Come Dante concepisce l'universo?
Dante segue il sistema tolemaico (dall'astronomo egiziano Claudio Tolomeo II sec. d.C.) o geocentrico integrato alle opinioni dei teologi la terra, sferica e immobile sta al centro dell'universo circondata dalle sfere dell'aria e del fuoco.
Intorno ad essa ruotano nove cieli cioè nove sfere cave concentriche (aderenti l'una all'altra ) composte di materia solida e trasparente.
In ciascuno dei primi sette cieli ruota un pianeta(anche il sole è considerato un pianeta) nell'ottavo si trovano tutte le stelle fisse perché sono dotate di movimento autonomo ma ruotano insieme al cielo
nel nono non vi sono né pianeti né stelle.
Il moto dei cieli è regolato da intelligenze angeliche I cieli ruotanti sono
I cielo della luna
II cielo di mercurio
III cielo di Venere
IV cielo del sole
V cielo di Marte
VI cielo di Giove
VII cielo di Saturno
VIII cielo stellato o delle stelle fisse
IX cielo cristallino o Primo Mobile
Al di là dei nove cieli si estende il X cielo l'Empireo (= di fuoco "cielo di fiamma o vero luminoso" come dice Dante nel Convivio) sede di Dio degli angeli e dei beati esso è immobile immateriale infinito
cosa sono gli Epicicli ?
nell'astronomia antica sarebbero delle piccole sfere ruotanti da Ovest a Est nello spessore dei cieli sull'equatore degli epicicli sono collocati i pianeti Il cielo del Sole è privo di epiciclo.
In quale opera dottrinale di Dante vengono trattati i problemi astronomici e con essi numerosi altri problemi della morale della letteratura della politica e della scienza e della tecnologia medioevale?
Nel Convivio che per questo rispetto costituisce un utile chiarimento a tanti passi del poema.
I numerosi passi astronomici che sono presenti nel poema hanno carattere puramente didattico ?
Talora effettivamente i passi astronomici hanno un significato didattico-informativo ma più spesso sono animati da alto respiro religioso poesia dell'astronomia è stato detto poesia cioè della presenza del divino nell'ordine universale
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giovedì 8 ottobre 2015
martedì 6 ottobre 2015
la Divina Commedia - questionari
Quando fu composta la Divina Commedia?
Nulla sappiamo di sicuro né sull'anno in cui fu iniziato il poema né sugli anni in cui furono compiute le singole cantiche.
Secondo l'opinione più diffusa Dante avrebbe iniziato il poema nell'esilio e lo avrebbe completato appena prima di morire: la composizione cadrebbe quindi tra il 1302 (1307) e il 1321.
Non si può peraltro escludere che l'Inferno si a stato iniziato a Firenze e cioè prima dell'esilio
secondo i sostenitori di tale tesi Dante avrebbe composto a Firenze i primi sette canti
Nel 1313 erano quasi certamente compiute le prime due cantiche (Inferno e Purgatorio)
che vennero pubblicate nel 1319 La terza (Paradiso) fu pubblicata postuma.
IN che metro è composto la Divina Commedia ?
In terzine incatenate di versi endecasillabi. IN ogni terzina il 1° e il 3° verso rimano tra loro mentre il 2° rima con il 1° e con il terzo della terzina seguente
Qual era il titolo originale del poema ?
La Commedia cosa per altro non esente da dubbi. Tale titolo (e forse più che il titolo designazione del genere poetico) indicherebbe che la vicenda ha inizio triste e fine lieto e che l'opera è scritta in stile comico e cioè dimesso e umile. IL Boccaccio che fu il primo grande interprete di Dante chiamo divina la Commedia. Il titolo attuale apparve nel 1555 nella edizione veneziana a stampa del Giolito.
In quale lingua è scritta la Divina Commedia ?
La maggior parte dell'opera è scritta nel fiorentino del tempo di Dante usato per altro in ampia libertà di scelta acanto a voci dell'uso vivo si riscontrano voci in disuso insieme a vocaboli di tono illustre non dialettali vi sono vocaboli plebei. Da tenere inoltre presenti i vari latinismi e le voci coniate direttamente dal poeta:
Nella Divina Commedia scrive il Migliorini il poeta pur attraverso le rigorose limitazione che si è imposte scegliendo lo schema della terzina si comporta con amplissima libertà per quello che concerne gli stili. Partendo da fondamenti grammaticali e lessicali senza alcun dubbio fiorentini egli si vale liberamente di tutte le risorse linguistiche che abbiano avuto consacrazione letteraria
Esiste l'autografo della Divina Commedia cioè il manoscritto di pugno di Dante ?
