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giovedì 16 maggio 2019

il passero solitario - Giacomo Leopardi

il passero solitario - Giacomo Leopardi

E' uno degli idilli più caratteristici, in cui la contemplazione della natura offre lo spunto alla riflessione. Il Leopardi osserva un passero, che diversamente dagli altri, nel tripudio della primavera e dei voli, se ne sta tutto solo a cantare su un campanile. Il poeta sente di essere simile all'uccelletto : anch'egli  se ne sta tutto solo a meditare, mentre I giovani del paese, lieti e spensierati, si godono il bel giorno di festa. Ma il sole intanto, calando all'orizzonte, sembra ammonire il poeta che la giovinezza poco alla volta se ne va, e non bisogna perciò lasciarsela sfuggire. Per questo conclude amaramente il Leopardi egli è molto più felice del passero : questo si comporta così perché tale é la sua natura, mentre egli dovrebbe come tutti gli altri giovani godere della gioventù fino a che essa dura; da vecchio la rimpiangerà, ma invano.

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

mercoledì 15 maggio 2019

Giacomo Leopardi

Giacomo leopardi

Nacque a Recanati nel 1798. Il padre conte Monaldo, un letterato di gusto classicistico, dedito agli studi, e la madre Adelaide dei marchesi Antici, attenta vigilatrice del patrimonio dissestato, si occuparono poco dei figli; una tale situazione famigliare e l'arretratezza culturale dell'ambiente recanatese soffocarono in lui la naturale giovanile alla vita espansiva e spensierata: Precocissimo per interessi e capacità intellettuali, divorò le opere contenute nella ricchissima ma antiquata biblioteca paterna, e diventò, pur essendo ancora in giovanissima età, un grande erudito di lingua e letteratura latina e greca. Intanto, con sette anni di studio esasperato e continuo, proprio nell'età dello sviluppo si rovinò per sempre la salute, rimanendo leggermente deforma nel corpo e soffrendo, per tutta la vita di dolori alla vista e al sistema nervoso: La sua vita ebbe come centro Recanati : se ne staccò la prima volta per recarsi a Roma e poi a Milano, A Bologna, a Firenze e a Pisa : ma il paese natale, amato e odiato nello stesso tempo, era  al centro del suo cuore ed egli vi ritornava sempre , sia pur scontento e deluso e pronto a ripartirne alla prima occasione. Nel '30 lo lasciò definitivamente per Firenze, da dove, dopo una grave delusione di amore, passò a Napoli : qui visse, confortato dall'amicizia di Antonio Ranieri, anni di terribili  sofferenze sopportate stoicamente e morì nel 1837.
La produzione poetica leopardiana esigua ma di grandissimo valore , è contenuta nel libro dei Canti  dove campeggiano gli idilli, le sue liriche più belle e caratteristiche.
A differenza degli idilli classici, che erano dei quadretti naturali a  soggetto per lo più amoroso e pastorale, gli idilli leopardiani, situazioni, affezioni , avventure storiche.
secondo la definizione che ne dette lo stesso poeta : la natura suggerisce un triste sentimento di abbandono o un dolce ricordo della lontana infanzia o schiude un sogno di impossibile felicità , ma sul sentimento  interviene la ragione che distrugge ogni illusione e afferma l'eterno dolore dell'esistenza. La vita sembra bella solo quando si è giovani, perchè rallegrata da un sogni e speranze, ma in realtà è per tutti solo fonte di dolore prechè sogli e speranze  sono illusioni che non potranno mai realizzarsi : la liberazione dalle delusioni e dalle sofferenze non può dunque venire che dalla morte, spezzando crudelmente la tensione umana verso la felicità e verso l'infinito.
Oltre ai Canti Leopardi scrisse un importante volumetto in prosa, le Operette morali, per lo più dialoghi tra personaggi reali e immaginari, dove si ritrovano gli stessi sentimenti e le stesse idee. Nelle Operette morali prevale l'abito riflessivo e il dialogo procede con toni solitamente sarcastici che tendono a scardinare credenze ed errori, distruggendo illusioni e desideri vani : è un libro pervaso da un'ironia amara, tutta la testa sottile e senza concessioni  e facili sogni e a falsi sentimentalismi.
Di Leopardi ci restano ancora un bellissimo Epistolario e lo Zibaldone una raccolta di note appunti e riflessioni  d'ogni genere che il poeta redasse durante tutta la vita in queste due opere noi troviamo il materiale da cui sono scaturiti il mondo poetico e l'arte del Canti e delle Operette morali.

