIX.
Egli nacque in Val di Castello frazione Pietrasanta in Versilia il 27 luglio 1835 secondogenito dal medico Michele d'antico sangue fiorentino e da Ildegonda Celli.
Il padre carbonaro per i fatti del 183 in Toscana, patì prigionia e relegazione passò per le sue idee politiche di condotta in condotta e nell'aprile del 1849 da Saiatico riparò in Firenze dove studiò presso i Padri Scolopi.
Laureatosi a Pisa nel '56 ebbe una cattedra nel ginnasio granducale di San Miniato al Tedesco.
Nel '58 vinse il concorso per il ginnasio municipale di Arezzo, ma per l'accusa di empietà religiosa il governo non rettificò la nomina. In seguito alla morte del padre e del fratello maggiore Dante passò a Firenze dove studiò alacremente e cercò di provvedere anche alla madre ed al fratello minore Valfredo curando le edizioni di classici per l'editore Barbera.
Nel '59 sposò Elvira Menicucci da cui ebbe 4 figli di questi Dante morì bimbo di tre anni con suo sconsolato dolore.
Nell'agosto del '60 era professore al liceo di Pistoia quando Terenzio Mamiani ministro dell'istruzione lo chiamò ad insegnare letteratura italiana nell'Università di Bologna.
La sua vita fu tutta dedita alla poesia alla scuola alla famiglia e alle battaglie civili.
Verso il '60 era stato liberale sabaudo dopo i fatti di Aspromonte fu repubblicano. In tale qualità venne eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo, nel '76.
Verso l'80 si riconciliò con la monarchia per quell'onesto senso della storica necessità cui si erano già spiegate le tempre di Garibaldi e Crispi cioè l'amore patrio preminente ad ogni considerazione di partito.
Nel '90 fu nominato Senatore del regno. Nel 1904 gravi condizioni di salute lo costrinsero a lasciare l'insegnamento dopo quarant'anni di servizio, cui aveva atteso con mirabile zelo e con fiero senso del dovere.
Ebbe dal governo la medesima pensione assegnata al Manzoni nel 1906:
La Svezia gli conferì il premio Nobel per la letteratura.
Il 16 febbraio 1907 morì a Bologna.
LE OPERE
Iuvenilia - contengono disdegni del Carducci per il romanticismo disdegni che si concretano spesso con gli ammonimenti patrii e morali. Il poeta si fa vindice del suo pensiero "nello squallore de l'etade obliqua".
Levia Gravia- Raccolta nella quale compaiono vagheggiamenti nella natura quadri storici e celebrazioni pattriottiche.
Inno a Satana - E' suggestivo in alcune immagini specialmente in quella finale del treno ferroviario; l'inno tratta materiale che sarà sempre poi caro al poeta. IN Satana il Carducci vede non l'anticristo ma il moderno Prometeo, che rompe le secolari catene che lo legano per agire secondo verità e pure civiltà.
Giambi e Epodi - Poesie che, per lo sdegno satirico, si atteggiano come i Giambi di Archiloco poeta greco e per il contenuto politico ricordano gli Epodi di Orazio poeta latino. Di fronte al generale sconforto degli italiani per la sconfitta di Lissa e Custoza il poeta si leva indignato a fustigare i fiacchi e gli imbelli.
Intermezzo - segna il passaggio dai Giambi ed Epodi alle Rime Nuove; contiene canti di polemica letteraria diretti non solo contro i Romantici ma contro tutti gli assertori o seguaci di tendenze alle quali il Carducci si sentiva contrario.
Rime Nuove - Queste hanno varie inspirazioni . IN esse spira una serena contemplazione della natura e una sentimentale ondata di memorie giovanili. Il canto più famoso è senza dubbio "Davanti San Guido " dove il poeta immagina di conversare con i cipressi che lo videro bambino e adombra della novella della nonna Lucia il dileguarsi del giovanile incanto lamentato nel sonetto Traversando la Maremma Toscana.
La Canzone di Legnano e Ca ira - Qui canta ribelli ed eroi; assurge evocare i fasti della Lega Lombarda nella prima e nei sonetti Ca ira rappresenta i primi terribili episodi della Rivoluzione Francese.
Le Odi Barbare- L'arte carducciana nella Odi Barbare raggiunge la più alta espressione. Queste Odi sono chiamate barbare dal poeta perché cerca di rendere gli schemi della metrica della poesia greca e latina con il sistema accentuativo anziché quello quantitativo rivelando così che sono scritti da un barbaro cioè da un poeta non greco né romano. In esse si fondano i primi essenziali e vitali elementi della ispirazione del Carducci e l'unità di sentimenti diventa melodiosa euritmia.
Vate della terza Italia egli da Toma trae i più fulgidi auspici; vuole compiuta l'Italia sino ai suoi confini etnici; esalta le figure dei liberatori di Garibaldi in specie.
Rime e Ritmi - In questi componimenti poetici più intimi si fanno i colloqui con l'infinito che attende il poeta nel suo mistero e su chi la già respinte fede di Cristo getta un raggio e diffonde un cantico.
CENNI BIOGRAFICI
Il Carducci è l'espressione più originale e vigorosa dell'anima poetica dell'Italia nella seconda metà de secolo XIX.
Egli nacque in Val di Castello frazione Pietrasanta in Versilia il 27 luglio 1835 secondogenito dal medico Michele d'antico sangue fiorentino e da Ildegonda Celli.
Il padre carbonaro per i fatti del 183 in Toscana, patì prigionia e relegazione passò per le sue idee politiche di condotta in condotta e nell'aprile del 1849 da Saiatico riparò in Firenze dove studiò presso i Padri Scolopi.