No esistono varie centinaia di codici cioè copie di amanuensi derivate dall'originale; tali codici presentano numerose varianti dallo studio e dal confronto di essi i filologi hanno tratto l'edizione critica l'edizione che si propone di riprodurre con la maggior esattezza possibile la forma voluta dall'autore
Chi tra i primi in pubbliche lezioni commentò il poema di Dante ?
Giovanni Boccaccio (1313-1375) egli iniziò le sue pubbliche letture dell'Inferno nel 1373 nella chiesa fiorentina di s:Stefano di Badia interrompendole per motivi di salute nei primi mesi del 1374 Di lui abbiamo un commento ai primi 17 canti dell'Inferno e una biografia di Dante in tre redazioni di cui la più ampi a con il titolo Trattatello in laude di Dante
Nulla sappiamo di sicuro né sull'anno in cui fu iniziato il poema né sugli anni in cui furono compiute le singole cantiche.
Secondo l'opinione più diffusa Dante avrebbe iniziato il poema nell'esilio e lo avrebbe completato appena prima di morire: la composizione cadrebbe quindi tra il 1302 (1307) e il 1321.
Non si può peraltro escludere che l'Inferno si a stato iniziato a Firenze e cioè prima dell'esilio
secondo i sostenitori di tale tesi Dante avrebbe composto a Firenze i primi sette canti
Nel 1313 erano quasi certamente compiute le prime due cantiche (Inferno e Purgatorio)
che vennero pubblicate nel 1319 La terza (Paradiso) fu pubblicata postuma.
IN che metro è composto la Divina Commedia ?
In terzine incatenate di versi endecasillabi. IN ogni terzina il 1° e il 3° verso rimano tra loro mentre il 2° rima con il 1° e con il terzo della terzina seguente
Qual era il titolo originale del poema ?
La Commedia cosa per altro non esente da dubbi. Tale titolo (e forse più che il titolo designazione del genere poetico) indicherebbe che la vicenda ha inizio triste e fine lieto e che l'opera è scritta in stile comico e cioè dimesso e umile. IL Boccaccio che fu il primo grande interprete di Dante chiamo divina la Commedia. Il titolo attuale apparve nel 1555 nella edizione veneziana a stampa del Giolito.
In quale lingua è scritta la Divina Commedia ?
La maggior parte dell'opera è scritta nel fiorentino del tempo di Dante usato per altro in ampia libertà di scelta acanto a voci dell'uso vivo si riscontrano voci in disuso insieme a vocaboli di tono illustre non dialettali vi sono vocaboli plebei. Da tenere inoltre presenti i vari latinismi e le voci coniate direttamente dal poeta:
Nella Divina Commedia scrive il Migliorini il poeta pur attraverso le rigorose limitazione che si è imposte scegliendo lo schema della terzina si comporta con amplissima libertà per quello che concerne gli stili. Partendo da fondamenti grammaticali e lessicali senza alcun dubbio fiorentini egli si vale liberamente di tutte le risorse linguistiche che abbiano avuto consacrazione letteraria
Esiste l'autografo della Divina Commedia cioè il manoscritto di pugno di Dante ?
No esistono varie centinaia di codici cioè copie di amanuensi derivate dall'originale; tali codici presentano numerose varianti dallo studio e dal confronto di essi i filologi hanno tratto l'edizione critica l'edizione che si propone di riprodurre con la maggior esattezza possibile la forma voluta dall'autore
Chi tra i primi in pubbliche lezioni commentò il poema di Dante ?
Giovanni Boccaccio (1313-1375) egli iniziò le sue pubbliche letture dell'Inferno nel 1373 nella chiesa fiorentina di s:Stefano di Badia interrompendole per motivi di salute nei primi mesi del 1374 Di lui abbiamo un commento ai primi 17 canti dell'Inferno e una biografia di Dante in tre redazioni di cui la più ampi a con il titolo Trattatello in laude di Dante
Dante Aligheri la vita - questionario
Quali sono gli elementi essenziali delle personalità dantesca ?
la fede religiosa, ideale politico e la coscienza artistica.
Quale esperienza della vita di Dante deve essere ritenuta importante?
l'esperienza della città stato cioè di Firenze
quale partito fu al potere durante la vita di Dante ?
Il partito dei Guelfi dal 1266.
Questi però erano divisi sul finire del XII secolo nelle due frazioni dei Bianchi (la famiglia dei Cerchi poche famiglie magnatizie, la parte più democratica del popolo grasso e del popolo minuto) e dei Neri (famiglia dei Donati la maggior parte delle famiglie magnatizie e la parte più ricca del popolo grasso)
I Bianchi volevano la completa autonomia del Comune di Firenze ; I Neri invece vedevano i loro interessi e quelli della città legati al papato ( Bonifacio) e agli Angioini di Napoli (Carlo II).
Quale fu la più importante carica politica ricoperta da Dante a Firenze?
Quella di priore dal 15 giugno al 15 agosto 1300: i sei priori Dante incluso erano tutti di parte bianca
Quale anno si può considerare fondamentale nella vita di Dante ?
IL 1302 in cui ha inizio l'esilio del poeta. Il 27 gennaio Dante - seguace dei Bianchi tenace oppositore dei Neri e del papa Bonifacio VIII - viene condannato con sentenza della podestà di Firenze Cante dei Gabrielli da Gubbio al pagamento di 5000 fiorini piccoli al bando fuori di Toscana per due anni e all'esclusione dagli uffici pubblici .
Dante - che probabilmente stava tornando da Roma, ove si era recato ambasciatore presso Bonifacio VIII - non si presentò (così si ritiene) a Firenze. Perciò con una sentenza del 10 marzo viene condannato in esilio perpetuo e ad essere arso vivo se fosse caduto in potere del comune.
La prima sentenza -di cui ci è giunto testo - conteneva una non ben specificata accusa di baratteria (traffico illecito dei pubblici uffici) e di turbamento della pace: la condanna era in realtà una ritorsione dei Neri contro Dante che aveva sostenuto l'indipendenza del comune.
Quali effetti ha prodotto l'esilio sulla personalità di Dante ?
L'esilio ha ampliato e maturato la sua convinzione politica l'idea imperiale si forma e si approfondisce dopo che egli ha constatato, pagando di persona, le conseguenze nefaste delle lotte di parte e dell'intervento in esse della curia romana.
Ma nell'elisio Dante ha pure maturato e arricchito tutta la sua umanità accentuando il proprio distacco dai compagni di sventura disonesti e mediocri.
L'esilio scrive Grabher scavò anche la più profonda in lui quella interiore solitudine se al dire del Boccaccio lo spingeva ad essere rimoto dalle genti "rimoto " lo faceva anche tra le genti e che gli permise di ascoltare meglio le profonde voci dell'anima levandolo sempre più in alto il contingente fino a profilarlo e trasfigurarlo nel mendo eterno del suo Poema
In quali opere in prosa Dante espone il suo pensiero politico ?
Nel convivio (IV trattato missione provvidenziale dell'Impero affidata al popolo romano) e soprattutto nel trattato latino Monarchia . Va a intendere la passione politica di Fante (che è sempre passione politico - religiosa) giova conoscere le Epistole (tutte scritte in latino) e tra esse
a) quella rivolta ai principi e ai popoli della penisola per annunciare il Cesare redentore (Arrigo VII)
b)quella rivolta agli scelleratissimi fiorentini per minacciare ad essi la vendetta imperiale
c) quella rivolta ad Arrigo VII per esortarlo a schiacciare la tessa della vipera(Firenze
d) quella rivolta ai cardinali italiani dopo la morte di Clemente V
Tutte le opere citate furono composte durante l'esilio
Per riassumere in poche parole il contenuto della Monarchia.
Libro I. Per garantire pace e giustizia alla società umana è necessario l'Impero : così essa potrà sviluppare l'intelletto speculativo e pratico attuando la vera felicità in terra
Libro II. Il popolo romano è stato predestinato all'Impero universale della Provvidenza divina :le sue conquiste furono necessarie per avviare il mondo alla felicità.
Libro III. L'autorità dell'imperatore deriva direttamente da Dio come quella del Pontefice l'imperatore è quindi indipendente dal pontefice. IL primo guida l'umanità alla felicità mediante la verità filosofica; il secondo guida l'umanità alla beatitudine celeste mediante la verità rivelata
la fede religiosa, ideale politico e la coscienza artistica.
Quale esperienza della vita di Dante deve essere ritenuta importante?
l'esperienza della città stato cioè di Firenze
quale partito fu al potere durante la vita di Dante ?
Il partito dei Guelfi dal 1266.
Questi però erano divisi sul finire del XII secolo nelle due frazioni dei Bianchi (la famiglia dei Cerchi poche famiglie magnatizie, la parte più democratica del popolo grasso e del popolo minuto) e dei Neri (famiglia dei Donati la maggior parte delle famiglie magnatizie e la parte più ricca del popolo grasso)
I Bianchi volevano la completa autonomia del Comune di Firenze ; I Neri invece vedevano i loro interessi e quelli della città legati al papato ( Bonifacio) e agli Angioini di Napoli (Carlo II).
Quale fu la più importante carica politica ricoperta da Dante a Firenze?
Quella di priore dal 15 giugno al 15 agosto 1300: i sei priori Dante incluso erano tutti di parte bianca
Quale anno si può considerare fondamentale nella vita di Dante ?
IL 1302 in cui ha inizio l'esilio del poeta. Il 27 gennaio Dante - seguace dei Bianchi tenace oppositore dei Neri e del papa Bonifacio VIII - viene condannato con sentenza della podestà di Firenze Cante dei Gabrielli da Gubbio al pagamento di 5000 fiorini piccoli al bando fuori di Toscana per due anni e all'esclusione dagli uffici pubblici .
Dante - che probabilmente stava tornando da Roma, ove si era recato ambasciatore presso Bonifacio VIII - non si presentò (così si ritiene) a Firenze. Perciò con una sentenza del 10 marzo viene condannato in esilio perpetuo e ad essere arso vivo se fosse caduto in potere del comune.
La prima sentenza -di cui ci è giunto testo - conteneva una non ben specificata accusa di baratteria (traffico illecito dei pubblici uffici) e di turbamento della pace: la condanna era in realtà una ritorsione dei Neri contro Dante che aveva sostenuto l'indipendenza del comune.
Quali effetti ha prodotto l'esilio sulla personalità di Dante ?
L'esilio ha ampliato e maturato la sua convinzione politica l'idea imperiale si forma e si approfondisce dopo che egli ha constatato, pagando di persona, le conseguenze nefaste delle lotte di parte e dell'intervento in esse della curia romana.
Ma nell'elisio Dante ha pure maturato e arricchito tutta la sua umanità accentuando il proprio distacco dai compagni di sventura disonesti e mediocri.
L'esilio scrive Grabher scavò anche la più profonda in lui quella interiore solitudine se al dire del Boccaccio lo spingeva ad essere rimoto dalle genti "rimoto " lo faceva anche tra le genti e che gli permise di ascoltare meglio le profonde voci dell'anima levandolo sempre più in alto il contingente fino a profilarlo e trasfigurarlo nel mendo eterno del suo Poema
In quali opere in prosa Dante espone il suo pensiero politico ?
Nel convivio (IV trattato missione provvidenziale dell'Impero affidata al popolo romano) e soprattutto nel trattato latino Monarchia . Va a intendere la passione politica di Fante (che è sempre passione politico - religiosa) giova conoscere le Epistole (tutte scritte in latino) e tra esse
a) quella rivolta ai principi e ai popoli della penisola per annunciare il Cesare redentore (Arrigo VII)
b)quella rivolta agli scelleratissimi fiorentini per minacciare ad essi la vendetta imperiale
c) quella rivolta ad Arrigo VII per esortarlo a schiacciare la tessa della vipera(Firenze
d) quella rivolta ai cardinali italiani dopo la morte di Clemente V
Tutte le opere citate furono composte durante l'esilio
Per riassumere in poche parole il contenuto della Monarchia.
Libro I. Per garantire pace e giustizia alla società umana è necessario l'Impero : così essa potrà sviluppare l'intelletto speculativo e pratico attuando la vera felicità in terra
Libro II. Il popolo romano è stato predestinato all'Impero universale della Provvidenza divina :le sue conquiste furono necessarie per avviare il mondo alla felicità.
