Leopardi - pessimismo e ironia
Le Operette morali nascono in un momento della carriera poetica del Leopardi. Il fondo delle Operette è negativo e amaro, ma vi aleggia un eco delle illusioni e dei sogni da cui è difficile e doloroso staccarsi : la ragione ha ormai scoperto la tragica realtà dell'esistenza, ma il cuore rilutta nell'accettare una totale e dolorosa rinuncia. Attraverso il dialogo si fa strada l'amarissima negazione di ogni illusine di ogni speranza, la desolazione di ogni sentimento dolce e caro, l'inutile e vana ricerca di una ragione a tanta infelicità. Miti, credenze, immaginazioni, vagheggiamenti sono collocati in tempi e spazi remoti, talora fantastici e irreali, in cui è bandito ogni sentimentalismo e il discorso procede, distaccato e come senza risonanze affettive verso la conclusione negativa
Questo distacco dalla tormentata materia del cuore e della sensibilità degli affetti è realizzato soprattutto attraverso l'ironia che irridendo alle vanità e alle debolezze degli uomini ne rende vacui e ridicoli aspirazioni, sogni e abbandoni : ma è un'ironia che mentre raggela il cuore pur cela una sottile vena di pietà per una sorte tanto amara.
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martedì 3 settembre 2019
lunedì 2 settembre 2019
Giacomo Leopardi - dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggero
Giacomo Leopardi - dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggero
Un venditore di almanacchi offre un almanacco ad un passeggero, che si ferma a fare con lui due chiacchiere, chiedendogli come sarà il nuovo anno. Per il venditore esso sarà fortunatissimo, addirittura il migliore di quanti ne son già trascorsi. Richiesto poi se sarebbe disposto a rivivere gli anni già vissuti, egli risponde di no, rifiutando soprattutto di rivivere il tempo già passato conoscendone tutti gli eventi. La vita, conclude è bella quando si ignora il futuro e si può giorno per giorno sognare e sperare.
La felicità dunque consiste nella speranza e nella possibilità delle illusioni; questa è opinione dell'uomo comune. Ma le parole del passeggero, distaccate e venate di sottile ironia, celano una più amara verità: anche questa felicità non esiste perché è vana e infatti che ad essa ingenuamente si affida soffrirà maggiormente. Dietro il passeggero si nasconde lo scrittore, ormai chiuso nella sua totale negazione, al quale la fiduciosa debolezza e la semplicità dell'ignaro venditore strappano un sorriso di comprensione e di pietà.
Un venditore di almanacchi offre un almanacco ad un passeggero, che si ferma a fare con lui due chiacchiere, chiedendogli come sarà il nuovo anno. Per il venditore esso sarà fortunatissimo, addirittura il migliore di quanti ne son già trascorsi. Richiesto poi se sarebbe disposto a rivivere gli anni già vissuti, egli risponde di no, rifiutando soprattutto di rivivere il tempo già passato conoscendone tutti gli eventi. La vita, conclude è bella quando si ignora il futuro e si può giorno per giorno sognare e sperare.
La felicità dunque consiste nella speranza e nella possibilità delle illusioni; questa è opinione dell'uomo comune. Ma le parole del passeggero, distaccate e venate di sottile ironia, celano una più amara verità: anche questa felicità non esiste perché è vana e infatti che ad essa ingenuamente si affida soffrirà maggiormente. Dietro il passeggero si nasconde lo scrittore, ormai chiuso nella sua totale negazione, al quale la fiduciosa debolezza e la semplicità dell'ignaro venditore strappano un sorriso di comprensione e di pietà.
Giacomo Leopardi - dialogo di Malambruno e di Farfarello
Giacomo Leopardi - dialogo di Malambruno e di Farfarello
Il mago Malmbruno chiede a Farfarello un diavolo da lui evocato con al facoltà di poter usare tutte le forze infernali al suo servizio di renderlo felice anche per un solo momento; ma il diavolo non è in grado di soddisfare un tale desiderio, né lo potrebbe lo stesso Belzebù, e gliene dimostra la ragione. L'uomo non solo non può essere felice, ma non può nemmeno non essere mai infelice perché ama sopra ogni cosa se stesso e, di conseguenza, aspira costantemente alla felicità : ma tale aspirazione non può avere limiti dal momento che nessun piacere, essendo limitato, non dà né appagamento né felicità.