Laureatosi a Pisa nel '56 ebbe una cattedra nel ginnasio granducale di San Miniato al Tedesco.
Nel '58 vinse il concorso per il ginnasio municipale di Arezzo, ma per l'accusa di empietà religiosa il governo non rettificò la nomina. In seguito alla morte del padre e del fratello maggiore Dante passò a Firenze dove studiò alacremente e cercò di provvedere anche alla madre ed al fratello minore Valfredo curando le edizioni di classici per l'editore Barbera.
Nel '59 sposò Elvira Menicucci da cui ebbe 4 figli di questi Dante morì bimbo di tre anni con suo sconsolato dolore.
Nell'agosto del '60 era professore al liceo di Pistoia quando Terenzio Mamiani ministro dell'istruzione lo chiamò ad insegnare letteratura italiana nell'Università di Bologna.
La sua vita fu tutta dedita alla poesia alla scuola alla famiglia e alle battaglie civili.
Verso il '60 era stato liberale sabaudo dopo i fatti di Aspromonte fu repubblicano. In tale qualità venne eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo, nel '76.
Verso l'80 si riconciliò con la monarchia per quell'onesto senso della storica necessità cui si erano già spiegate le tempre di Garibaldi e Crispi cioè l'amore patrio preminente ad ogni considerazione di partito.
Nel '90 fu nominato Senatore del regno. Nel 1904 gravi condizioni di salute lo costrinsero a lasciare l'insegnamento dopo quarant'anni di servizio, cui aveva atteso con mirabile zelo e con fiero senso del dovere.
Ebbe dal governo la medesima pensione assegnata al Manzoni nel 1906:
La Svezia gli conferì il premio Nobel per la letteratura.
Il 16 febbraio 1907 morì a Bologna.
LE OPERE
Iuvenilia - contengono disdegni del Carducci per il romanticismo disdegni che si concretano spesso con gli ammonimenti patrii e morali. Il poeta si fa vindice del suo pensiero "nello squallore de l'etade obliqua".
Levia Gravia- Raccolta nella quale compaiono vagheggiamenti nella natura quadri storici e celebrazioni pattriottiche.
Inno a Satana - E' suggestivo in alcune immagini specialmente in quella finale del treno ferroviario; l'inno tratta materiale che sarà sempre poi caro al poeta. IN Satana il Carducci vede non l'anticristo ma il moderno Prometeo, che rompe le secolari catene che lo legano per agire secondo verità e pure civiltà.
Giambi e Epodi - Poesie che, per lo sdegno satirico, si atteggiano come i Giambi di Archiloco poeta greco e per il contenuto politico ricordano gli Epodi di Orazio poeta latino. Di fronte al generale sconforto degli italiani per la sconfitta di Lissa e Custoza il poeta si leva indignato a fustigare i fiacchi e gli imbelli.
Intermezzo - segna il passaggio dai Giambi ed Epodi alle Rime Nuove; contiene canti di polemica letteraria diretti non solo contro i Romantici ma contro tutti gli assertori o seguaci di tendenze alle quali il Carducci si sentiva contrario.
Rime Nuove - Queste hanno varie inspirazioni . IN esse spira una serena contemplazione della natura e una sentimentale ondata di memorie giovanili. Il canto più famoso è senza dubbio "Davanti San Guido " dove il poeta immagina di conversare con i cipressi che lo videro bambino e adombra della novella della nonna Lucia il dileguarsi del giovanile incanto lamentato nel sonetto Traversando la Maremma Toscana.
La Canzone di Legnano e Ca ira - Qui canta ribelli ed eroi; assurge evocare i fasti della Lega Lombarda nella prima e nei sonetti Ca ira rappresenta i primi terribili episodi della Rivoluzione Francese.
Le Odi Barbare- L'arte carducciana nella Odi Barbare raggiunge la più alta espressione. Queste Odi sono chiamate barbare dal poeta perché cerca di rendere gli schemi della metrica della poesia greca e latina con il sistema accentuativo anziché quello quantitativo rivelando così che sono scritti da un barbaro cioè da un poeta non greco né romano. In esse si fondano i primi essenziali e vitali elementi della ispirazione del Carducci e l'unità di sentimenti diventa melodiosa euritmia.
Vate della terza Italia egli da Toma trae i più fulgidi auspici; vuole compiuta l'Italia sino ai suoi confini etnici; esalta le figure dei liberatori di Garibaldi in specie.
Rime e Ritmi - In questi componimenti poetici più intimi si fanno i colloqui con l'infinito che attende il poeta nel suo mistero e su chi la già respinte fede di Cristo getta un raggio e diffonde un cantico.
martedì 28 novembre 2017
Il verismo
Il verismo
Il verismo che uno delle più notevoli correnti letterarie della metà del Ottocento nacque e si sviluppò in Italia tra il 1870 e 1890 quando la passione eroica del Risorgimento si era spenta e la soluzione di gravi problemi sociali richiedeva uomini particolarmente sensibili nell'interpretare le esigenze di singole popolazioni del Regno d'Italia.
Il Romanticismo eroico che aveva animato tutti glia avvenimenti storici del Risorgimento nazionale si era definitivamente chiuso. Un'altra sorta di Romanticismo che in un certo senso si identificava con il Decadentismo del Prati e dell'Aleardi si andava divulgando lugubre e lacrimoso un po' dappertutto in Italia. Era intanto penetrato in Italia il Realismo naturalistico d'importazione francese ad opera dei cosiddetti autori-ritrattisti o fotografi Flaubert e Zola che diedero origine al romanzo naturalista.
Il Verismo italiano fu però un orientamento letterario autonomo; non può infatti ricollegarsi in alcun modo al realismo francese su cui ampia e determinante fu al concezione filosofico-scientifica del Positivismo.