Libro III. L'autorità dell'imperatore deriva direttamente da Dio come quella del Pontefice l'imperatore è quindi indipendente dal pontefice. IL primo guida l'umanità alla felicità mediante la verità filosofica; il secondo guida l'umanità alla beatitudine celeste mediante la verità rivelata
venerdì 2 ottobre 2015
Stile del Mastro Dan Gesualdo
Tematiche, stile e poetica
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
Già dal riassunto della trama si capisce la diversità di intenti che anima Verga nella composizione del Mastro don Gesualdo rispetta al romanzo precedente del 1881: all’apertura del quadro sociale rispetto a I Malavoglia corrisponde la messa a fuoco di un preciso frangente storico: quello delle lotte risorgimentali tra 1820 e 1850 e della parallela affermazione di una nuova stirpe di affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contedono il potere politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. A ciò corrisponde la netta affermazione della logica della “roba” (già osservati nella novella omonima, che funge infatti da bozza per l'elaborazione del romanzo), che caratterizza non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra i personaggi del libro: la mentalità premoderna di Padron ‘Ntoni, legata alla famiglia, al "casa del Nespolo" e ai valori contadini, è definitivamente tramontata, mentre si affermano i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, che guidano ascesa e declino del "Mastro-don". La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano. E va da sé, come pessimisticamente Verga annota, che in un tale universo anche la realtà dei sentimenti deve sottomettersi agli interessi del portafoglio.
In conseguenza di tutto ciò, il verismo verghiano muta le proprie coordinate stilistiche rispetto a I Malavoglia: alla narrazione condotta in maniera collettiva e “corale” si aggiungono e spesso si sovrappongono altri punti di vista e altri piani della narrazione, proprio perché le dinamiche socio-economiche sono più complesse (come già prefigurava la Prefazione al primo romanzo: a mano a mano che ci si muove verso le classi più elevate della societò “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”); al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo, si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare, che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.
martedì 29 settembre 2015
riassunto di Mastro Don Gesualdo
Introduzione
Il progetto del Mastro Don Gesualdo è uno di quelli che assorbe maggiormente le forze verghiane; se l’idea di proseguire il “ciclo dei vinti” secondo l’abbozzo tracciato nella Prefazione dei I Malavoglia compare già in una lettera all’amico Capuana del febbraio 1881, lo sviluppo della nuova opera è assai complesso e travagliato. Così, il nuovo lavoro vede prima la luce sulla rivista «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre 1888, poi - a seguito di accordi editoriali con Treves - viene edito in volume (con cospicui interventi correttori dell’autore stesso, come sottolineato dalla critica) l’anno successivo.
Riassunto dell'opera
Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e ad un’indefessa etica del lavoro: appunto, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure, con ipocrita deferenza, al nuovo status borghese, che il protagonista s'è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando, partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale.
Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.
La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo.
Il progetto del Mastro Don Gesualdo è uno di quelli che assorbe maggiormente le forze verghiane; se l’idea di proseguire il “ciclo dei vinti” secondo l’abbozzo tracciato nella Prefazione dei I Malavoglia compare già in una lettera all’amico Capuana del febbraio 1881, lo sviluppo della nuova opera è assai complesso e travagliato. Così, il nuovo lavoro vede prima la luce sulla rivista «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre 1888, poi - a seguito di accordi editoriali con Treves - viene edito in volume (con cospicui interventi correttori dell’autore stesso, come sottolineato dalla critica) l’anno successivo.
Riassunto dell'opera
Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e ad un’indefessa etica del lavoro: appunto, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure, con ipocrita deferenza, al nuovo status borghese, che il protagonista s'è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando, partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale.
Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.
La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo.
lunedì 21 settembre 2015
poetica di Leopardi
La poetica di Leopardi è caratterizzata da una perfetta continuità lirica che va dal "Saggio sopra gli errori popolari degli antichi " fino al concludersi della sua produzione letteraria.
La rievocazione di miti e di leggende sul tuono, sul vento, sul terremoto, sui terrori notturni e sugli astri che tanto spazio occupano nel "Saggio" rivelano già nello scrittore adolescente una fervida immaginazione un'adesione profonda alle belle fole si felici errori di cui echeggiano spesso i canti della maturità.
Il Leopardi che ritiene di ricercare al fine di scoprire verità scientifiche in effetti vive fantasie di altri tempi in versi e in prosa e le esprime con tono chiaramente lirico.
Proprio per questo "saggio " si apre l' anima poetica di Leopardi e nasce la sua poesia, come documento di un avvertito sentimento d'amore per la donna ma ancora più come rivelazione dei tormenti fisici, che lo invogliano ad un continuo colloquio con se stesso e lo inducono ad una sempre più profonda introspezione:
Le sue oper più significative sono i Canti e le "operette morali "
Attraverso una lettura ed un adeguato commento delle sue opere è possibile cogliere i motivi, le forme e i valori della poetica di Leopardi .
I documenti che, meglio e più a fondo, rivelano il pensiero, il sentimento e perciò il mondo interiore del "contino di Recanati " sono gli "idilli" piccoli e grandi raccolti e pubblicati dal Leopardi stesso nei "Canti" .
