Il mito di Napoleone
La figura e l'opera di Napoleone grandeggiato a cavallo tra il XVII e il XIX secolo : erede della Rivoluzione francese ne diffuse le idee e le conquiste per tutta Europa, sconvolgendo con la sua presemza e la sua azione l'intero continente. La fine dell'impero napoleonico chiuse un'epoca di grandiose vicende e di generosi entusiasmi; ma l'Europa non tornò quella di prima. I germi di un mondo nuovo erano stati ormai gettati.
L'Europa dei sovrani e dell'assolutismo era tramontata e stava nascendo l'Europa delle nazioni e della libertà. Oggetto contemporaneamente di amore e di odio Napoleone entrò subito nella vicenda : il suo fu il primo mito romantico a investire le coscienze e ad accendere le fantasie con giudizi e sentimenti talora contrastanti, anche in una stessa persona.
Questo ad esempio accadde non solo a Foscolo ma anche al grande musicista tedesco Beethoven, che nel 1804 aveva concepito una grandiosa sinfonia (la numero 3) in omaggio al genio di Napoleone primo console, che gli sembrava incarnasse i suoi ideali di libertà e di democrazia; però quando Napoleone si fece incoronare imperatore, Beethoven cancellò la dedica e la sostituì con il titolo con cui oggi è nota di " sinfonia Eroica , composta per festeggiare il ricordo di un grand'uomo "
A noi qui ora non interessa registrare il dibattito storico politico che si sviluppò sulla sua opera e che non si è ancora del tutto concluso
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sabato 22 settembre 2018
mercoledì 19 settembre 2018
Aroldo di George Byron
Aroldo di George Byron
Il Pellegrinaggio di Aroldo (1812-1818) è un poema a sfondo autobiografico in strofe di nove versi, nel quale si descrivono i viaggi e le riflessioni di un giovane inglese che, sazio della vita sino allora condotta tra bagordi e turpitudini, lascia volontariamente la patria e vaga tra la penisola iberica la Grecia e l'Italia. Le descrizioni e le riflessioni che costituiscono la vera ossatura dell'opera hanno come punto di riferimento la personalità di Aroldo, marcata dal vizio dalla noia, dall'amore della solitudine, dal dramma segreto che lo tormenta dal gusto dell'esilio volontario dal disprezzo della gente comune cioè dai tipici atteggiamenti romantici che in lui si complicano perché in parte sono autentici e in parte artificiosi in quanto costituiscono una posa studiata del personaggio Byron.
Per la caratterizzazione dell'eroe romantico Aroldo eroe che cerca fuga dagli uomini e dalla realtà decisa nel primo brano per sazietà di piacere interiore scontentezza e nel secondo per incapacità di rapporti umani e conseguente disgusto per i propri simili, indifferenza per tutti e lucida disperazione. Il sentimento potrebbe essere sincero ma la sua rappresentazione caricata ed enfatica e nello stesso tempo compiaciuta ci porta verso una forma di estetismo cupo e tenebroso. Il linguaggio nel complesso è sostenuto e costruito retoricamente si sente la volontà di colpire il lettore con una certa aura poetica e una particolare enfasi nel modo di presentare situazioni o di riflettere su atteggiamenti dello spirito attraverso vocaboli sintassi ed immagini ricercate. Siamo lontani dal clima magniloquente di Chyateaubriand, ma ci troviamo sempre in un genere di discorso poetico di consapevole sostenutezza formale che corrisponde al modo di atteggiarsi e di presentarsi del personaggio Byron. Non sarà difficile per il lettore individuare le parole e le immagini che più marcatamente incidono il profilo interiore del protagonista.
Il Pellegrinaggio di Aroldo (1812-1818) è un poema a sfondo autobiografico in strofe di nove versi, nel quale si descrivono i viaggi e le riflessioni di un giovane inglese che, sazio della vita sino allora condotta tra bagordi e turpitudini, lascia volontariamente la patria e vaga tra la penisola iberica la Grecia e l'Italia. Le descrizioni e le riflessioni che costituiscono la vera ossatura dell'opera hanno come punto di riferimento la personalità di Aroldo, marcata dal vizio dalla noia, dall'amore della solitudine, dal dramma segreto che lo tormenta dal gusto dell'esilio volontario dal disprezzo della gente comune cioè dai tipici atteggiamenti romantici che in lui si complicano perché in parte sono autentici e in parte artificiosi in quanto costituiscono una posa studiata del personaggio Byron.