Un termine di confronto con il Verismo può trovare soltanto con il Romanticismo manzoniano che, se ebbe come canone artistico la poetica del vero , non si sottrasse, tuttavia al soggettivismo e all'individualismo.
CARATTERI FONDAMENTALI DEL VERISMO
I ) Impersonalità dell'arte.
L'autore dell'opera d'arte doveva rimanere estraneo alla vicenda ritratta realisticamente e narrata senza la partecipazione né reale né fantastica.
Il romanzo, la novella e gli altri generi in cui si manifestò il Verismo diventavano un aspetto della scienza (letteratura come scienza), il cui oggetto di studio si concretizzava nell'analisi psicologica ed ecologica (commozioni, sentimenti, turbe fisiche e psichiche dell'uomo caratteristiche dell'ambiente considerato come naturale sede e dimora del singolo e della collettività).
II) Socialità dell'arte.
I veristi intesero l'arte come dimostrazione di una fede laica e sociale. Essi ebbero come fine l'azione e la documentazione dell'azione e della vicenda umana inquadrata in un momento storico in un contesto sociale in cui spiccassero soprattutto le reali condizione delle classi più misere.
III) Funzione promozionale dell'arte.
I veristi tendevano a scoprire la legge di ogni fenomeno, specialmente sociale ed ad illuminare la ragione che, fatta esperta di tutti gli organi e le leve del meccanismo umano, fisiologico e psicologico e perciò anche sociologico, avrebbe potuto eliminare dal mondo il vizio e determinare attraverso il processo scientifico il programma ed il perfezionamento del singolo individuo e dell'aggregato sociale.
IV) Popolarità e dialettalità della espressione.
I veristi mentre operavano per una sempre maggiore conoscenza dei luoghi che diventavano la panoramica su cui si svolgeva la vicenda delle loro novelle o dei loro romanzi interessavano i lettori delle loro opere, scrivendo con un lingua più possibile vicina al cittadino o al popolo di cui si narrava. Rendevano così più vera e realistica la narrazione e quindi più viva la partecipazione del lettore e cioè più efficace ai fini politici e sociali la letteratura cui davano di volta in volta origine.
V) la letteratura come strumento di denuncia.
Le opere dei veristi servivano ai loro autore come mezzi di denuncia sociale. Si ricordi che tra il 1870 e il 1890 dalle popolazioni delle isole e delle regioni meridionali d'Italia, particolarmente richiesta era la soluzione della questione sociale. Erano gli strati più bassi delle popolazioni siciliano sarde napoletano calabresi, delle popolazione del Mezzogiorno d'Italia c he con insistenza invocavano riforme e leggi che risolvessero il problema complesso ed annoso della miseria.
Gli autori veristi superando in un certo senso il lassismo e la sfiducia dilagante nelle loro regioni più che nelle loro province, in virtù della fede laica e sociale che può considerarsi la leva del loro operare, raccolsero e resero pubblica con il metodo della denuncia, la protesta di tutta la classe sociale la più vasta quella che dal lavoro senza protezione e senza tutela né giuridica né previdenziale doveva trarre gli scarsi mezzi di sostentamento.
Le regioni più profondamente esaminate con i criteri della scienza positivistico-sociologica furono Sicilia (Capuana e Verga) la Sardegna (Grazia Deledda) la Maremma Toscana (Renato Fucini con lo pseudonimo Neri Tanfucio) e i bassifondi di Napoli (Matilde Serao).
Anche D'Annunzio descrissse la vita dei pastori d'Abruzzo e Ada Negri.
Il verismo che uno delle più notevoli correnti letterarie della metà del Ottocento nacque e si sviluppò in Italia tra il 1870 e 1890 quando la passione eroica del Risorgimento si era spenta e la soluzione di gravi problemi sociali richiedeva uomini particolarmente sensibili nell'interpretare le esigenze di singole popolazioni del Regno d'Italia.
Il Romanticismo eroico che aveva animato tutti glia avvenimenti storici del Risorgimento nazionale si era definitivamente chiuso. Un'altra sorta di Romanticismo che in un certo senso si identificava con il Decadentismo del Prati e dell'Aleardi si andava divulgando lugubre e lacrimoso un po' dappertutto in Italia. Era intanto penetrato in Italia il Realismo naturalistico d'importazione francese ad opera dei cosiddetti autori-ritrattisti o fotografi Flaubert e Zola che diedero origine al romanzo naturalista.
Il Verismo italiano fu però un orientamento letterario autonomo; non può infatti ricollegarsi in alcun modo al realismo francese su cui ampia e determinante fu al concezione filosofico-scientifica del Positivismo.
Un termine di confronto con il Verismo può trovare soltanto con il Romanticismo manzoniano che, se ebbe come canone artistico la poetica del vero , non si sottrasse, tuttavia al soggettivismo e all'individualismo.
CARATTERI FONDAMENTALI DEL VERISMO
I ) Impersonalità dell'arte.
L'autore dell'opera d'arte doveva rimanere estraneo alla vicenda ritratta realisticamente e narrata senza la partecipazione né reale né fantastica.
Il romanzo, la novella e gli altri generi in cui si manifestò il Verismo diventavano un aspetto della scienza (letteratura come scienza), il cui oggetto di studio si concretizzava nell'analisi psicologica ed ecologica (commozioni, sentimenti, turbe fisiche e psichiche dell'uomo caratteristiche dell'ambiente considerato come naturale sede e dimora del singolo e della collettività).
II) Socialità dell'arte.
I veristi intesero l'arte come dimostrazione di una fede laica e sociale. Essi ebbero come fine l'azione e la documentazione dell'azione e della vicenda umana inquadrata in un momento storico in un contesto sociale in cui spiccassero soprattutto le reali condizione delle classi più misere.