Le composizioni poetiche, in versi occupano il ventennio 1816-1836 con l'interruzione di un triennio 1823 - 1826 in cui Leopardi non sentendosi più incline a scrivere versi, si diede alla stesura delle "Operette Morali" che comunque anche se scritte in prosa non interrompono la continuità lirica della sua produzione.
E' da ritenere pertanto semplicemente scolastica e forse anche arbitraria la suddivisione in periodi dell'opera poetica del Leopardi uguali sono i grandi temi trattati nei "Canti" e nelle "Operette morali " il dolore umano (individuale, collettivo), il dolore universale, la potenza misteriosa della natura, la natura matrigna.
La rievocazione di miti e di leggende sul tuono, sul vento, sul terremoto, sui terrori notturni e sugli astri che tanto spazio occupano nel "Saggio" rivelano già nello scrittore adolescente una fervida immaginazione un'adesione profonda alle belle fole si felici errori di cui echeggiano spesso i canti della maturità.
Il Leopardi che ritiene di ricercare al fine di scoprire verità scientifiche in effetti vive fantasie di altri tempi in versi e in prosa e le esprime con tono chiaramente lirico.
Proprio per questo "saggio " si apre l' anima poetica di Leopardi e nasce la sua poesia, come documento di un avvertito sentimento d'amore per la donna ma ancora più come rivelazione dei tormenti fisici, che lo invogliano ad un continuo colloquio con se stesso e lo inducono ad una sempre più profonda introspezione:
Le sue oper più significative sono i Canti e le "operette morali "
Attraverso una lettura ed un adeguato commento delle sue opere è possibile cogliere i motivi, le forme e i valori della poetica di Leopardi .
I documenti che, meglio e più a fondo, rivelano il pensiero, il sentimento e perciò il mondo interiore del "contino di Recanati " sono gli "idilli" piccoli e grandi raccolti e pubblicati dal Leopardi stesso nei "Canti" .
Le composizioni poetiche, in versi occupano il ventennio 1816-1836 con l'interruzione di un triennio 1823 - 1826 in cui Leopardi non sentendosi più incline a scrivere versi, si diede alla stesura delle "Operette Morali" che comunque anche se scritte in prosa non interrompono la continuità lirica della sua produzione.
E' da ritenere pertanto semplicemente scolastica e forse anche arbitraria la suddivisione in periodi dell'opera poetica del Leopardi uguali sono i grandi temi trattati nei "Canti" e nelle "Operette morali " il dolore umano (individuale, collettivo), il dolore universale, la potenza misteriosa della natura, la natura matrigna.
sabato 19 settembre 2015
ITALO CALVINO
Italo Calvino è nato a Santiago di Las Vegas nell'isola di Cuba il 15 ottobre 1923 ha diretto la rivist "il Menabò" si è reso noto per il romanzi e i racconti la cui trama è tra realtà e fantasia, avventura e angoscia Tra le sue opere si ricordano "il sentiero dei nidi di ragno " "ultimo viene il coro", "il Visconte dimezzato" Gli amori difficili", "Ti con Zeio".
Uno dei più significativi scrittori dell'Italia di cui ha indagato momenti e aspetti salienti con la ricerca stilistica continuamente rinnovata
Nelle opere di Calvino il neo-realismo viene arricchito e superato graze ad un sempre più forte intervento della fantasia e della razionalità inseparabilmente unite si ispirano all'esperienza dell' epoca fascista e alla Resistenza
In seguito ha pubblicato Marcovaldo in cui la fantasia coglie con felice umorismo le contraddizioni e le deformazioni della nostra società tecnologica
muore il 19 settembre 1985 hanno dichiarato il 2013 come anno di Italo Calvino in occasione del suo 90 compleanno
Uno dei più significativi scrittori dell'Italia di cui ha indagato momenti e aspetti salienti con la ricerca stilistica continuamente rinnovata
Nelle opere di Calvino il neo-realismo viene arricchito e superato graze ad un sempre più forte intervento della fantasia e della razionalità inseparabilmente unite si ispirano all'esperienza dell' epoca fascista e alla Resistenza
In seguito ha pubblicato Marcovaldo in cui la fantasia coglie con felice umorismo le contraddizioni e le deformazioni della nostra società tecnologica
muore il 19 settembre 1985 hanno dichiarato il 2013 come anno di Italo Calvino in occasione del suo 90 compleanno
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