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venerdì 3 maggio 2019

la poetica di Ugo Foscolo

la poetica di Ugo Foscolo

La lingua foscoliana nasce dal cuore della tradizione classica ed è l'esempio più alto del nostro neoclassicismo. Per Foscolo  infatti non si tratta solo di riprendere dai classici  il lessico, le strutture sintattiche e del periodo e tutto l'apparato storico e mitologico di una tradizione  che, attraverso il '700, si perde all'indietro  sino al mondo classico; ma l'operazione culturale che recupera il mito dell'antica Grecia la favolosa Ellade  nasce e dall'interno di una sensibilità che è già profondamente romantica per l'accesa passionalità per il senso doloroso dell'esistenza per il fascino della morte rasserenatrice d'ogni male. Il linguaggio classico è il linguaggio che una volta, in passato ormai remoto e perduto per sempre, ha cantato una civiltà di bellezza e di armonia, di serenità  e di pace interiore; e anche se in quel tempo felice le più alte conquiste dell'anima nascevano dalla sofferenza e dal lutto, erano pur sempre consolate da un approdo lungamente sognato. come la petrosa Itaca dell'eroe Ulisse  dal lungo al tormentato esilio.
La classicità del linguaggio  foscoliano proprio grazie a questo contenuto  personalissimo per diretta esperienza e vino per consonanza con la sensibilità contemporanea non è mai freddo o artefatto : la passione lo sdegno il sogno eroico l'abbandono casto al sentimento d'amore  la pietà per le vittime  e per il dolore dei tempi feroci delle guerre e delle ingiustizie lo piegano a timbri e a immagini di palpitante umanità di raro equilibrio estetico. Non è un linguaggio di sapore moderno come sarà quello anch'esso classicheggiante di  Leopardi, ma è un linguaggio che per la sua intensa vitalità umana e poetica fa dimenticare il peso della forma classica tanto lontano dal nostro gusto di oggi

mercoledì 24 aprile 2019

il mito troiano - Ugo Foscolo

il mito troiano - Ugo Foscolo

Negli ultimi versi del carme conclude il discorso poetico e celebra il valore civile della poesia in quanto questa si sostituisce, perpetuandone la memoria e la funzione ai sepolcri  quando saranno consumati dal tempo. Il ricordo delle imprese gloriose degli antenati in questo modo non scompare perchè resta affidato alla poesia, la cui voce dura in eterno : il mito troiano ne é una prova.
Attraverso la rievocazione del mito troiano e della figura di Omero il poeta ribadisce, come si è detto, l'alto valore umano e civile della poesia che, conservando I valori del passato, ispira le conquiste spirituali presenti e future della civiltà.
Infatti per Foscolo la civiltà dipende dalla poesia che ne consente lo sviluppo e l'arricchimento perché, rendendo immortali glorie e sventure, eroismi  e sacrifici, impedisce che il tempo  cancelli quanto l'umanità ha fatto lottando  per i propri ideali. E su questi valori e su questi ideali si fonda appunto la civiltà e il suo  significato di perfezionamento interiore degli uomini e dei popoli.
Dove un giorno fu la città di Troia  ora non c'è più nulla, eppure quel luogo è eternamente famoso, proprio in grazia  della poesia. Quando la ninfa Elettra, amata da Giove, si sentì  prossima alla morte, lo pregò di rendere immortale il suo ricordo e ne ottenne l'immortalità per la propria tomb. In quella tomba furono sepolti I suoi discendenti, fondatori di Troia ed essa diventò sacrario della città.
Ivi Cassandra profetizzò la caduta e la rovina della patria, annunziando, a consolazione delle divinità protettrici le quali sarebbero rimaste tra le rovine, che un giorno sarebbe venuto tra le macerie un poeta cieco : ascoltata la tragica vicenda di Troia, egli avrebbe immortalato I Greci vincitori  ma anche il glorioso sacrificio di Ettore  e dei suoi

martedì 23 aprile 2019

le tombe di Santa Croce - Ugo Foscolo

le tombe di Santa Croce - Ugo Foscolo

Quando parla delle tombe di santa croce esalta la funzione civile delle tombe dei grandi, che spingono gli animi generosi ad imitare l'esempio dei più nobili e gloriosi tra gli antenati, dei quali rendono perenne ricordo e fanno rivivere, inalterato, lo spirito.
Le tombe dei grandi rendono belle e sacra la terra che le ospita. Così è di Firenze. Quando  Foscolo visitò la chiesa di Santa Croce con le tombe di Macchiavelli, di Michelangelo  e di Galileo, gridò la sua ammirazione alla città fortunata per il clima ridente e salubre per aver dato a Dante I natali e a Petrarca i genitori e la lingua, ma soprattutto perché conserva le tombe in Santa Croce le glorie italiche le uniche che ci sono rimaste dopo invasioni  e predominio straniero di secoli. A queste tombe dovranno venire ad ispirarsi gli Italiani, quando nuovamente proveranno desiderio di gloria, proprio come vi veniva Alfieri, angosciato dalle sventure presenti della patria ed animato dalla speranza nel futuro. Anch'egli  ora é sepolto  in Santa Croce : dal sacro silenzio del tempio spira una voce, la voce dell'amor patrio, quella stessa voce che spinse I Greci a lottare contro I Persiani a Maratona. Le tombe dei vincitori di Maratona fanno rivivere agli  occhi del navigante, nella quiete notturna, I fantasmi eroici della gloriosa battaglia, rinnovando nel suo animo I sentimenti  degli eroi caduti per la libertà della loro terra.
Il passaggio dalla celebrazione del tempio di Santa Croce all'antica Grecia dà alla lirica un respiro  più vasto  e universale. La passione civile e politica che freme tra i versi e la rievocazione della leggendaria battaglia di Maratona mostrano chiaramente la complessa spiritualità di questo poeta che sull'educazione  e sul culto dei classici innesta una fremente sensibilità romantica.