III) Funzione promozionale dell'arte.
I veristi tendevano a scoprire la legge di ogni fenomeno, specialmente sociale ed ad illuminare la ragione che, fatta esperta di tutti gli organi e le leve del meccanismo umano, fisiologico e psicologico e perciò anche sociologico, avrebbe potuto eliminare dal mondo il vizio e determinare attraverso il processo scientifico il programma ed il perfezionamento del singolo individuo e dell'aggregato sociale.
IV) Popolarità e dialettalità della espressione.
I veristi mentre operavano per una sempre maggiore conoscenza dei luoghi che diventavano la panoramica su cui si svolgeva la vicenda delle loro novelle o dei loro romanzi interessavano i lettori delle loro opere, scrivendo con un lingua più possibile vicina al cittadino o al popolo di cui si narrava. Rendevano così più vera e realistica la narrazione e quindi più viva la partecipazione del lettore e cioè più efficace ai fini politici e sociali la letteratura cui davano di volta in volta origine.
V) la letteratura come strumento di denuncia.
Le opere dei veristi servivano ai loro autore come mezzi di denuncia sociale. Si ricordi che tra il 1870 e il 1890 dalle popolazioni delle isole e delle regioni meridionali d'Italia, particolarmente richiesta era la soluzione della questione sociale. Erano gli strati più bassi delle popolazioni siciliano sarde napoletano calabresi, delle popolazione del Mezzogiorno d'Italia c he con insistenza invocavano riforme e leggi che risolvessero il problema complesso ed annoso della miseria.
Gli autori veristi superando in un certo senso il lassismo e la sfiducia dilagante nelle loro regioni più che nelle loro province, in virtù della fede laica e sociale che può considerarsi la leva del loro operare, raccolsero e resero pubblica con il metodo della denuncia, la protesta di tutta la classe sociale la più vasta quella che dal lavoro senza protezione e senza tutela né giuridica né previdenziale doveva trarre gli scarsi mezzi di sostentamento.
Le regioni più profondamente esaminate con i criteri della scienza positivistico-sociologica furono Sicilia (Capuana e Verga) la Sardegna (Grazia Deledda) la Maremma Toscana (Renato Fucini con lo pseudonimo Neri Tanfucio) e i bassifondi di Napoli (Matilde Serao).
Anche D'Annunzio descrissse la vita dei pastori d'Abruzzo e Ada Negri.
GIuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti
Il maggiore poeta ermetico italiano è ritenuto ormai dalla critica nato ad Alessandria d0'Egitto nel 1888 morto a Roma nel 1970)
La nuova poesia italiana che fu denominata con il termine di ermetismo al suo apparire suscitò polemiche serrate e vivi contrasti.
Il termine ermetismo adottato per designare questa nuova corrente poetica e la denominazione di poesia ermetica furono utilizzati in sede critica con tono significato dispregiativo.
Nei due termini si sintetizzò il giudizio negativo dei lettori critici legati alla tradizione relativamente a quella poesia difficile ed oscura.
Con il termine ermetismo oggi in sede storica si indica la poesia che ebbe il suo primo teorico e meglio il suo primo qualificato esponente in Ungaretti.
Con Ungaretti nacque il culto più che il mito della parola essenziale con cui Ungaretti riuscì a tradurre appunto con la parola l'essenzialità della vita considerata e cantata nel suo profondo e quasi impenetrabile contenuto umano.
Un connotato inconfondibile della poesia ungarettiana è il Porto sepolto considerato il manifesto dell'ermetismo.
La raccolta prende nome dal Porto sepolto che si trova ad Alessandria d'Egitto citta natale di Ungaretti.
Nella poesia il Porto sepolto si identifica nell'inconoscibile di cui l'autore tenta l'esplorazione.
In questa prima raccolta di liriche Ungaretti si mostra poeta già maturo infatti egli scrisse le sue poesie dopo frequenti conversazioni con amici poeti e artisti italiani e stranieri ( Apollinaire, Picasso, Papini, Palazzeschi) ed attente letture delle opere di grandi decadenti francesi (Mallarmé e Rimbaud).
L'occasione di esprimere in versi il suo mondo interiore di ricordi, di sentimenti e di umanità fu data dalla prima guerra mondiale. La guerra infatti fu per lui una grande maestra : gli diede la possibilità di constatare l'uguaglianza degli uomini, spogliati di tutti gli ornamenti di censo di cultura di condizione sociale e di educazione.
La parola che doveva esprimere una tale scarna essenzialità non poteva che adeguarsi ad essa e così la poesia purificata da ogni sovrastruttura retorica fu nuda essenziale. Le sue poesie sono brevissime, talvolta di un solo verso (m'illumino d'immenso) e sono poesie che sollecitano il lettore a meditare e ad approfondire le immagini viste e contemplate nei versi incisivi del poeta.
Le sue parole nei versi risuonano fortemente pausate, scandite per richiamare il lettore all'attenzione su parole straordinariamente solenni, che sembrano le parole di un messaggio antico e nuovo allo stesso tempo, di un messaggio che ha il sapore e il tono dell'eternità.
La seconda raccolta di Ungaretti è intitolata L'Allegria ed è infatti l'allegria che segue alla speranza degli scampati dalla guerra che il poeta canta.
In un momento di maggiore maturità stilistica Ungaretti passa dalla parola pausata a un discorso pausato. Ma il poeta resta sempre il sacerdote di una poesia che contiene e invia messaggi ai lettori insistendo sul dualismo mondo in cui l'uomo vive e mondo assoluto ed indefinibile che identifica con Dio.
Compito della poesia di Ungaretti è la ricerca di un possibile accordo fra il mondo in cui gli uomini vivono e il mondo assoluto Dio.
Un altro diverso sentimento ungarettiano sono da considerarsi le poesie di Sentimento del tempo dove l'itinerario verso Dio è più aperto. Solo la speranza dell'esistenza di Dio e dell'incontro finale dell'uomo con Dio può conferire all'uomo la forza di sopportare la pena di vivere.
In questa raccolta in cui il misticismo religioso dell'autore si fa più vivo Ungaretti rivive in sé e canta il dramma del peccato della caduta dell'uomo e dell'esigenza indispensabile della Grazia per iniziare e quindi completare la redenzione. E' di questa raccolta la poesia La Madre che può considerarsi una fervida preghiere e insieme una poesia densa di amore e pietà umana.
In conclusione si può disegnare la personalità artistica di Ungaretti affermando che egli ha dato un notevole contributo alla migliore prosa d'arte del Novecento mettendo in particolare risalto la sua invenzione dell'Ermetismo dell'essenzialità della parola pausata e scandita.
Ungaretti insomma fu grande poeta del dolore dell'allegria del tempo dell'itinerario dell'uomo verso l'assoluto : Dio.
La sua poesia libera di orpelli suscita meditazione del lettore sulla vita sulla pena di vivere sulla speranza cristiana della redenzione e di gioia eterna.
OPERE
I Porto sepolto
l'allegria
Sentimento del tempo
Poesie disperse
Il dolore
La terra promessa
Un grido paesaggi
Il taccuino del vecchio
Tutte le poesie sono state raccolte sotto un unico titolo : Vita di un uomo.
Il maggiore poeta ermetico italiano è ritenuto ormai dalla critica nato ad Alessandria d0'Egitto nel 1888 morto a Roma nel 1970)
La nuova poesia italiana che fu denominata con il termine di ermetismo al suo apparire suscitò polemiche serrate e vivi contrasti.
Il termine ermetismo adottato per designare questa nuova corrente poetica e la denominazione di poesia ermetica furono utilizzati in sede critica con tono significato dispregiativo.
Nei due termini si sintetizzò il giudizio negativo dei lettori critici legati alla tradizione relativamente a quella poesia difficile ed oscura.
Con il termine ermetismo oggi in sede storica si indica la poesia che ebbe il suo primo teorico e meglio il suo primo qualificato esponente in Ungaretti.
Con Ungaretti nacque il culto più che il mito della parola essenziale con cui Ungaretti riuscì a tradurre appunto con la parola l'essenzialità della vita considerata e cantata nel suo profondo e quasi impenetrabile contenuto umano.
Un connotato inconfondibile della poesia ungarettiana è il Porto sepolto considerato il manifesto dell'ermetismo.
La raccolta prende nome dal Porto sepolto che si trova ad Alessandria d'Egitto citta natale di Ungaretti.
Nella poesia il Porto sepolto si identifica nell'inconoscibile di cui l'autore tenta l'esplorazione.
In questa prima raccolta di liriche Ungaretti si mostra poeta già maturo infatti egli scrisse le sue poesie dopo frequenti conversazioni con amici poeti e artisti italiani e stranieri ( Apollinaire, Picasso, Papini, Palazzeschi) ed attente letture delle opere di grandi decadenti francesi (Mallarmé e Rimbaud).
L'occasione di esprimere in versi il suo mondo interiore di ricordi, di sentimenti e di umanità fu data dalla prima guerra mondiale. La guerra infatti fu per lui una grande maestra : gli diede la possibilità di constatare l'uguaglianza degli uomini, spogliati di tutti gli ornamenti di censo di cultura di condizione sociale e di educazione.
La parola che doveva esprimere una tale scarna essenzialità non poteva che adeguarsi ad essa e così la poesia purificata da ogni sovrastruttura retorica fu nuda essenziale. Le sue poesie sono brevissime, talvolta di un solo verso (m'illumino d'immenso) e sono poesie che sollecitano il lettore a meditare e ad approfondire le immagini viste e contemplate nei versi incisivi del poeta.
Le sue parole nei versi risuonano fortemente pausate, scandite per richiamare il lettore all'attenzione su parole straordinariamente solenni, che sembrano le parole di un messaggio antico e nuovo allo stesso tempo, di un messaggio che ha il sapore e il tono dell'eternità.
La seconda raccolta di Ungaretti è intitolata L'Allegria ed è infatti l'allegria che segue alla speranza degli scampati dalla guerra che il poeta canta.
In un momento di maggiore maturità stilistica Ungaretti passa dalla parola pausata a un discorso pausato. Ma il poeta resta sempre il sacerdote di una poesia che contiene e invia messaggi ai lettori insistendo sul dualismo mondo in cui l'uomo vive e mondo assoluto ed indefinibile che identifica con Dio.
Compito della poesia di Ungaretti è la ricerca di un possibile accordo fra il mondo in cui gli uomini vivono e il mondo assoluto Dio.
Un altro diverso sentimento ungarettiano sono da considerarsi le poesie di Sentimento del tempo dove l'itinerario verso Dio è più aperto. Solo la speranza dell'esistenza di Dio e dell'incontro finale dell'uomo con Dio può conferire all'uomo la forza di sopportare la pena di vivere.
In questa raccolta in cui il misticismo religioso dell'autore si fa più vivo Ungaretti rivive in sé e canta il dramma del peccato della caduta dell'uomo e dell'esigenza indispensabile della Grazia per iniziare e quindi completare la redenzione. E' di questa raccolta la poesia La Madre che può considerarsi una fervida preghiere e insieme una poesia densa di amore e pietà umana.
In conclusione si può disegnare la personalità artistica di Ungaretti affermando che egli ha dato un notevole contributo alla migliore prosa d'arte del Novecento mettendo in particolare risalto la sua invenzione dell'Ermetismo dell'essenzialità della parola pausata e scandita.
Ungaretti insomma fu grande poeta del dolore dell'allegria del tempo dell'itinerario dell'uomo verso l'assoluto : Dio.
La sua poesia libera di orpelli suscita meditazione del lettore sulla vita sulla pena di vivere sulla speranza cristiana della redenzione e di gioia eterna.
OPERE
I Porto sepolto
l'allegria
Sentimento del tempo
Poesie disperse
Il dolore
La terra promessa
Un grido paesaggi
Il taccuino del vecchio
Tutte le poesie sono state raccolte sotto un unico titolo : Vita di un uomo.
Giacomo Leopardi - I canti
Giacomo Leopardi - I canti
I canti è un volume in cui sono contenute le poesie a Firenze pubblicato nel 1831 presso l'editore Piatti .
Lo stesso titolo conservò nell'edizione corretta e accresciuta di Napoli. Una successiva edizione postuma accresciuta dei Canti fu curata dall'amico Antonio Ranieri (Firenze 1845).
Anteriormente però al 1831 (a partire dal 1818) molte poesie erano però già state pubblicate in edizioni parziali.
Le poesie sono 41 contraddistinte da un numero romano e quasi tutte dal titolo. Il Leopardi le ha disposte secondo un criterio personale, spesso non tenendo conto delle date di composizione.
I termini di canzoni civili primi idilli ecc. non sono usati dal poeta nell'edizione dei Canti ma appartengono alla consuetudine della critica che li ha derivati dalle precedenti edizioni.
Le forme metriche più importanti dei Canti sono :
a) La canzone è uno dei metri più illustri della poesia italiana. Nel Petrarca (1304-1374) essa è composta di strofe (o stanze aventi un numero uguale di versi endecasillabi e settenari disposti e rimasti sempre secondo lo schema della 1° strofa ; è conclusa da un commiato (o licenza) una strofa in genere più breve delle precedenti.
Il Leopardi usa la canzone di tipo petrarchesco ma modificandone in vari modi lo schema così ad esempio nella canzone All'Italia le strofe pari hanno uno schema metrico diverso da quello delle strofe dispari e manca il commiato. Altre poesie scritte nel metro della canzone sono Ad Angelo Mai, Sopra il monumento di Dante, Nelle nozze della sorella Paolina ecc.
b) la canzone libera (o leopardiana) i versi sono quelli della canzone petrarchesca endecasillabi e settenari, ma le strofe sono disuguali e costruite con la massima libertà. Sono canzoni libere Il passero solitario, A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete dopo la tempesta.
c) Gli endecasillabi sciolti libere successioni di endecasillabi non rimati. Sono composti in tale metro L'infinito, La sera del dì di festa, Le ricordanze Aspasia ecc.
I canti è un volume in cui sono contenute le poesie a Firenze pubblicato nel 1831 presso l'editore Piatti .
Lo stesso titolo conservò nell'edizione corretta e accresciuta di Napoli. Una successiva edizione postuma accresciuta dei Canti fu curata dall'amico Antonio Ranieri (Firenze 1845).
Anteriormente però al 1831 (a partire dal 1818) molte poesie erano però già state pubblicate in edizioni parziali.
Le poesie sono 41 contraddistinte da un numero romano e quasi tutte dal titolo. Il Leopardi le ha disposte secondo un criterio personale, spesso non tenendo conto delle date di composizione.
I termini di canzoni civili primi idilli ecc. non sono usati dal poeta nell'edizione dei Canti ma appartengono alla consuetudine della critica che li ha derivati dalle precedenti edizioni.
Le forme metriche più importanti dei Canti sono :
a) La canzone è uno dei metri più illustri della poesia italiana. Nel Petrarca (1304-1374) essa è composta di strofe (o stanze aventi un numero uguale di versi endecasillabi e settenari disposti e rimasti sempre secondo lo schema della 1° strofa ; è conclusa da un commiato (o licenza) una strofa in genere più breve delle precedenti.
Il Leopardi usa la canzone di tipo petrarchesco ma modificandone in vari modi lo schema così ad esempio nella canzone All'Italia le strofe pari hanno uno schema metrico diverso da quello delle strofe dispari e manca il commiato. Altre poesie scritte nel metro della canzone sono Ad Angelo Mai, Sopra il monumento di Dante, Nelle nozze della sorella Paolina ecc.
b) la canzone libera (o leopardiana) i versi sono quelli della canzone petrarchesca endecasillabi e settenari, ma le strofe sono disuguali e costruite con la massima libertà. Sono canzoni libere Il passero solitario, A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete dopo la tempesta.
c) Gli endecasillabi sciolti libere successioni di endecasillabi non rimati. Sono composti in tale metro L'infinito, La sera del dì di festa, Le ricordanze Aspasia ecc.
lunedì 13 novembre 2017
A Silvia - Giacomo Leopardi
A Silvia - Giacomo Leopardi
Silvia, rimembri ancora o Silvia ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale quel periodo della vita terrena
quando beltà splendea quando la bellezza splendeva
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi nei tuoi occhi felici e furtivi
e tu lieta e pensosa, il limitare e tu serena e riflessiva ti avvicinavi
di gioventù salivi ? alla soglia della giovinezza ?
Sonavan le quiete Le stanze silenziose
stanze e le vie dintorno e le vie circostanti risuonavano
al tuo perpetuo canto al tuo canto ininterrotto e spontaneo,
allor che all'opre femminili intenta quando sedevi dedita
sedevi assai contenta ai lavori femminili e assai felice
di quel vago avvenir che in mente avevi di quell'indeterminato futuro che avevi in mente
Era il maggio odoroso: e tu solevi era il mese di maggio pieno di profumi
così menare il giorno e tu eri solita trascorrere così le giornate
Io gli studi leggiadri Io abbandonavo talvolta i miei
talor lasciando e le sudate carte amati componimenti su cui faticavo
ove il tempo mio primo dove si spendeva la miglior parte
e di me spendea la miglior parte di me stesso e della mia adolescenza
d'in su i veroni del paterno ostello dai balconi della casa paterna
porgea gli orecchi al suo della tua voce porgevo l'udito al suono della tua voce
e alla man veloce e a quello della mano che
che percorrea la faticosa tela scorreva veloce sulla tela.
Mirava il ciel sereno Guardavo il cielo sereno
le vie dorate e gli orti per le strade invase dal sole e per gli orti
e quinci il mar da lungi e quindi il monte e di qui il mar che appare all'orizzonte e quindi
Lingua mortal non dice gli Appennini il linguaggio mortale non dice
quel che io sentiva in seno quel che allora io sentivo nel cuore.
Che pensieri soavi che pensieri delicati
che speranze, che cori o Silvia mia ! che speranze che passioni o Silvia mia !
Quale allor ci apparia Quanto felice ci appariva allora
la vita umana e il fato ! la vita umana e il suo destino !
Quando sovvemmi di cotanta speme Quando mi torna in mente di tali illusioni
un affetto mi preme un moto dell'animo mi stringe
acerbo e sconsolato in modo acerbo e senza consolazione,
e tornami a doler mia sventura e torno a soffrire la mia sorte sfortunata
o natura o natura o natura o natura
perché non rendi poi perché non dai nell'età della maturità
quel che prometti allor ? perché di tanto ciò che hai promesso durante la giovinezza perché
inganni i figlio tuoi ? inganni così tanti i tuoi figli ?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, Tu tormentata e sconfitta da un male incurabile
da chiuso morbo combattuta e vinta prima che l'inverno inaridisse i campi
perivi. o tenerella. E non vedevi ti spegnevi o tenerella. E non potevi vedere
il fiore degli anni tuoi il fiore dei tuoi anni;
non ti molceva il core non ti addolciva il cuore
la dolce lode or delle negre chiome ora la lode dei tuoi capelli corvini
or degli sguardi innamorati e schivi ora gli sguardi innamorati e pudici
ne teco le compagne ai dì festivi ne con te le compagne dei giorni di festa
ragionavan d'amore discutevano d'amore.
Anche peria fra poco In modo simile periva di lì a poco
la speranza mia dolce: agli anni miei la mia dolce speranza il destino ha negato
ache negaro i fati ai miei anni anche
la giovinezza. Ahi come, la giovinezza.
come passata sei, Ah mia speranza fonte di lacrime
cara compagna dell'età nova, cara compagna della mia gioventù,
mia lacrima speme ! come sei trascorsa !
Questo è il mondo ? questi questo è il mondo che avevamo sperato ?
i diletti, l'amor l'opre, gli eventi Questi i piaceri l'amore le opere gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme ? di cui tanto discutemmo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti ? questa è la sorte dell'umanità ?
All'apparir del vero Al disvelamento della verità
tu misera cadesti e con la mano tu misera sei caduta : e con la tua mano
la fredda morte ed una tomba ignuda indicavi da lontano la fredda morte
mostravi di lontano e la tomba spoglia
Il canto muove da un ricordo personale ?
Si. In Silvia il poeta rievoca Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta a 21 anni nel 1818. Ma il canto (scritto nel 1828 ) va ben oltre quella lontana realtà: la memoria della giovinetta come nota il Flora non è più soltanto evocativa e pietosa ma poetica.... e cioè assunta in un significato lirico ad esprimere non un fatto particolare ma il divino e l'eterno che è in un episodio terrestre.
La figura di Silvia è soltanto un simbolo ?
No. Essa è immagine stupenda di una giovinetta che sale "il limitare di gioventù e muore senza vedere il fiore dei suoi anni e insieme simbolo poetico delle speranze dell'adolescente Leopardi cadute " all'apparir del vero"
Si può dire che A Silvia sia una poesia d'amore ?
No Silvia non è una donna di cui il Leopardi si fosse innamorato; è una creatura contemplata un tempo con tenerezza e rievocata ora con affettuosa malinconia per la sua morte precoce; in essa Leopardi vede trascritta la sua stessa vicenda di sogni e delusioni.
Vi sono nel canto motivi di paesaggio ?
Sì di un paesaggio che non è già descrizione ma suggestiva interpretazione di uno stato d'animo di giovanile letizia : "quel maggio odoroso " quel "ciel sereno ", quelle "vie dorate " sottolineano la serenità e la gioia primaverile in cui respira estatica la commozione dell'adolescenza. Da non dimenticare per altro al verso 40 quel breve suggerimento di un paesaggio invernale ("tu pria che l'erbe inaridisse il verno " ) intonato al tema desolate della morte precoce.
Ne canto il Leopardi dice :
Ahi , come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrima speme !
A chi si rivolge in questi versi il poeta ?
alla speranza rimpianta e vanamente invocata ("lacrima speme") a tutti i suoi sogni ai dolci inganni dell'adolescenza dolorosamente svaniti col sopraggiungere del vero
Silvia, rimembri ancora o Silvia ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale quel periodo della vita terrena
quando beltà splendea quando la bellezza splendeva
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi nei tuoi occhi felici e furtivi
e tu lieta e pensosa, il limitare e tu serena e riflessiva ti avvicinavi
di gioventù salivi ? alla soglia della giovinezza ?
Sonavan le quiete Le stanze silenziose
stanze e le vie dintorno e le vie circostanti risuonavano
al tuo perpetuo canto al tuo canto ininterrotto e spontaneo,
allor che all'opre femminili intenta quando sedevi dedita
sedevi assai contenta ai lavori femminili e assai felice
di quel vago avvenir che in mente avevi di quell'indeterminato futuro che avevi in mente
Era il maggio odoroso: e tu solevi era il mese di maggio pieno di profumi
così menare il giorno e tu eri solita trascorrere così le giornate
Io gli studi leggiadri Io abbandonavo talvolta i miei
talor lasciando e le sudate carte amati componimenti su cui faticavo
ove il tempo mio primo dove si spendeva la miglior parte
e di me spendea la miglior parte di me stesso e della mia adolescenza
d'in su i veroni del paterno ostello dai balconi della casa paterna
porgea gli orecchi al suo della tua voce porgevo l'udito al suono della tua voce
e alla man veloce e a quello della mano che
che percorrea la faticosa tela scorreva veloce sulla tela.
Mirava il ciel sereno Guardavo il cielo sereno
le vie dorate e gli orti per le strade invase dal sole e per gli orti
e quinci il mar da lungi e quindi il monte e di qui il mar che appare all'orizzonte e quindi
Lingua mortal non dice gli Appennini il linguaggio mortale non dice
quel che io sentiva in seno quel che allora io sentivo nel cuore.
Che pensieri soavi che pensieri delicati
che speranze, che cori o Silvia mia ! che speranze che passioni o Silvia mia !
Quale allor ci apparia Quanto felice ci appariva allora
la vita umana e il fato ! la vita umana e il suo destino !
Quando sovvemmi di cotanta speme Quando mi torna in mente di tali illusioni
un affetto mi preme un moto dell'animo mi stringe
acerbo e sconsolato in modo acerbo e senza consolazione,
e tornami a doler mia sventura e torno a soffrire la mia sorte sfortunata
o natura o natura o natura o natura
perché non rendi poi perché non dai nell'età della maturità
quel che prometti allor ? perché di tanto ciò che hai promesso durante la giovinezza perché
inganni i figlio tuoi ? inganni così tanti i tuoi figli ?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, Tu tormentata e sconfitta da un male incurabile
da chiuso morbo combattuta e vinta prima che l'inverno inaridisse i campi
perivi. o tenerella. E non vedevi ti spegnevi o tenerella. E non potevi vedere
il fiore degli anni tuoi il fiore dei tuoi anni;
non ti molceva il core non ti addolciva il cuore
la dolce lode or delle negre chiome ora la lode dei tuoi capelli corvini
or degli sguardi innamorati e schivi ora gli sguardi innamorati e pudici
ne teco le compagne ai dì festivi ne con te le compagne dei giorni di festa
ragionavan d'amore discutevano d'amore.
Anche peria fra poco In modo simile periva di lì a poco
la speranza mia dolce: agli anni miei la mia dolce speranza il destino ha negato
ache negaro i fati ai miei anni anche
la giovinezza. Ahi come, la giovinezza.
come passata sei, Ah mia speranza fonte di lacrime
cara compagna dell'età nova, cara compagna della mia gioventù,
mia lacrima speme ! come sei trascorsa !
Questo è il mondo ? questi questo è il mondo che avevamo sperato ?
i diletti, l'amor l'opre, gli eventi Questi i piaceri l'amore le opere gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme ? di cui tanto discutemmo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti ? questa è la sorte dell'umanità ?
All'apparir del vero Al disvelamento della verità
tu misera cadesti e con la mano tu misera sei caduta : e con la tua mano
la fredda morte ed una tomba ignuda indicavi da lontano la fredda morte
mostravi di lontano e la tomba spoglia
Il canto muove da un ricordo personale ?
Si. In Silvia il poeta rievoca Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta a 21 anni nel 1818. Ma il canto (scritto nel 1828 ) va ben oltre quella lontana realtà: la memoria della giovinetta come nota il Flora non è più soltanto evocativa e pietosa ma poetica.... e cioè assunta in un significato lirico ad esprimere non un fatto particolare ma il divino e l'eterno che è in un episodio terrestre.
La figura di Silvia è soltanto un simbolo ?
No. Essa è immagine stupenda di una giovinetta che sale "il limitare di gioventù e muore senza vedere il fiore dei suoi anni e insieme simbolo poetico delle speranze dell'adolescente Leopardi cadute " all'apparir del vero"
Si può dire che A Silvia sia una poesia d'amore ?
No Silvia non è una donna di cui il Leopardi si fosse innamorato; è una creatura contemplata un tempo con tenerezza e rievocata ora con affettuosa malinconia per la sua morte precoce; in essa Leopardi vede trascritta la sua stessa vicenda di sogni e delusioni.
Vi sono nel canto motivi di paesaggio ?
Sì di un paesaggio che non è già descrizione ma suggestiva interpretazione di uno stato d'animo di giovanile letizia : "quel maggio odoroso " quel "ciel sereno ", quelle "vie dorate " sottolineano la serenità e la gioia primaverile in cui respira estatica la commozione dell'adolescenza. Da non dimenticare per altro al verso 40 quel breve suggerimento di un paesaggio invernale ("tu pria che l'erbe inaridisse il verno " ) intonato al tema desolate della morte precoce.
Ne canto il Leopardi dice :
Ahi , come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrima speme !
A chi si rivolge in questi versi il poeta ?
alla speranza rimpianta e vanamente invocata ("lacrima speme") a tutti i suoi sogni ai dolci inganni dell'adolescenza dolorosamente svaniti col sopraggiungere del vero
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