Per la caratterizzazione dell'eroe romantico Aroldo eroe che cerca fuga dagli uomini e dalla realtà decisa nel primo brano per sazietà di piacere interiore scontentezza e nel secondo per incapacità di rapporti umani e conseguente disgusto per i propri simili, indifferenza per tutti e lucida disperazione. Il sentimento potrebbe essere sincero ma la sua rappresentazione caricata ed enfatica e nello stesso tempo compiaciuta ci porta verso una forma di estetismo cupo e tenebroso. Il linguaggio nel complesso è sostenuto e costruito retoricamente si sente la volontà di colpire il lettore con una certa aura poetica e una particolare enfasi nel modo di presentare situazioni o di riflettere su atteggiamenti dello spirito attraverso vocaboli sintassi ed immagini ricercate. Siamo lontani dal clima magniloquente di Chyateaubriand, ma ci troviamo sempre in un genere di discorso poetico di consapevole sostenutezza formale che corrisponde al modo di atteggiarsi e di presentarsi del personaggio Byron. Non sarà difficile per il lettore individuare le parole e le immagini che più marcatamente incidono il profilo interiore del protagonista.
domenica 16 settembre 2018
François- René de Chateaubriand
Chateaubriand - Renato
François-René de Chateaubriand (1768-1848) discende da una antica famiglia aristocratica è la personalità più emblematica dei precursori del romanticismo.
Trascorse l'infanzia solitaria e sognante tra lande e brughiere selvagge di fronte ai flutti dell'Atlantico a Combourg e a Saint-Malò dove era nato, sulla costa bretone; allo scoppio della Rivoluzione si recò in America, dove per sette mesi visitò le regioni poco conosciute sulla traccia dei grandi esploratori sino alle terre dei grandi laghi. Tornato in patria nel'93 combatté a fianco degli emigrati e fu quindi costretto ad andare in esilio a Londra, dove visse miseramente.
Amnistiato, ritornò in patria, e ricoprì importanti cariche politiche sotto Napoleone e, durante la Restaurazione sotto i Borboni, ma sempre con un certo spirito di indipendenza che lo portò a gesti clamorosi di rifiuto e di rottura prima con Napoleone e poi con Luigi Filippo, che rientrano nel gusto un po' troppo esibizionistico dello scrittore sempre pronto a sfruttare ogni occasione per costruire il proprio personaggio non solo per i contemporanei, ma anche per i posteri.
Tutte le sue opere sono profondamente permeate da una sensibilità romantica piuttosto estenuata e morbosamente torbida che si riflette in uno stilo troppo spesso enfatico e ridondante : per questa retorica di fondo tanto il personaggio quanto l'opera in un certo senso anticipano i languori i turbamenti e l'esasperato individualismo della sensibilità decadentistica.
Fu sepolto per suo desiderio su uno scoglio solitario davanti all'Atlantico presso Saint-Malò.
François-René de Chateaubriand (1768-1848) discende da una antica famiglia aristocratica è la personalità più emblematica dei precursori del romanticismo.
Trascorse l'infanzia solitaria e sognante tra lande e brughiere selvagge di fronte ai flutti dell'Atlantico a Combourg e a Saint-Malò dove era nato, sulla costa bretone; allo scoppio della Rivoluzione si recò in America, dove per sette mesi visitò le regioni poco conosciute sulla traccia dei grandi esploratori sino alle terre dei grandi laghi. Tornato in patria nel'93 combatté a fianco degli emigrati e fu quindi costretto ad andare in esilio a Londra, dove visse miseramente.
Amnistiato, ritornò in patria, e ricoprì importanti cariche politiche sotto Napoleone e, durante la Restaurazione sotto i Borboni, ma sempre con un certo spirito di indipendenza che lo portò a gesti clamorosi di rifiuto e di rottura prima con Napoleone e poi con Luigi Filippo, che rientrano nel gusto un po' troppo esibizionistico dello scrittore sempre pronto a sfruttare ogni occasione per costruire il proprio personaggio non solo per i contemporanei, ma anche per i posteri.