martedì 14 maggio 2019

La tragedia romantica del Manzoni e il coro

la tragedia romantica del Manzoni e il coro

La tragedia Manzonian è un tipico esempio del teatro romantico: La tragedia classica trattava di argomenti mitologici e si fondava su tre unità di tempo, luogo e azione per  avere I caratteri di verosimiglianza. Il romantico Manzoni invece ritiene che il teatro  deve rispecchiare la realtà e perciò deve trattare argomenti  storici non mitologici. La verosimiglianza poi deve essere tutta interiore e non limitarsi ai caratteri esterni degli eventi da rappresentare, deve calarsi nell'animo dei protagonisti ricostruendone dall'interno I sentimenti  e comportamento. Questa del cuore umano e dei sentimenti  è la verità che interessa ai romantici.
Caratteristica peculiare della tragedia manzoniana sono I cori, ripresi dalla tragedia greca dove però avevano altra funzione con I quali il poeta si riserva uno spazio per riflettere e meditare commentando situazioni  e vicende : in questo modo i fatti si trasformano in problemi spirituali la storia diventa meditazione, gli accadimenti trapassano in momenti universali ed eterni della vita.

Il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni

il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni

E' la fine dell'atto terzo : I Franchi superate le chiuse di Susa irrompono nella pianura, inseguendo I Longobardi in fuga. Gli italiani contemplano la sconfitta dei loro padroni con animo stupito e sospeso : l'antica fierezza della nazione e le umiliazioni subite si mescolano alla nascente speranza della libertà. Ma il poeta raffredda I loro entusiasmi  e li mette in guardi a: come possono sperare di avere la libertà dai Franchi? non per loro certo costoro hanno sopportato fatiche e pericoli : essi resteranno qui da padroni, e I poveri illusi dovranno servire a due popoli non solo ai longobardo ma anche ai nuovi signori che ai accorderanno con quelli.
Il coro ha un chiaro riferimento  alla situazione politica dei primi anni del Risorgimento ( non si dimentichi che la tragedia fu scritta al tempo dei moti del 1821) : se gli italiani vorranno la libertà dovranno conquistarsela da soli colle proprie  forze  e con il proprio sacrificio.
In questi versi serpeggia un senso di amaro e doloroso della vita che non è certo  felice per nessuno  con profonda commozione  e cristiana pietà  il poeta si accosta tanto agli italiani, schiavi e ben presto delusi nelle speranze  quanto ai longobardi ormai non più signori sprezzanti ma poveri genitori angosciati per la sorte dei figli, e ai Franchi costretti  a riprendere le armi e a correre rischi mortali una inutile  sciagura per I vinti I vincitori e spettatori innocenti.

lunedì 13 maggio 2019

la morte di Ermengarda - Manzoni

la morte di Ermengarda - Manzoni

a metà dell'atto IV il coro commenta la morte di Ermengarda, assopitasi in una pace dolce e serena nel convento di San Salvatore di Brescia, dopo un angoscioso delirio in cui è esploso il suo amore ancora intenso e non sopito per Carlo Magno, il marito che l'ha ripudiata . L'eco della guerra tra Franchi e Longobardi si placa per un momento di fronte alla morte che ha concluso nel silenzio e nella pace di un ritiro religioso il dramma terreno di una giovane infelice, sul cui doloroso destino il poeta si china pensoso e commosso a riflettere : legata per sempre a Carlo Magno  nella solitudine di un chiostro ella chiedeva l'oblio, ma invano perchè I ricordi dei momenti  più felici della sua vita coniugale le tornavano alla mente, tormentandola. Questa lotta durissima coi propri affetti  redime nella sofferenza la giovane principessa; perché possa serenamente morire, è necessario che ella si innalzi dall'amore terreno all'amore celeste offrendo a Dio il proprio tormento. Soltanto la sofferenza redime : per quando ha patito Ermengarda non sarà ricordata con odio come gli altri Longobardi oppressori ma sarà invece compianta come tutte le vittime innocenti che ora riposano intorno a lei.
Il dolore è un dono della provvidenza perché permette di elevarsi sulle violenze e sulle ingiustizie della vita riscattando ogni colpa