lunedì 15 aprile 2019

i Sepolcri - Ugo Foscolo

I Sepolcri

La poesia della fine del '700 fu caratterizzata prevalentemente da due tendenze la neoclassica e la preromantica. La  prima tendeva alla celebrazione dell'antica Grecia, simbolo di bellezza e di armonia, la seconda indulgeva a sentimenti malinconici e a descrizioni  lugubri. Nel gusto preromantico rientra la così detta poesia sepolcrale che canta le tenebre notturne, i cimiteri e il triste pensiero della morte, e che fiorì  soprattutto in Inghilterra ed è rappresentata ad esempio dalla famosissima Elegia su un cimitero di campagna di Thomas Gray (1716-1771). Il carme foscoliano pubblicato ne 1807 rientra nel genere sepolcrale, ma si stacca dai modelli contemporanei per la sua ispirazione civile e morale : lungi dall'essere un lamento per l'ineluttabilità della morte. I Sepolcri foscoliani sono una celebrazione della vita eroica e dei valori spirituali che guidano l''uomo. Prendendo spunto dall'imminente estensione all'Italia di Saint-Cloud che vietava le sepolture entro gli abitati urbani il poeta riflette sull'utilità dei sepolcri per concludere che essi non portano nessuna utilità ai defunti, ma sono importanti per i vivi perché danno loro l'illusione che i morti non sono morti del tutto se una tomba continua a perpetuarne il ricordo  tra i viventi. In questo modo il culto dei morti che non lascia perire il ricordo dei trapassati e degli ideali in cui credettero, consente e garantisce lo sviluppo della civiltà in quanto questa si fonda appunto sulla conservazione del patrimonio di quei valori spirituali e sull'esempio dei sacrifici che ciascuna generazione ha saputo affrontare per realizzarli : in particolare vale il culto degli spiriti  più grandi  del passato in cui i popoli riconoscono e al cui insegnamento ritornano nel momento della rinascita nazionale.
Così per gli italiani  la chiesa di Santa Croce in Firenze, dove sono sepolti i grandi del passato è il tempio sacro della patria, che di lì parla ai suoi figli  attraverso quei sepolcri  ispirandoli a lottare per la libertà. Quando le tombe cadranno distrutte dal tempo il loro messaggio sarà perpetuato dalla poesia che è eterna : ne è la prova la lirica di Omero che ancor oggi fa rivivere in noi il sacrificio di Ettore per la salvezza della patria troiana.

martedì 26 marzo 2019

A Zacinto - Ugo Foscolo

A Zacinto - Ugo Foscolo

Il poeta in esilio, lontano dall'isola nativa, dove trascorse l'infanzia serena, e ripensa a lei con profonda nostalgia, sapendo di non potervi mai più tornare, la rivede con il cuore nella sua smagliante bellezza, tra le acque  del mare, da cui nacque la dea Venere, simboli di bellezza e della vita, la quale con il suo primo sorriso donò a quelle isole lo splendore di una ricchissima vegetazione e un clima incantevole.
Quell'incanto  di cielo e di verde rivive nella poesia del più grande poeta greco, Omero; ma nei suoi versi è anche raccontata la storia tristissima di Ulisse, costretto dal fato a navigare per tanti mari  avversi, prima di poter riabbracciare, reso ormai illustre dalla fama e dalla sventura, la sua nativa Itaca, un povero isolotto pietroso. Il Foscolo però ha un destino assai più amaro  dell'eroe greco, perché rivedrà mai più la sua bellissima terra: a lei  potrà lasciare  solo la sua poesia, mentre il suo cadavere verrà sepolto in terra straniera e nessuno piangerà sulla sua tomba .
In questo sonetto accanto al motivo dell'esilio  e del tormento per non  poter più rivedere l'amata terra natia, il poeta esprime la propria incantata ammirazione per l'antica civiltà greca, simboleggiata appunto dalla bellezza di Zacinto e dall'altissima poesia di Omero.
Il culto  della Grecia, come ideale di purezza, di armonia  e di perfezione rientra  nel gusto neoclassico, ma non fu estraneo  neppure ai romantici  che videro nella Grecia una specie di paradiso perduto dove poter dimenticare  i loro tomenti interiori.
Anche nella Grecia esisteva il dolore : ne è  la prova l'esilio di Ulisse. Ma alla fine Ulisse  ritornò in patria ritrovando pace e felicità, cosa che è negata al Foscolo