Se ne conclude che il non vivere è meglio del vivere e Farfarello se ne torna all'inferno chiedendo sarcasticamente ( ma con quanta amarezza per noi ) se Malambruno vuol morire subito cedendogli anzitempo l'anima da portare laggiù.
Il dialogo tra i più perfetti per struttura compositiva essenzialità di battute stringatezza di argomentazione equilibrata gradualità dei toni, inizia con brevi note comiche che continuano nelle risposte negative di Farfarello alla richiesta di Malmbruno, ma la tragicità di fondo della condizione umana gradualmente emerge e si manifesta nel dialogo veloce e serrato che definisce l'impossibilità dell'esistenza ed è cadenzato da una serie di negazioni; il finale giunge quasi all'improvviso con una battuta comica che però è nella sostanza tragicissima perché indica nella sola morte la soluzione all'infelicità della vita
Il mago Malmbruno chiede a Farfarello un diavolo da lui evocato con al facoltà di poter usare tutte le forze infernali al suo servizio di renderlo felice anche per un solo momento; ma il diavolo non è in grado di soddisfare un tale desiderio, né lo potrebbe lo stesso Belzebù, e gliene dimostra la ragione. L'uomo non solo non può essere felice, ma non può nemmeno non essere mai infelice perché ama sopra ogni cosa se stesso e, di conseguenza, aspira costantemente alla felicità : ma tale aspirazione non può avere limiti dal momento che nessun piacere, essendo limitato, non dà né appagamento né felicità.
Se ne conclude che il non vivere è meglio del vivere e Farfarello se ne torna all'inferno chiedendo sarcasticamente ( ma con quanta amarezza per noi ) se Malambruno vuol morire subito cedendogli anzitempo l'anima da portare laggiù.
Il dialogo tra i più perfetti per struttura compositiva essenzialità di battute stringatezza di argomentazione equilibrata gradualità dei toni, inizia con brevi note comiche che continuano nelle risposte negative di Farfarello alla richiesta di Malmbruno, ma la tragicità di fondo della condizione umana gradualmente emerge e si manifesta nel dialogo veloce e serrato che definisce l'impossibilità dell'esistenza ed è cadenzato da una serie di negazioni; il finale giunge quasi all'improvviso con una battuta comica che però è nella sostanza tragicissima perché indica nella sola morte la soluzione all'infelicità della vita
giovedì 29 agosto 2019
Giacomo Leopardi - il linguaggio
Giacomo Leopardi - il linguaggio
La lingua di Leopardi analizzata sotto il profilo lessicale è la lingua della tradizione poetica italiana, classicistica, da Petrarca alla fine del settecento. L'impronta classicistica deriva da una parte dalla educazione letteraria del poeta, dall'altra da una scelta sapientemente calcolata in vista di un particolare poetico : Leopardi riteneva che le forme meno consuete, come latinismi, arcaismi, classicismi, termini dotti, peregrini o poco usati fossero poeticissime, analogamente alle parole che danno il senso del vago dell'incerto, dell'infinito e che corrispondono all'umana tendenza per l'infinito. Infatti come si legge nello Zibaldone 1) l'uso di voci, modi e significati tolti dal latino introduce nella poesia il pellegrino e l'elegante
2) è cosa conosciutissima che alla poesia non solo giova, ma è necessario il pellegrino delle parole delle frasi delle forme
3) il poetico delle lingua è quasi il medesimo che il pellegrino. D'altra parte sempre dallo Zibaldone sappiano che al Leopardi erano care parole di senso e di significazione quando indefinita tanto poetica
Però malgrado l'impianto lessicale classicistico la poesia leopardiana è modernissima per la presenza di forme e voci tratte dalla lingua parlata (soprattutto aggettivi) e collocate nei versi in posizione tale che più di altre si imprimono nella immaginazione nel sentimento e nella memoria del lettore e più di altre servono ad illuminare o caratterizzare una visione o un atteggiamento perché su di esse cade l'accento principale che le rileva nel corpo del discorso poetico o perché sono sottolineate dal gioco di rime di assonanze dei richiami fonici o melodici
C'é dunque una fondamentale unità poetica nel linguaggio leopardiano sciolto in un 'atmosfera di commossa interiorità che fonde armonicamente natura e sentimento, sentimento e riflessione in un discorso e ritmo poetico limpido e coerente che allontana la rappresentazione solitamente evocata dalla memoria e contrappuntata dalla meditazione in uno spazio e in un tempo contrappuntata dalla meditazione in uno spazio e in un tempo che possiamo definire interiori perché solo esteriormente richiamano la realtà e la natura l'infinito ne è un esempio più evidente e significativo per la perfezione poetica raggiunta.
Gran parte del fascino della lirica leopardiana è dovuta alla melodia che la percorre e che nasce dall'interno della sensibilità e della situazione poetica com'è evidente dal fatto che Leopardi rifiuta i vincoli rigidi e mortificanti delle forme fisse della tradizione letteraria (terzine ottave sonetto ecc) e, se riprende la canzone, che era stata di Petrarca, la usa però liberamente al di fuori di ogni schema prefissato.
La lingua di Leopardi analizzata sotto il profilo lessicale è la lingua della tradizione poetica italiana, classicistica, da Petrarca alla fine del settecento. L'impronta classicistica deriva da una parte dalla educazione letteraria del poeta, dall'altra da una scelta sapientemente calcolata in vista di un particolare poetico : Leopardi riteneva che le forme meno consuete, come latinismi, arcaismi, classicismi, termini dotti, peregrini o poco usati fossero poeticissime, analogamente alle parole che danno il senso del vago dell'incerto, dell'infinito e che corrispondono all'umana tendenza per l'infinito. Infatti come si legge nello Zibaldone 1) l'uso di voci, modi e significati tolti dal latino introduce nella poesia il pellegrino e l'elegante
2) è cosa conosciutissima che alla poesia non solo giova, ma è necessario il pellegrino delle parole delle frasi delle forme
3) il poetico delle lingua è quasi il medesimo che il pellegrino. D'altra parte sempre dallo Zibaldone sappiano che al Leopardi erano care parole di senso e di significazione quando indefinita tanto poetica
Però malgrado l'impianto lessicale classicistico la poesia leopardiana è modernissima per la presenza di forme e voci tratte dalla lingua parlata (soprattutto aggettivi) e collocate nei versi in posizione tale che più di altre si imprimono nella immaginazione nel sentimento e nella memoria del lettore e più di altre servono ad illuminare o caratterizzare una visione o un atteggiamento perché su di esse cade l'accento principale che le rileva nel corpo del discorso poetico o perché sono sottolineate dal gioco di rime di assonanze dei richiami fonici o melodici
C'é dunque una fondamentale unità poetica nel linguaggio leopardiano sciolto in un 'atmosfera di commossa interiorità che fonde armonicamente natura e sentimento, sentimento e riflessione in un discorso e ritmo poetico limpido e coerente che allontana la rappresentazione solitamente evocata dalla memoria e contrappuntata dalla meditazione in uno spazio e in un tempo contrappuntata dalla meditazione in uno spazio e in un tempo che possiamo definire interiori perché solo esteriormente richiamano la realtà e la natura l'infinito ne è un esempio più evidente e significativo per la perfezione poetica raggiunta.
Gran parte del fascino della lirica leopardiana è dovuta alla melodia che la percorre e che nasce dall'interno della sensibilità e della situazione poetica com'è evidente dal fatto che Leopardi rifiuta i vincoli rigidi e mortificanti delle forme fisse della tradizione letteraria (terzine ottave sonetto ecc) e, se riprende la canzone, che era stata di Petrarca, la usa però liberamente al di fuori di ogni schema prefissato.
venerdì 16 agosto 2019
A se stesso - Leopardi
A se stesso - Leopardi
Questo idillio ( che non ha più nulla del tradizionale idillio leopardiano arioso e incantato pur nella visione pessimistica della vita ) fa parte di un breve ciclo di liriche dettate dal disastroso esito della vicende che incise profondamente nell'animo del poeta, confermandone l'innato pessimismo : Leopardi si era innamorato di una nobildonna fiorentina, che respinse il suo amore, lasciandolo amareggiato e deluso.
In effetti però la dolorosa esperienza non può essere considerata altro che un'occasione per una più amara ripresa di coscienza del tragico destino umano.
la brevissima lirica non concede più spazio alla descrizione della natura o all'abbandono del sentimento ed ha un linguaggio nudo e potente duramente scandito da pause e ridotto all'essenziale : il discorso poetico è frantumato in brevi periodi anche di una o di sue sole parole, che , con un ritmo rotto e aspro , distaccano freddamente la riflessione oggettivandola in una secca e risentita negazione assoluta. Con questi versi Leopardi si allontana definitivamente dai sogni, dalle illusioni, dalle speranze : abbandonarsi significa lasciarsi consapevolmente ingannare dalla natura, aumentare l'umana infelicità già tanto grande. Solo distaccandosi da una fuggevole e illusoria felicità, che si paga a prezzo di tante delusioni, è possibile difendere una dura tensione eroica la propria individualità, ergendosi con dignità e fierezza contro la crudele legge dell'universo, più ostile che indifferente al nostro tragico destino.
metro: settenari ed endecasillabi
Questo idillio ( che non ha più nulla del tradizionale idillio leopardiano arioso e incantato pur nella visione pessimistica della vita ) fa parte di un breve ciclo di liriche dettate dal disastroso esito della vicende che incise profondamente nell'animo del poeta, confermandone l'innato pessimismo : Leopardi si era innamorato di una nobildonna fiorentina, che respinse il suo amore, lasciandolo amareggiato e deluso.
In effetti però la dolorosa esperienza non può essere considerata altro che un'occasione per una più amara ripresa di coscienza del tragico destino umano.
la brevissima lirica non concede più spazio alla descrizione della natura o all'abbandono del sentimento ed ha un linguaggio nudo e potente duramente scandito da pause e ridotto all'essenziale : il discorso poetico è frantumato in brevi periodi anche di una o di sue sole parole, che , con un ritmo rotto e aspro , distaccano freddamente la riflessione oggettivandola in una secca e risentita negazione assoluta. Con questi versi Leopardi si allontana definitivamente dai sogni, dalle illusioni, dalle speranze : abbandonarsi significa lasciarsi consapevolmente ingannare dalla natura, aumentare l'umana infelicità già tanto grande. Solo distaccandosi da una fuggevole e illusoria felicità, che si paga a prezzo di tante delusioni, è possibile difendere una dura tensione eroica la propria individualità, ergendosi con dignità e fierezza contro la crudele legge dell'universo, più ostile che indifferente al nostro tragico destino.
metro: settenari ed endecasillabi
A SE STESSO |
Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo, Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento, In noi di cari inganni, Non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, nè di sospiri è degna La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T'acqueta omai. Dispera L'ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l'infinita vanità del tutto. |
la quiete dopo la tempesta - Leopardi
La quiete dopo la tempesta - Leopardi
insieme al sabato del villaggio questo idillio è uno dei più famosi e caratteristici di Leopardi. In esso descrizione e riflessione si fondono poeticamente : la prima non avrebbe senso senza la seconda nè viceversa; infatti la limpida e apparente semplicità della descrizione sarebbe un quadretto di maniera se non generasse dal suo interno l'osservazione che si articola in due parti, passando dalle considerazioni sulla ripresa della vita nel borgo alla riflessione amara sul triste destino dell'uomo legato ad un'esistenza di dolore.
Questi tre momenti ( descrizione, riflessione di carattere particolare, riflessione di carattere generale), corrispondenti alle tre strofe che compongono l'idillio graduano i toni del discorso poetico, che nella prima parte si allarga e freme di rinnovata vitalità, nella seconda ha un attimo di sospensione per interrogarsi sulle cause e sulla natura di quella improvvisa esplosione di gioia, infine si chiude in periodi brevi e cupamente scanditi che definiscono l'eterna infelicità umana
metro : canzone libera di endecasillabi e settenari
insieme al sabato del villaggio questo idillio è uno dei più famosi e caratteristici di Leopardi. In esso descrizione e riflessione si fondono poeticamente : la prima non avrebbe senso senza la seconda nè viceversa; infatti la limpida e apparente semplicità della descrizione sarebbe un quadretto di maniera se non generasse dal suo interno l'osservazione che si articola in due parti, passando dalle considerazioni sulla ripresa della vita nel borgo alla riflessione amara sul triste destino dell'uomo legato ad un'esistenza di dolore.
Questi tre momenti ( descrizione, riflessione di carattere particolare, riflessione di carattere generale), corrispondenti alle tre strofe che compongono l'idillio graduano i toni del discorso poetico, che nella prima parte si allarga e freme di rinnovata vitalità, nella seconda ha un attimo di sospensione per interrogarsi sulle cause e sulla natura di quella improvvisa esplosione di gioia, infine si chiude in periodi brevi e cupamente scanditi che definiscono l'eterna infelicità umana
metro : canzone libera di endecasillabi e settenari
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA |
Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato. L'artigiano a mirar l'umido cielo, Con l'opra in man, cantando, Fassi in su l'uscio; a prova Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua Della novella piova; E l'erbaiuol rinnova Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Per li poggi e le ville. Apre i balconi, Apre terrazzi e logge la famiglia: E, dalla via corrente, odi lontano Tintinnio di sonagli; il carro stride Del passegger che il suo cammin ripiglia. Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita Quand'è, com'or, la vita? Quando con tanto amore L'uomo a' suoi studi intende? O torna all'opre? o cosa nova imprende? Quando de' mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d'affanno; Gioia vana, ch'è frutto Del passato timore, onde si scosse E paventò la morte Chi la vita abborria; Onde in lungo tormento, Fredde, tacite, smorte, Sudàr le genti e palpitàr, vedendo Mossi alle nostre offese Folgori, nembi e vento. O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena E' diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana Prole cara agli eterni! assai felice Se respirar ti lice D'alcun dolor: beata Se te d'ogni dolor morte risana. |
martedì 4 giugno 2019
A Silvia - Giacomo Leopardi
A Silvia - Giacomo Leopardi
dopo I primi idilli Leopardi trascorse tristissimi anni non solo spiritualmente, ma anche fisicamente e arrivò a tal punto di desolazione da non poetare più e da definirsi un sepolcro ambulante che porta dentro di sé un uomo morto. Finalmente nel 1828 trascorse a Pisa un periodo di particolare serenità : nella primavera riprese a comporre versi, nei quali il ricordo della fanciullezza felice lascia lentamente il poso alla consapevolezza che la felicità purtroppo é un'illusione.
Silvia fu, molto probabilmente, una certa Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovanissima di tisi; ma qui è il simbolo poetico dei sogni e delle speranze giovanili.
Il poeta si rivolge a lei, chiedendole se ricordi ancora il bel tempo felice della giovinezza, quando filava e spensieratamente cantava, sognando un dolcissimo avvenire, mentre egli, abbandonando per un attimo lo studio, si affacciava e si lasciava affascinare da quel canto : tutta la natura era in fiore, a entrambi la vita sorrideva, tutto era una radiosa promessa di felicità. Però quel tempo di sogni dorati durò ben poco; Silvia morì prima di vedere realizzarsi I suoi sogni d'amore, ed anche il poeta, per così dire morì, perché non poté godere dei doni radiosi della giovinezza. Dei sogli e delle speranze di allora non gli è rimasto nulla : quando la realtà ci raggiunge, ogni speranza svanisce, e non ci resta che una tomba squallida e la morte che inesorabilmente conclude ogni cosa.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
dopo I primi idilli Leopardi trascorse tristissimi anni non solo spiritualmente, ma anche fisicamente e arrivò a tal punto di desolazione da non poetare più e da definirsi un sepolcro ambulante che porta dentro di sé un uomo morto. Finalmente nel 1828 trascorse a Pisa un periodo di particolare serenità : nella primavera riprese a comporre versi, nei quali il ricordo della fanciullezza felice lascia lentamente il poso alla consapevolezza che la felicità purtroppo é un'illusione.
Silvia fu, molto probabilmente, una certa Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovanissima di tisi; ma qui è il simbolo poetico dei sogni e delle speranze giovanili.
Il poeta si rivolge a lei, chiedendole se ricordi ancora il bel tempo felice della giovinezza, quando filava e spensieratamente cantava, sognando un dolcissimo avvenire, mentre egli, abbandonando per un attimo lo studio, si affacciava e si lasciava affascinare da quel canto : tutta la natura era in fiore, a entrambi la vita sorrideva, tutto era una radiosa promessa di felicità. Però quel tempo di sogni dorati durò ben poco; Silvia morì prima di vedere realizzarsi I suoi sogni d'amore, ed anche il poeta, per così dire morì, perché non poté godere dei doni radiosi della giovinezza. Dei sogli e delle speranze di allora non gli è rimasto nulla : quando la realtà ci raggiunge, ogni speranza svanisce, e non ci resta che una tomba squallida e la morte che inesorabilmente conclude ogni cosa.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
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