Tutte le sue opere sono profondamente permeate da una sensibilità romantica piuttosto estenuata e morbosamente torbida che si riflette in uno stilo troppo spesso enfatico e ridondante : per questa retorica di fondo tanto il personaggio quanto l'opera in un certo senso anticipano i languori i turbamenti e l'esasperato individualismo della sensibilità decadentistica.
Fu sepolto per suo desiderio su uno scoglio solitario davanti all'Atlantico presso Saint-Malò.
venerdì 14 settembre 2018
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (1778-1827) possono essere considerate il primo romanzo italiano moderno. Furono scritte negli ultimi anni del '700 e pubblicate nel 1802 durante l'esilio londinese ebbero la revisione definitiva. Opera sostanzialmente autobiografica redatta in forma epistolare secondo l'uso del tempo, nasconde le passioni e le delusioni di Foscolo sotto la figura del giovane Jacopo Ortis, uno studente che dopo il trattato di Campoformio deve abbandonare Venezia perché sospetto aglio Austriaci per le sue idee liberali e si rifugia su colli Euganei dove conosce Teresa, infelicemente fidanzata per opportunità familiari se ne innamora e ne è ricambiato; però come ha dovuto rinunciare al sogno di libertà per la patria, così deve rinunciare al sogno d'amore, e non potendo vivere in schiavitù e senza Teresa dopo aver peregrinato per città e regioni italiane ove il ricordo del passato e la situazione presente alimentando soprattutto la delusione politica alla notizia delle nozze di Teresa si uccide. le lettere sono indirizzate ad un amico Lorenzo Alderani che dopo la morte di Jacopo le pubblicherà per eternare i ricordo dell'infelice giovane.
Alla mente di Foscolo fu certo presente la tragica vicenda di Werther, ma l'ispirazione delle due opere è profondamente diversa : infatti Werther si uccide solo per disperazione d'amore mentre Jacopo, erede spirituale di Alfieri e fremente dell'ardore di libertà, rinuncia alla vita perché incapace di sopravvivere alla duplice delusione politica e sentimentale. Il motivo politico caratterizza, come vedremo, sin dall'inizio l'opera e ad esso è congiunto il tema della morte : per vivere da liberi e da forti bisogna imparare a poter liberamente e fortemente morire; l'amore di Teresa dapprima dà al giovane la forza di resistere all'obbrobrio della servitù e della viltà degli italiani, ma in seguito , quand'anch'esso con le nozze di Teresa appare definitivamente irrealizzabile, riconferma in Jacopo la convinzione che la vita non ha più senso per che la considera ormai senza valore. Come dice lo stesso Foscolo commentando i proprio romanzo, nell'Ortis il vero contrasto sta tra la disperazione delle passioni e il naturale amore per la vita : i sentimenti, eccitati in lui dalla giovane che desidera e che non potrà mai sposare e dalla patria che ha perduto e che inutilmente anela di vendicare, forniscono nuove armi ala disperazione superando il normale orrore per la morte. Il suicidio è già scontato sin dalla prima lettera e non giunge perciò inatteso : come forma di protesta alfieriana e romantica ha un profondo valore spirituale perché nella evidenza della voluta esasperazione dei sentimenti e dei gesti simboleggia una condizione altamente virile e eroica : la vita è bella e amata dagli uomini a patto però che sia vissuta intensamente e in nome di nobili e generosi ideali, perché in caso contrario non è degna di essere chiamata vita.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (1778-1827) possono essere considerate il primo romanzo italiano moderno. Furono scritte negli ultimi anni del '700 e pubblicate nel 1802 durante l'esilio londinese ebbero la revisione definitiva. Opera sostanzialmente autobiografica redatta in forma epistolare secondo l'uso del tempo, nasconde le passioni e le delusioni di Foscolo sotto la figura del giovane Jacopo Ortis, uno studente che dopo il trattato di Campoformio deve abbandonare Venezia perché sospetto aglio Austriaci per le sue idee liberali e si rifugia su colli Euganei dove conosce Teresa, infelicemente fidanzata per opportunità familiari se ne innamora e ne è ricambiato; però come ha dovuto rinunciare al sogno di libertà per la patria, così deve rinunciare al sogno d'amore, e non potendo vivere in schiavitù e senza Teresa dopo aver peregrinato per città e regioni italiane ove il ricordo del passato e la situazione presente alimentando soprattutto la delusione politica alla notizia delle nozze di Teresa si uccide. le lettere sono indirizzate ad un amico Lorenzo Alderani che dopo la morte di Jacopo le pubblicherà per eternare i ricordo dell'infelice giovane.
Alla mente di Foscolo fu certo presente la tragica vicenda di Werther, ma l'ispirazione delle due opere è profondamente diversa : infatti Werther si uccide solo per disperazione d'amore mentre Jacopo, erede spirituale di Alfieri e fremente dell'ardore di libertà, rinuncia alla vita perché incapace di sopravvivere alla duplice delusione politica e sentimentale. Il motivo politico caratterizza, come vedremo, sin dall'inizio l'opera e ad esso è congiunto il tema della morte : per vivere da liberi e da forti bisogna imparare a poter liberamente e fortemente morire; l'amore di Teresa dapprima dà al giovane la forza di resistere all'obbrobrio della servitù e della viltà degli italiani, ma in seguito , quand'anch'esso con le nozze di Teresa appare definitivamente irrealizzabile, riconferma in Jacopo la convinzione che la vita non ha più senso per che la considera ormai senza valore. Come dice lo stesso Foscolo commentando i proprio romanzo, nell'Ortis il vero contrasto sta tra la disperazione delle passioni e il naturale amore per la vita : i sentimenti, eccitati in lui dalla giovane che desidera e che non potrà mai sposare e dalla patria che ha perduto e che inutilmente anela di vendicare, forniscono nuove armi ala disperazione superando il normale orrore per la morte. Il suicidio è già scontato sin dalla prima lettera e non giunge perciò inatteso : come forma di protesta alfieriana e romantica ha un profondo valore spirituale perché nella evidenza della voluta esasperazione dei sentimenti e dei gesti simboleggia una condizione altamente virile e eroica : la vita è bella e amata dagli uomini a patto però che sia vissuta intensamente e in nome di nobili e generosi ideali, perché in caso contrario non è degna di essere chiamata vita.
giovedì 13 settembre 2018
I dolori del giovane Werther
I dolori del giovane Werther
I dolori del giovane Werther riflettono un'esperienza autobiografica di Goethe a ventitré anni: nato a Francoforte sul Meno ne 1749 nel 1772 passò a Wetzlar con l'intenzione, per la verità scarsamente realizzata, di fare pratica presso il tribunale supremo dell'Impero, qui si innamorò della fidanzata di un amico Charlotte Buff alla quale rinunciò con dolore e fatica, trasferendo due anni dopo la storia della propria appassionata e tormentata esperienza nel romanzo che divenne subito famoso. Il romanzo è un romanzo epistolare. La vicenda piuttosto semplice e lineare: Werther ritirandosi a vivere in campagna, conosce Carlotta, se ne innamora e in seguito viene a sapere che ella è promessa all'onesto, ma arido amico, Alberto di cui diventerà amico; mentre nel suo cuore cresce la passione anche perché si accorge che il sentimento è ricambiato, Carlotta e Alberto si sposano; vinto dall'impossibilità di realizzare il sogno d'amore e tormentato per il contrasto tra la propria passione e il dovere di non turbare la felicità di Alberto e Carlotta, Werther si uccide.
Werther, secondo le parole dello stesso Goethe, è un giovane dotato di sentimento profondo e puro e di vera penetrazione, facile a smarrirsi in sogni fantastici e incapace di resistere all'infelice passione che lo travolge: è sostanzialmente un debole che non riesce a trovare la forza di affrontare virilmente la realtà, e solo nella natura prova conforto e commiserazione ai tormenti del cuore. Erede dello spirito russoviano, sente disgusto per la società e per le sue convenzioni, ma non sa ribellarsi con la decisione e l'empito dei veri rivoluzionari. Il suo stato d'animo di fondo tra gli estremi del luminoso entusiasmo e del cupo abbattimento, un male dello spirito di quelle generazioni che sarà tipico del romanticismo. La descrizione di questo tipo di personalità e al drammatica conclusione del suicidio ( che è da considerarsi una forma di ripiegamento e di rinuncia di fronte alle contraddizioni e dal dramma dell'esistenza) faranno di Werther un simbolo e in lui si riconosceranno generazioni di giovani.
I dolori del giovane Werther riflettono un'esperienza autobiografica di Goethe a ventitré anni: nato a Francoforte sul Meno ne 1749 nel 1772 passò a Wetzlar con l'intenzione, per la verità scarsamente realizzata, di fare pratica presso il tribunale supremo dell'Impero, qui si innamorò della fidanzata di un amico Charlotte Buff alla quale rinunciò con dolore e fatica, trasferendo due anni dopo la storia della propria appassionata e tormentata esperienza nel romanzo che divenne subito famoso. Il romanzo è un romanzo epistolare. La vicenda piuttosto semplice e lineare: Werther ritirandosi a vivere in campagna, conosce Carlotta, se ne innamora e in seguito viene a sapere che ella è promessa all'onesto, ma arido amico, Alberto di cui diventerà amico; mentre nel suo cuore cresce la passione anche perché si accorge che il sentimento è ricambiato, Carlotta e Alberto si sposano; vinto dall'impossibilità di realizzare il sogno d'amore e tormentato per il contrasto tra la propria passione e il dovere di non turbare la felicità di Alberto e Carlotta, Werther si uccide.
Werther, secondo le parole dello stesso Goethe, è un giovane dotato di sentimento profondo e puro e di vera penetrazione, facile a smarrirsi in sogni fantastici e incapace di resistere all'infelice passione che lo travolge: è sostanzialmente un debole che non riesce a trovare la forza di affrontare virilmente la realtà, e solo nella natura prova conforto e commiserazione ai tormenti del cuore. Erede dello spirito russoviano, sente disgusto per la società e per le sue convenzioni, ma non sa ribellarsi con la decisione e l'empito dei veri rivoluzionari. Il suo stato d'animo di fondo tra gli estremi del luminoso entusiasmo e del cupo abbattimento, un male dello spirito di quelle generazioni che sarà tipico del romanticismo. La descrizione di questo tipo di personalità e al drammatica conclusione del suicidio ( che è da considerarsi una forma di ripiegamento e di rinuncia di fronte alle contraddizioni e dal dramma dell'esistenza) faranno di Werther un simbolo e in lui si riconosceranno generazioni di giovani.
mercoledì 12 settembre 2018
l'eroe romantico
l'eroe romantico
Il romanticismo, prima ancora di diventare un movimento culturale e letterario, fu uno stato d'animo un sentimento, un modo di atteggiarsi di fronte alla vita e alla società.
Le caratteristiche dell'eroe romantico non presentano grandi variazioni da opera a opera, anche se ciascuno di essi ha una sua nota e un suo motivo particolare : quello che soprattutto li distingue l'uno dall'altro è la peculiarità del linguaggio con cui ciascuno scrittore costruisce il suo personaggio, lo stile con cui gli dà vita e ne determina il profilo e l'atmosfera che lo circonda.
L'eroe romantico è interiormente tormentato da un dramma che spesso non ha nome e che non può trovare soluzione se non nella morte : il tormento interiore lo spinge fuori dalla società nel seno accogliente della natura, ma la solitudine genera malinconia, noia, vuoto. Dall'avversità del destino, dall'incomprensione degli altri e dall'innata irrequieta scontentezza derivano spesso uno spirito torvo di ribellione uno stato di acuta sofferenza, un angoscia sorda e mortale, ma il tormento non di rado è accompagnato da una sorta di dolce voluttà del dolore, da un compiacimento morboso per la propria condizione di vittima. Il paesaggio in cui l'eroe romantico lamenta tra le lacrime la sua sorte infelice è selvaggio cupo e tempestoso : una perfetta rispondenza di toni ne fa l'uno lo specchio dell'altro.
Il primo eroe romantico è Werther (1774) nel quale Goethe trascrive trepidamente la tragica vicenda d'amore dal momento idillico della nascente passione al momento drammatico del distacco. Werther, a cui ispirarono consciamente o inconsciamente tutte le opere successive fu un vero e proprio modello non solo di letteratura ma anche di vita.
In Jacopo Ortis (1802) di Foscolo al dramma dell'amore impossibile si aggiunge il dramma più virile eroico della passione politica delusa e mortificata dall'altrui tradimento e dall'ignavia degli italiani.
Renato (1802) di Chateaubriand, sentendosi estraneo al proprio paese e alla civiltà in cui è nato, porta la sua sofferenza e la sua irrequietudine nell'inconsueta atmosfera di lussureggianti paesaggi esotici che meglio rispondono al bisogno di uno spirito sradicato dal mondo.
Più torbido e mosso, Aroldo (1812) di Byron sfoga il disprezzo per gli uomini e la ribellione alla società con la fuga e l'evasione in paesi stranieri; ma il lungo errare non placa la solitudine che gli pesa nell'animo e il tormento che lo travaglia.
A questi eroi, che in parte precedono l'elaborazione delle teorie romantiche e la costituzione di vere e proprie scuole e correnti poetiche nei vari paesi europei, se ne aggiungeranno altri come Adolfo (1816) di Benjamin Constant, Adelchi (1822) di Manzoni, Eugenio Oneghin (1823-31) di Aleksàndr Puskin. Da questi personaggi deriveranno altre figure che però ci sembrano ormai estranee all'area romantica, anche se ne conservano tratti caratteristici.
Ancora un'osservazione : accanto all'eroe romantico e alla sua languida malattia dell'anima negli stessi anni un'altra figura accese al fantasia e il sentimento : Napoleone, un eroe in più di una generazione di giovani.
Il romanticismo, prima ancora di diventare un movimento culturale e letterario, fu uno stato d'animo un sentimento, un modo di atteggiarsi di fronte alla vita e alla società.
Le caratteristiche dell'eroe romantico non presentano grandi variazioni da opera a opera, anche se ciascuno di essi ha una sua nota e un suo motivo particolare : quello che soprattutto li distingue l'uno dall'altro è la peculiarità del linguaggio con cui ciascuno scrittore costruisce il suo personaggio, lo stile con cui gli dà vita e ne determina il profilo e l'atmosfera che lo circonda.
L'eroe romantico è interiormente tormentato da un dramma che spesso non ha nome e che non può trovare soluzione se non nella morte : il tormento interiore lo spinge fuori dalla società nel seno accogliente della natura, ma la solitudine genera malinconia, noia, vuoto. Dall'avversità del destino, dall'incomprensione degli altri e dall'innata irrequieta scontentezza derivano spesso uno spirito torvo di ribellione uno stato di acuta sofferenza, un angoscia sorda e mortale, ma il tormento non di rado è accompagnato da una sorta di dolce voluttà del dolore, da un compiacimento morboso per la propria condizione di vittima. Il paesaggio in cui l'eroe romantico lamenta tra le lacrime la sua sorte infelice è selvaggio cupo e tempestoso : una perfetta rispondenza di toni ne fa l'uno lo specchio dell'altro.
Il primo eroe romantico è Werther (1774) nel quale Goethe trascrive trepidamente la tragica vicenda d'amore dal momento idillico della nascente passione al momento drammatico del distacco. Werther, a cui ispirarono consciamente o inconsciamente tutte le opere successive fu un vero e proprio modello non solo di letteratura ma anche di vita.
In Jacopo Ortis (1802) di Foscolo al dramma dell'amore impossibile si aggiunge il dramma più virile eroico della passione politica delusa e mortificata dall'altrui tradimento e dall'ignavia degli italiani.
Renato (1802) di Chateaubriand, sentendosi estraneo al proprio paese e alla civiltà in cui è nato, porta la sua sofferenza e la sua irrequietudine nell'inconsueta atmosfera di lussureggianti paesaggi esotici che meglio rispondono al bisogno di uno spirito sradicato dal mondo.
Più torbido e mosso, Aroldo (1812) di Byron sfoga il disprezzo per gli uomini e la ribellione alla società con la fuga e l'evasione in paesi stranieri; ma il lungo errare non placa la solitudine che gli pesa nell'animo e il tormento che lo travaglia.
A questi eroi, che in parte precedono l'elaborazione delle teorie romantiche e la costituzione di vere e proprie scuole e correnti poetiche nei vari paesi europei, se ne aggiungeranno altri come Adolfo (1816) di Benjamin Constant, Adelchi (1822) di Manzoni, Eugenio Oneghin (1823-31) di Aleksàndr Puskin. Da questi personaggi deriveranno altre figure che però ci sembrano ormai estranee all'area romantica, anche se ne conservano tratti caratteristici.
Ancora un'osservazione : accanto all'eroe romantico e alla sua languida malattia dell'anima negli stessi anni un'altra figura accese al fantasia e il sentimento : Napoleone, un eroe in più di una generazione di giovani.
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (1749-1803) è la personalità più "europea" del settecento italiano. Nato ad Asti da una famiglia nobile, dopo una lunga serie di viaggi attraverso Italia, Francia, Inghilterra, Olanda, Prussia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Russia, Spagna e Portogallo, consumati parte da avventure e dissipatezze, parte in contatti umani e culturali e in osservazioni e meditazioni che lasciarono il segno nello spirito inquieto, abbandonò il Piemonte troppo angusto e retrivo per la sua personalità singolarmente vivace e irruente, e si trasferì in Toscana dedicandosi totalmente allo studio e alla letteratura. Scoperta una nativa vocazione per il teatro, compose diciannove tragedie (tra le più note ricordiamo il Saul e La Mirra), che pubblicò a Parigi, dove allora si trovava, nel 1789, l'anno della Rivoluzione. A causa degli eccessi rivoluzionari ne fuggì non senza rischi e difficoltà e ritornò a Firenze, dove più tardi morì e dove fu sepolto nella chiesa di Santa Croce.
Pur vivendo nella seconda metà del Settecento, Alfieri ha una sensibilità già apertamente romantica. Dagli illuministi derivò l'amore per la libertà e l'odio per ogni forma di tirannide, la coscienza della missione civile della letteratura, la polemica contro ogni sopruso e ogni limitazione; ma dell'illuminismo gli mancò soprattutto la fede illimitata nella ragione. Il suo spirito, animato e tormentato da un senso altamente tragico dell'esistenza, fu caratterizzato da intensa e calda passionalità, prorompente e orgogliosa individualità viva commozione di fronte agli spettacoli o grandiosi o orridi della natura, cupo pessimismo amor patrio e coscienza nazionale.
L'ardore di libertà e l'odio per la tirannide fremono in tutte le sue opere, particolarmente nelle tragedie, classiche per la forma ma già romantiche per l'ispirazione, dove questi sentimenti si evidenziano nei personaggi contrapposti della vittima e del tiranno in un clima drammatico teso e concitato : ma ciascuno dei personaggi è intimamente tormentato da un conflitto interiore che ne lacera l'animo e lo chiude in una cupa solitudine. In una produzione alfieriana vive in effetti sempre lo stesso personaggio tragico, che avverte drammaticamente tutte le limitazioni che gli eventi, le situazioni o la società pongono al suo spirito : l'ansia di essere se stesso e il bisogno di libertà fanno sì che egli si ritragga fremente entro se stesso, in una solitudine cupa e scontrosa.
Questo eterno personaggio è anche presente nelle pagine autobiografiche della Vita una autobiografia più del mondo interiore che delle vicende esteriori, da dove abbiamo tratto un breve squarcio significativo, che ci descrive nello stesso tempo un paesaggio inconsueto e grandioso e i sentimenti che esso suscita. Nella distesa ghiacciata del Baltico Alfieri trova una forza ostile che, opponendoglisi con tutta la sua maestosa e solenne imponenza, ne suscita l'ardore pugnace e un titanico empito di lotta. Tra gli uomini e la natura si scatena una sorda e affascinante battaglia in essa lo scrittore ritrova l'energia che anima gli uomini liberi contro i tiranni, e fremente vi si immerge. Anche contro i ghiacci l'unico rimedio sarà un'arma, l'eterna vendicatrice e punitrice di soprusi e violenze, un'ascia che egli brandisce come i suoi personaggi brandiscono un pugnale contro il tiranno.
La prosa alfieriana rivela l'educazione classica e la tormentosa ricerca di uno stile personale ed è caratterizzata da un ritmo rapido senza soste né interruzioni pienamente rispondente alla tensione interiore dello scrittore.
Vittorio Alfieri (1749-1803) è la personalità più "europea" del settecento italiano. Nato ad Asti da una famiglia nobile, dopo una lunga serie di viaggi attraverso Italia, Francia, Inghilterra, Olanda, Prussia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Russia, Spagna e Portogallo, consumati parte da avventure e dissipatezze, parte in contatti umani e culturali e in osservazioni e meditazioni che lasciarono il segno nello spirito inquieto, abbandonò il Piemonte troppo angusto e retrivo per la sua personalità singolarmente vivace e irruente, e si trasferì in Toscana dedicandosi totalmente allo studio e alla letteratura. Scoperta una nativa vocazione per il teatro, compose diciannove tragedie (tra le più note ricordiamo il Saul e La Mirra), che pubblicò a Parigi, dove allora si trovava, nel 1789, l'anno della Rivoluzione. A causa degli eccessi rivoluzionari ne fuggì non senza rischi e difficoltà e ritornò a Firenze, dove più tardi morì e dove fu sepolto nella chiesa di Santa Croce.
Pur vivendo nella seconda metà del Settecento, Alfieri ha una sensibilità già apertamente romantica. Dagli illuministi derivò l'amore per la libertà e l'odio per ogni forma di tirannide, la coscienza della missione civile della letteratura, la polemica contro ogni sopruso e ogni limitazione; ma dell'illuminismo gli mancò soprattutto la fede illimitata nella ragione. Il suo spirito, animato e tormentato da un senso altamente tragico dell'esistenza, fu caratterizzato da intensa e calda passionalità, prorompente e orgogliosa individualità viva commozione di fronte agli spettacoli o grandiosi o orridi della natura, cupo pessimismo amor patrio e coscienza nazionale.
L'ardore di libertà e l'odio per la tirannide fremono in tutte le sue opere, particolarmente nelle tragedie, classiche per la forma ma già romantiche per l'ispirazione, dove questi sentimenti si evidenziano nei personaggi contrapposti della vittima e del tiranno in un clima drammatico teso e concitato : ma ciascuno dei personaggi è intimamente tormentato da un conflitto interiore che ne lacera l'animo e lo chiude in una cupa solitudine. In una produzione alfieriana vive in effetti sempre lo stesso personaggio tragico, che avverte drammaticamente tutte le limitazioni che gli eventi, le situazioni o la società pongono al suo spirito : l'ansia di essere se stesso e il bisogno di libertà fanno sì che egli si ritragga fremente entro se stesso, in una solitudine cupa e scontrosa.
Questo eterno personaggio è anche presente nelle pagine autobiografiche della Vita una autobiografia più del mondo interiore che delle vicende esteriori, da dove abbiamo tratto un breve squarcio significativo, che ci descrive nello stesso tempo un paesaggio inconsueto e grandioso e i sentimenti che esso suscita. Nella distesa ghiacciata del Baltico Alfieri trova una forza ostile che, opponendoglisi con tutta la sua maestosa e solenne imponenza, ne suscita l'ardore pugnace e un titanico empito di lotta. Tra gli uomini e la natura si scatena una sorda e affascinante battaglia in essa lo scrittore ritrova l'energia che anima gli uomini liberi contro i tiranni, e fremente vi si immerge. Anche contro i ghiacci l'unico rimedio sarà un'arma, l'eterna vendicatrice e punitrice di soprusi e violenze, un'ascia che egli brandisce come i suoi personaggi brandiscono un pugnale contro il tiranno.
La prosa alfieriana rivela l'educazione classica e la tormentosa ricerca di uno stile personale ed è caratterizzata da un ritmo rapido senza soste né interruzioni pienamente rispondente alla tensione interiore dello scrittore.
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