Nè più mai toccherò le sacre sponde
    Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
    Zacinto mia, che te specchi nell’onde
     Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
    Col suo primo sorriso, onde non tacque
    Le tue limpide nubi e le tue fronde
     L’inclito verso di colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
    Per cui bello di fama e di sventura
     Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
    O materna mia terra; a noi prescrisse
     Il fato illacrimata sepoltura.
ace e felicità, cosa che è negata al Foscolo

venerdì 22 marzo 2019

in morte del fratello Giovanni - Ugo Foscolo

in morte del fratello Giovanni  - Ugo Foscolo

Il poeta, vagante in esilio lontano da Venezia, pensa al fratello morto, ma non sa quando potrà fermarsi e tornare a piangerne la giovinezza, immaturamente stroncata dal destino, sostando sulla sua tomba. Presso di essa ora è solo la vecchia madre :  alla spoglia che non può darle risposta parta del fratello esule, il quale da lontano pensa a loro, angosciato dalla sventura e tanto profondamente deluso dalla vita. Quando il poeta dalla sua terra d'elisio saluta col cuore la patria perduta, allora comprende meglio le avversità della vita e i tormenti, che sconvolsero la beve esistenza del fratello, e ne invidia, desiderandola anche per sé, la pace che finalmente ha trovato nella morte. Di tante speranze giovanili ora non resta dunque che l'attesa della morte, portatrice di pace, che ponga fine ai travagli e alle delusioni. Ma perché il pensiero della morta sia più dolce, il poeta rivolge un'accorata preghiera agli stranieri, presso i quali morirà esule : restituiscano allora il suo cadavere alla povera madre, che ne avrà lieve conforto. E con lei  lo stesso poeta.
Il sonetto è ispirato al famoso carme che il poeta latino Catullo compose sul sepolcro del fratello nella lontana Bitinia, raggiunta dopo un lungo viaggio: ma mentre nel carme latino il motivo ispiratore è il dolore fraterno, qui al centro della poesia foscoliana  campeggia il dramma dell'esule che non può piangere sulla tomba del fratello né consolare la madre. La triste sorte dell'infelice famiglia è simboli della profonda infelicità dell'esistenza, che sono nella morte può trovare la pace.
Si noti la delicatezza del poeta, che non accenna al suicidio del fratello: è un tratto di fraterna pietà, che rende ancora più suggestiva e poetica la figura del giovane di cui lascia nel vago i profondi travagli spirituali. Il giovane Giovanni Dionigi Foscolo, ufficiale di artiglieria nell'esercito napoleonico, si uccise a vent'anni, nel dicembre del 1801; il sonetto è stato scritto l'anno successivo



IN MORTE AL FRATELLO GIOVANNI


Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
     Di gente in gente; mi vedrai seduto
     Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
      fior de’ tuoi gentili anni caduto:

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
     Parla di me col tuo cenere muto:
     Ma io deluse a voi le palme tendo;
      E se da lunge i miei tetti saluto,

Sento gli avversi Numi, e le secrete
     Cure che al viver tuo furon tempesta;
      E prego anch’io nel tuo porto quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
     Straniere genti, l’ossa mie rendete
      Allora al petto della madre mesta.

mercoledì 20 marzo 2019

alla sera - Ugo Foscolo

alla sera - Ugo Foscolo

La sera è particolarmente cara al poeta, perché  essendo l'immagine della morte, gli arreca pace e serenità. In ogni  stagione, sia quando essa giunge accompagnata dalle limpide nubi  dell'estate e dai tiepidi venticelli primaverili, sia quando  porta agli uomini, dal cielo gonfio di neve, le incerte e lunghe tenebre invernali  il poeta invoca la sera, che gli scende nell'animo  con infinita dolcezza. I suoi  pensieri vagano allora verso la morte e il nulla che ad essa segue; intanto il tempo  passa e con lui se ne vanno i dolori e gli affanni che lo tormentano. Immerso nella contemplazione della pace serale, il poeta dimentica se stesso, mentre il cuore si placa quello spirito di ribelle scontentezza che perennemente freme nel suo animo.
Il sonetto unisce  due elementi tipici della lirica romantica: il senso della natura e il senso tomentoso della vita. La natura è sentita come specchio e conforto dell'anima : l'uomo in essa si riconosce e in essa soltanto può trovare pace alle sue sofferenze interiori. Il cupo tormento spirituale del poeta descritto  sullo sfondo della serena dolcezza della sera ci mostra drammaticamente il destino di dolore e di angoscia di un uomo che sa di poter trovare l'agognata pace sono nella morte.

                                          
ALLA SERA
Forse perchè della fatal quïete
    Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
    O Sera! E quando ti corteggian liete
     Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquiete
    Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
    Sempre scendi invocata, e le secrete
     Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
    Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
     Questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure, onde meco egli si strugge;
    E mentre io guardo la tua pace, dorme
     Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.