domenica 12 maggio 2019

Adelchi - una tragedia romantica

Adelchi una tragedia romantica

La tragedia Adelchi  scritta tra il 1820 e il 1822, rievoca gli ultimi anni del dominio longobardo in Italia (772-774) Desiderio decide di invadere el terre del papa al cui soccorso interviene il re dei Franchi Carlo Magno, che ha appena ripudiato la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio. Bloccato alle chiuse, Carlo sta per abbandonare l'impresa quando ili diacono Martino gli indica la strada per superare l'ostacolo e prendere alle spalle le truppe longobarde guidate da Adelchi, figlio di Desiderio. Quest'ultimo, tradito dai duchi sarà sconfitto e preso prigioniero mentre Ermengarda e Adelchi moriranno purificati e rasserenati dal dolore e dalle sofferenze.
E' una tragedia nella quale si esprime la spiritualità romantica e cristiana del Manzoni. Sullo sfondo di eventi storici fedelmente ricostruiti lo scrittore  si cala nell'animo dei personaggi per comprenderne I travagli e I conflitti interiori : ma  per tutti la realtà è sofferenza e dolore e la stessa storia è un susseguirsi di prepotenze e di soprusi dei più forti a danno dei più deboli. Un uguale destino di sofferenza e di delusione accumuna Adelchi ed Ermengarda e il popolo italiano ; però  mentre da quella sofferenza ai due infelici principi  verrà la redenzione  e il riscatto, agli italiani l'arrivo dei franchi non porterà la sognata libertà ma una nuova schiavitù.
Su questo sconsolato mondo di dolore lo scrittore stende un velo di umana pietà e di cristiana compassione e un fermo incitamento a lottare per I propri ideali : in questo consiste la novità e la ricchezza del mondo spirituale e poetico del Manzoni fondato sui principi del cristianesimo e del romanticismo, su un sincero amore della libertà e dell'indipendenza nazionale e su un profondo interesse per la storia

la pentecoste - Alessandro Manzoni

la pentecoste - Alessandro Manzoni

E' il più famoso e più bello degli Inni Sacri : ebbe una lenta maturazione poetica dal 1817 al 1822. Il peccato degrada l'uomo  e lo allontana da Dio con un distacco ora non più incolmabile perché a Dio può ricondurlo la Chiesa con la sua missione apostolica da quando lo Spirito Santo  si è calato in essa per elargire attraverso di essa i suoi doni all'umanità. Dio vive nel cuore dell'uomo nelle sue gioie e nelle sue ansie, lo trasforma dall'interno, lo arma contro ogni difficoltà, gli dà infine la pace che addolcisce la morte in una serena e fiduciosa speranza.
L'inno può essere diviso in tre parti : nella prima, dopo una apostrofe alla Chiesa che ne sintetizza lo spirito e la missione, si tratteggia un atteggiamento degli Apostoli nei giorni della Passione e della Resurrezione, quando timorosi  per la propria sorte, rimasero  celati  nascondendosi ai nemici; nella seconda si descrive la miracolosa calata dello Spirito Santo  sugli Apostoli  raccolti nel Cenacolo cinquanta giorni dopo la Resurrezione ( la parola pentecoste letteralmente significa  cinquantesima giornata)  l'inizio della predicazione e della diffusione del vangelo  e l'avvento della nuova società cristiana rinnovatrice dell'umanità nell'ultima parte infine il poeta prega lo Spirito Santo perché continui a scendere sugli uomini per vivificarli e rinnovarli con la sua grazia.
L'Inno ha momenti liricamente indimenticabili soprattutto nelle strofe che descrivono il rinnovamento interiore portato dal cristianesimo e nella preghiera finale: nell'invocazione e nella preghiera allo Spirito Santo Manzoni si rivela commosso conoscitore dell'animo umano, delle sue ansie ma anche l'interiore libertà pace e serenità che la fede dà agli uomini


LA PENTECOSTE
Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;
Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.
Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante