letteratura - il verso
Il verso è una successione di sillabe di solito determinata e fissa, regolata da alcune fondamentali norme di continuità e di accento.
La distinzione dei versi avviene secondo il numero delle sillabe metriche che lo compongono, calcolate secondo criteri di lettura.
Accanto al numero di sillabe, l'altro elemento caratteristico è la disposizione degli accenti ritmici soprattutto di quello dell'ultima parola: in corrispondenza a parole terminali piane sdrucciole o tronche, avremo versi piani sdruccioli o tronchi. Per esempio l'endecasillabo il verso fondamentale della nostra metrica, non è ovviamente un insieme di undici sillabe normali, ma una successione di sillabe lette metricamente con l'ultimo accento ritmico sulla decima :
endecasillabo piano : sempre caro mi fu quest'ermo colle
endecasillabo sdrucciolo : a egregie cose il forte animo accendono
endecasillabo tronco : sul verde cupo roseo brillò.
Data la prevalenza di parole piane nella nostra lingua possiamo considerare i versi piani la norma e gli altri due le eccezione, spesso ricercata per particolari effetti di timbro e di cadenza.
Si può inoltre tenere presente una ulteriore differenza tra versi parisillabi e imparisillabi. I primi senari ottonari decasillabi hanno uniformità di ritmo data la collocazione costante degli accenti che può essere ricercata per particolari effetti ripetitivi.
Molto più vari ed usati i versi imparisillabi soprattutto il settenario e l'endecasillabo.
Il settenario è il verso che ha un accento ritmico fisso sulla 6° sillaba ed un altro variabile tra le prime quattro : ma la sua varietà è data soprattutto dalla facilità con cui può essere usato sia nella sua forma piana sia quella sdrucciola o tronca :
"l'ansia di un cor che indòcile (sdrucciola)
serve pensando al règno (piana)
e il giunge, e tiene un prèmio
c'era follia speràr (tronca)
L'endecasillabo è come si è detto il verso principe della nostra letteratura : ciò che lo distingue è anzitutto la presenza dell'ultimo accento ritmico sulla decima sillaba ; ma la varietà di ritmo rispetto a tutto glia altri versi è data dalla diversa collocazione degli accenti ritmici interni e delle pause.
Riguardo all'accento tre sono gli schemi più usuali in cui si presenta :
1) accenti sulla 2° 6° e 10°
Nel mezzo del cammìn di nostra vita
2) accenti sulla 4° 7° e 10°
Zefiro torna e il bel témpo riména
3) accenti sulla 4° 8° e 10°
Fuggendo a piedi e insanguinando il piàno
Riguardo alla pausa interna (cesura ) essa può cadere :
1) dopo le prime sette sillabe (endecasillabo a maiore)
"che speranze, che cori// o Silvia mia";
2) Dopo le prime cinque sillabe (endecasillabo a minore)
"negli occhi tuoi // ridenti e fuggitivi "
La cesura può essere elemento importante per isolare una parola e porla in evidenza al centro della frase poetica.
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mercoledì 5 settembre 2018
martedì 4 settembre 2018
letteratura - la prosa
letteratura - la prosa
L'espressione in prosa può apparentemente apparire libera dal rispetto di esigenze esterne che non siano quelle lineare della grammatica e della sintassi; in realtà anche attraverso il linguaggio in prosa lo scrittore ricerca una serie di effetti che caratterizzano il suo discorso in modo personale e creativo e diventano spie della sua ispirazione e della natura del messaggio che intende comunicare.
Il più importante di questi effetti è il particolare ritmo che la pagina può venire assumendo attraverso la scelta dell'una o dell'altra delle strutture sintattiche fondamentali.
Una prima osservazione ci porta a distinguere all'interno della organizzazione generale del periodo il rapporto tra le singole frasi.
Si definisce ipotassi la costruzione di un periodo in cui l'elemento reggente è costituito da una proposizione principale intorno a cui le altre proposizioni si raccolgono in un rapporto di subordinazione. La costruzione subordinata ( o ipotattica) permette di creare effetti di sospensione e di amplificazione dell'azione principale come in questa descrizione del Boccaccio :
" Ma Guccio Imbratta, il quale era più vago di stare in cucina che sopra i verdi rami l'usignolo, e massimamente se fante vi sentiva niuna, avendone in quella dell'oste veduta grassa e grossa e piccola e mal fatta ..., non altrimenti che si gitta l'avvoltoio alla carogna, lasciata la camera del frate Cipolla aperta e tutte le sue cose in abbandono, là si calò".
In genere i periodi costruiti secondo il criterio della subordinazione si reggono su ritmi complessi ed articolati nei quali è fondamentale il gioco delle simmetrie tra le singole frasi : periodi così strutturati risentono solitamente dell'influenza dei modi della stilistica classica, e particolarmente latina, passati nel nostro uso letterario attraverso Boccaccio e del Rinascimento. La prevalenza dell'ipotassi nel linguaggio di uno scrittore può essere indice di scelta espressiva classica e tradizionale, di un bisogno di ordine e di armonia.
Se invece prevale una costruzione caratterizzata da una successione di frasi coordinate avremo la paratassi : una struttura solitamente meno ritmata adatta ad un'espressione più immediata e incisiva.
la scelta dell'uno o dell'altro modello evidentemente è legata alle particolari esigenze espressive in rapporto alle situazioni e ai contenuti : si è notato ad es. che nei promessi sposi prevale la costruzione paratattica quando parlano gli umili, mentre nelle più ampie e dignitose forme dell'ipotassi si esprimono i personaggi rilevanti di censo e cultura.
La paratassi può portare attraverso un effetto di successione e di enumerazione, a mettere in rilievo singolarmente azioni o addirittura oggetti nella loro peculiarità individuale : può esserne un esempio questa frase tratta da un racconto di Pavese :
" qualcuno parlò dall'altra parte della piazza, balenò un lume alla finestra; tacemmo allora. Tacendo noi, si spensero anche le voci delle rade finestre; scomparve quel lume; durarono soltanto, intermittenti i latrati. Fu allora che sentimmo cigolare circospetta l'imposta lassù (da La spiaggia).
In questo caso inoltre la coordinazione delle varie frasi avviene per accostamento omettendo le congiunzioni è un tipico caso di asindeto.
Quando invece i termini del periodo appaiono collegati in una serie attraverso il ripetersi della particella coordinativa avremo i polisindeto come in questa frase manzoniana :
"all'aprirsi degli usci, si vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene: si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta , e sulla miseria d'annata e più delle parole si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno ".
Normalmente i successioni del genere l'attenzione è concentrata sul verbo come elemento fondamentale per delineare la serie di azioni; senza alcuna struttura verbale che li sostenga, si ha il cosiddetto stile nominale che si rappresenta con caratteristiche di irregolarità e spezzatura del ritmo, come in questo modello derivato da Verga;
"Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava di fronte al casino dei galantuomini, davanti al Municipio sugli scalini della chiesa; un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano."
In tutti gli esempi citati vediamo come il ritmo della prosa possa esser estremamente vario, dalle forme più ampie e distese a quelle più nervose e spezzate; in ogni caso, però, anche la frase enunciata in prosa è costruita secondo precise esigenze di corrispondenze e che contribuiscono in misura determinante a sottolineare il valore dell'enunciato.
L'espressione in prosa può apparentemente apparire libera dal rispetto di esigenze esterne che non siano quelle lineare della grammatica e della sintassi; in realtà anche attraverso il linguaggio in prosa lo scrittore ricerca una serie di effetti che caratterizzano il suo discorso in modo personale e creativo e diventano spie della sua ispirazione e della natura del messaggio che intende comunicare.
Il più importante di questi effetti è il particolare ritmo che la pagina può venire assumendo attraverso la scelta dell'una o dell'altra delle strutture sintattiche fondamentali.
Una prima osservazione ci porta a distinguere all'interno della organizzazione generale del periodo il rapporto tra le singole frasi.
Si definisce ipotassi la costruzione di un periodo in cui l'elemento reggente è costituito da una proposizione principale intorno a cui le altre proposizioni si raccolgono in un rapporto di subordinazione. La costruzione subordinata ( o ipotattica) permette di creare effetti di sospensione e di amplificazione dell'azione principale come in questa descrizione del Boccaccio :
" Ma Guccio Imbratta, il quale era più vago di stare in cucina che sopra i verdi rami l'usignolo, e massimamente se fante vi sentiva niuna, avendone in quella dell'oste veduta grassa e grossa e piccola e mal fatta ..., non altrimenti che si gitta l'avvoltoio alla carogna, lasciata la camera del frate Cipolla aperta e tutte le sue cose in abbandono, là si calò".
In genere i periodi costruiti secondo il criterio della subordinazione si reggono su ritmi complessi ed articolati nei quali è fondamentale il gioco delle simmetrie tra le singole frasi : periodi così strutturati risentono solitamente dell'influenza dei modi della stilistica classica, e particolarmente latina, passati nel nostro uso letterario attraverso Boccaccio e del Rinascimento. La prevalenza dell'ipotassi nel linguaggio di uno scrittore può essere indice di scelta espressiva classica e tradizionale, di un bisogno di ordine e di armonia.
Se invece prevale una costruzione caratterizzata da una successione di frasi coordinate avremo la paratassi : una struttura solitamente meno ritmata adatta ad un'espressione più immediata e incisiva.
la scelta dell'uno o dell'altro modello evidentemente è legata alle particolari esigenze espressive in rapporto alle situazioni e ai contenuti : si è notato ad es. che nei promessi sposi prevale la costruzione paratattica quando parlano gli umili, mentre nelle più ampie e dignitose forme dell'ipotassi si esprimono i personaggi rilevanti di censo e cultura.
La paratassi può portare attraverso un effetto di successione e di enumerazione, a mettere in rilievo singolarmente azioni o addirittura oggetti nella loro peculiarità individuale : può esserne un esempio questa frase tratta da un racconto di Pavese :
" qualcuno parlò dall'altra parte della piazza, balenò un lume alla finestra; tacemmo allora. Tacendo noi, si spensero anche le voci delle rade finestre; scomparve quel lume; durarono soltanto, intermittenti i latrati. Fu allora che sentimmo cigolare circospetta l'imposta lassù (da La spiaggia).
In questo caso inoltre la coordinazione delle varie frasi avviene per accostamento omettendo le congiunzioni è un tipico caso di asindeto.
Quando invece i termini del periodo appaiono collegati in una serie attraverso il ripetersi della particella coordinativa avremo i polisindeto come in questa frase manzoniana :
"all'aprirsi degli usci, si vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene: si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta , e sulla miseria d'annata e più delle parole si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno ".
Normalmente i successioni del genere l'attenzione è concentrata sul verbo come elemento fondamentale per delineare la serie di azioni; senza alcuna struttura verbale che li sostenga, si ha il cosiddetto stile nominale che si rappresenta con caratteristiche di irregolarità e spezzatura del ritmo, come in questo modello derivato da Verga;
"Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava di fronte al casino dei galantuomini, davanti al Municipio sugli scalini della chiesa; un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano."
In tutti gli esempi citati vediamo come il ritmo della prosa possa esser estremamente vario, dalle forme più ampie e distese a quelle più nervose e spezzate; in ogni caso, però, anche la frase enunciata in prosa è costruita secondo precise esigenze di corrispondenze e che contribuiscono in misura determinante a sottolineare il valore dell'enunciato.
lunedì 3 settembre 2018
figure retoriche - di ordine
figure retoriche - di ordine
Accanto alle figure di parola, l'espressione figurata, cioè che volutamente si contrappone per ambiguità e varietà di significazioni alla definizione pura e precisa si avvale ( con maggior frequenza nel linguaggio in versi) delle figure d'ordine : disposizioni delle parole nella proposizione che volutamente e per particolari ricerche di effetti si distaccano dalla collocazione più diretta e semplice del costrutto comune.
La prima e la più usata di tali figure è l'iperbato : un'inversione di costrutto che colloca un complemento o una proposizione prima del termine reggente :
e della vita il doloroso amore (Saba).
L'iperbato serve a collocare in posizione di rilievo, quindi a sottolineare con la cadenza della lettura il termine concettualmente più significativo della frase; in certi casi, creando una pausa nell'enunciazione , può contribuire all'effetto ironico ( come spesso avviene nel Parini : " la pudica d'altrui sposa a te cara ").
Un simile effetto anche se più difficile o raro è dato dall'anacoluto : una voluta alterazione dell'ordine sintattico ( di solito consiste nel cominciare un periodo con un costrutto per rovesciarlo nella parte finale) volta in alcuni casi a creare un'alterazione del ritmo che rafforza l'efficacia del concetto come nel celebre passo del Macchiavelli :
"entro nelle antique corti delli antiqui uomini; dove, da lor ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solo è mio e ch'io nacqui per lui".
Un effetto più sottile ed armonico è dato dal chiasmo, la disposizione incrociata a X dei membri corrispondenti di una frase o periodo . Esso di solito consiste nell'incrociare la disposizione di due coppie successive di attributi e sostantivi :
" io gli studi leggiadri - talor lasciando le sudate carte "(Leopardi)
oppure di due coppie composte di verbo + sostantivo :
"Odi greggi belar, muggire armenti " (Leopardi)
ma si verifica pure in vari costrutti ed anche con riferimento a rapporti concettuali :
"Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori " (Ariosto )
dove invece il termine donne richiama gli amori ed i cavalieri l'arme.
Vi è poi tutta una serie di situazioni legate alle ripetizioni, cioè alla ripresa in successione di parole e locuzioni per suscitare un'accentuazione del tono. Spesso ciò accade in versi successivi di una strofa :
"per ne su va nella città dolente
per me si va nell'eterno dolore
per me si va tra la perduta gente"( Dante)
Spesso la ripetizione si rappresenta come raddoppiamento della stessa parola con un significato di intensificazione espressiva :
O speranze speranze, ameni inganni ( Leopardi )
Spegniti spegniti, breve candela ( Shakespeare)
Sottolineata dalla variazione all'interno dei versi la ripetizione può assumere una particolare vivacità declamatoria come in questi versi di P. Neruda sulla guerra civile in Spagna :
Venite a vedere il sangue per le strade
venite a vedere
il sangue per le strade
venite a vedere il sangue
per le strade.
Una successione iniziale può essere costituita da termini di radice e di significato opposti. Si ha allora l'antitesi con parole in bisticcio tra loro, (Amore amaro) oppure con ricercata contrapposizione di situazioni :
...... la gloria
maggior dopo il periglio
la fuga e la vittoria
la reggia e il triste esilio ( Manzoni).
In genere poi la successione di parole può esser usata per esprimere diversi aspetti di un'idea secondo un ordine di intensità progressiva che si definisce gradazione o ( climax) .
Effetto simile propone spesso l'endiadi, espressione di un unico concetto ripetuto in due termini di cui il secondo sottolinea ed accresce con valore attributivo l'idea espressa dal primo (l'odio e il furore per "l'odio furibondo") .
In genere, in tutti questi usi , la parola tende ad accrescere il normale significato di comunicazione attraverso particolari richiami fonici, accentua cioè al forza e al suggestione del suo messaggio con i rapporti che istituisce nel contesto della frase e gli echi che suggerisce.
La frequenza delle "figure d'ordine" sarà quindi indice di una scelta linguistica complessa ed evocativa così come il ricorso a strutture di frase normali indicherà una certa linearità ed immediatezza del messaggio; non solo, ma all'interno della scelta delle figure, il prevalere di uno o di un altro tipo caratterizzerà la qualità di un'ispirazione e di un'espressione ed addirittura sarà caratteristico dell'una e dell'altra corrente letteraria.
Alcuni studiosi di linguistica ad esempio distinguono addirittura nei vari tipi di espressione letterario una direttrice metaforica ed una direttrice metonimica, cioè l'uso di figure e d espressioni legate da rapporti di somiglianza o di continuità.
Nel primo caso il ricorso all'accostamento di immagini ed alle associazioni analogiche contribuirà a creare un tono allusivo e indeterminato come avviene spesso da parte di scrittori romantici, simbolisti, surrealisti; nel secondo caso la precisione dei rapporti interni sottolineata dalle figure legate alla metonimia accentuerà i valori descritto propri di uno stile realistico.
Accanto alle figure di parola, l'espressione figurata, cioè che volutamente si contrappone per ambiguità e varietà di significazioni alla definizione pura e precisa si avvale ( con maggior frequenza nel linguaggio in versi) delle figure d'ordine : disposizioni delle parole nella proposizione che volutamente e per particolari ricerche di effetti si distaccano dalla collocazione più diretta e semplice del costrutto comune.
La prima e la più usata di tali figure è l'iperbato : un'inversione di costrutto che colloca un complemento o una proposizione prima del termine reggente :
e della vita il doloroso amore (Saba).
L'iperbato serve a collocare in posizione di rilievo, quindi a sottolineare con la cadenza della lettura il termine concettualmente più significativo della frase; in certi casi, creando una pausa nell'enunciazione , può contribuire all'effetto ironico ( come spesso avviene nel Parini : " la pudica d'altrui sposa a te cara ").
Un simile effetto anche se più difficile o raro è dato dall'anacoluto : una voluta alterazione dell'ordine sintattico ( di solito consiste nel cominciare un periodo con un costrutto per rovesciarlo nella parte finale) volta in alcuni casi a creare un'alterazione del ritmo che rafforza l'efficacia del concetto come nel celebre passo del Macchiavelli :
"entro nelle antique corti delli antiqui uomini; dove, da lor ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solo è mio e ch'io nacqui per lui".
Un effetto più sottile ed armonico è dato dal chiasmo, la disposizione incrociata a X dei membri corrispondenti di una frase o periodo . Esso di solito consiste nell'incrociare la disposizione di due coppie successive di attributi e sostantivi :
" io gli studi leggiadri - talor lasciando le sudate carte "(Leopardi)
oppure di due coppie composte di verbo + sostantivo :
"Odi greggi belar, muggire armenti " (Leopardi)
ma si verifica pure in vari costrutti ed anche con riferimento a rapporti concettuali :
"Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori " (Ariosto )
dove invece il termine donne richiama gli amori ed i cavalieri l'arme.
Vi è poi tutta una serie di situazioni legate alle ripetizioni, cioè alla ripresa in successione di parole e locuzioni per suscitare un'accentuazione del tono. Spesso ciò accade in versi successivi di una strofa :
"per ne su va nella città dolente
per me si va nell'eterno dolore
per me si va tra la perduta gente"( Dante)
Spesso la ripetizione si rappresenta come raddoppiamento della stessa parola con un significato di intensificazione espressiva :
O speranze speranze, ameni inganni ( Leopardi )
Spegniti spegniti, breve candela ( Shakespeare)
Sottolineata dalla variazione all'interno dei versi la ripetizione può assumere una particolare vivacità declamatoria come in questi versi di P. Neruda sulla guerra civile in Spagna :
Venite a vedere il sangue per le strade
venite a vedere
il sangue per le strade
venite a vedere il sangue
per le strade.
Una successione iniziale può essere costituita da termini di radice e di significato opposti. Si ha allora l'antitesi con parole in bisticcio tra loro, (Amore amaro) oppure con ricercata contrapposizione di situazioni :
...... la gloria
maggior dopo il periglio
la fuga e la vittoria
la reggia e il triste esilio ( Manzoni).
In genere poi la successione di parole può esser usata per esprimere diversi aspetti di un'idea secondo un ordine di intensità progressiva che si definisce gradazione o ( climax) .
Effetto simile propone spesso l'endiadi, espressione di un unico concetto ripetuto in due termini di cui il secondo sottolinea ed accresce con valore attributivo l'idea espressa dal primo (l'odio e il furore per "l'odio furibondo") .
In genere, in tutti questi usi , la parola tende ad accrescere il normale significato di comunicazione attraverso particolari richiami fonici, accentua cioè al forza e al suggestione del suo messaggio con i rapporti che istituisce nel contesto della frase e gli echi che suggerisce.
La frequenza delle "figure d'ordine" sarà quindi indice di una scelta linguistica complessa ed evocativa così come il ricorso a strutture di frase normali indicherà una certa linearità ed immediatezza del messaggio; non solo, ma all'interno della scelta delle figure, il prevalere di uno o di un altro tipo caratterizzerà la qualità di un'ispirazione e di un'espressione ed addirittura sarà caratteristico dell'una e dell'altra corrente letteraria.
Alcuni studiosi di linguistica ad esempio distinguono addirittura nei vari tipi di espressione letterario una direttrice metaforica ed una direttrice metonimica, cioè l'uso di figure e d espressioni legate da rapporti di somiglianza o di continuità.
Nel primo caso il ricorso all'accostamento di immagini ed alle associazioni analogiche contribuirà a creare un tono allusivo e indeterminato come avviene spesso da parte di scrittori romantici, simbolisti, surrealisti; nel secondo caso la precisione dei rapporti interni sottolineata dalle figure legate alla metonimia accentuerà i valori descritto propri di uno stile realistico.
sabato 1 settembre 2018
figure retoriche - di parole
figure retoriche - di parole
proviamo ad esaminare i versi del Carducci :
Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce sul fango
Al centro del discorso troviamo due termini usati in senso improprio : con l'aggettivo accidiosi il poeta trasferisce su un oggetto, i lampioni dell'illuminazione, uno stato d'animo personale; per la loro luce non usa un termine comune (ad es., proiettando ) ma un'audace analogia (sbadigliando ) che connota l'espressione di vari significati legati alla tristezza del giorno e della situazione.
Sono due esempi dell'uso della metafora: la più immediata e naturale delle figure letterarie.
La metafora si basa su un rapporto di somiglianza o di analogia tra due termini, rapporto che si istituisce spesso anche nel linguaggio comune tra due termini la cui vicinanza è evidente ( una nebbia che si taglia con i coltello) e serve in questi casi ad una pura funzione esplicativa.
Caratteristica della metafora letteraria è invece spesso l'accostamento di termini non direttamente collegabili secondo una logica immediata : usata in questo senso, essa può divenire l'elemento essenziale di uno stile sino a caratterizzare il linguaggio di una corrente letteraria come è avvenuto per il barocco e per l'ermetismo.
Una forma complessa di metafora può essere considerata l'analogia che è la vera caratteristica del linguaggio ermetico ed è presente in tante espressioni della poesia moderna a partire dai simbolisti: essa è la sovrapposizione di due immagini accostate senza legame grammaticale e senza un chiaro nesso logico almeno secondo una logica comune ma collegate fra loro nell'intuizione poetica.
Un esempio è nel verso di Montale "forse un mattino andando in un'aria di vetro" che sottintende aria fredda e tersa come il vetro.
Nei notissimi versi di Quasimodo
Ognuno sta solo su cuor della terra
Trafitto da un raggio di sole
Ed è subito sera
il rapporto analogico sintetizza in forma allusiva un discorso più ampio e puramente esplicativo : nel dramma della solitudine individuale il corso della vita ci può portare l'occasione della speranza di felicità, come un raggio di sole che rompe le nuvole: a come con la sera il raggio si spegne così torna a spegnersi la speranza.
Le immagini del sole e della sera nascono per l'analogia istintiva tra sole e vita, sera e morte, e sottintendono un'ambiguità di valori che il discorso logico ampliato finirebbe di perdere in gran parte.
Una metafora resta implicita, amplificata e collegata nei due termini da un rapporto diretto - di solito il termine come - è la similitudine:
Essa è forse la figura più ricorrente nella tradizione letteraria dei secoli passati in una concezione della poesia basata non sull'originalità fantastica ma sull'imitazione di modelli esemplari, troviamo una catena di similitudini che tornano come variazioni sullo stesso tema dai poeti omerici e lativi fino all'epica e addirittura alla narrativa moderna.
Prendiamo in esame un esempio tradizionale: un gruppo di armati che rientra deluso dopo aver fallito l'obiettivo di cui era in caccia è rappresentato attraverso una similitudine con un branco di segugi in un'ottava del Tasso e ne celebre avvio di un capitolo dei promessi sposi :
Qual dopo lunga e faticosa caccia
tornansi mesti ed anelanti i cani,
che la fera perduta abbian di traccia
nascosa in selva dagli aperti piani;
tal pieni d'ira e di vergogna in faccia
risiedon stanchi i cavalier cristiani.
Ella pur fugge, e timida e smarrita
non si volge a mirar s'anco è seguita.
"Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornano i bravi al palazzotto di don Rodrigo".
La similitudine dunque, non si vede, è un vero quadro a sé stante, parallelo alla situazione che vuole descrivere nella cui stesura l'autore sembra compiacersi con un'immaginazione autonoma che si dilunga in particolari estranei alla pura logica del confronto.
Una metafora prolungata può esser considera un'allegoria : essa consiste in una descrizione che ha volutamente un secondo e più importante senso a di là del significato reale e diretto del tema presentato.
La seva oscura in cui Dante si perde all'inizio dell'Inferno è l'espressione allegorica che richiama come sovrasenso al peccato, errore in cui l'anima smarrisce la retta via.
L'allegoria può esser, come in questo caso, limitata ad una semplice immagine o figura oppure può essere allargata al significato generale di un'opera come avviene appunto nella Divina Commedia; valore allegorico hanno ad es. tutte le favole animalistiche in cui gli animali assumono funzione di simbolo di situazioni dell'esistenza.
In una rappresentazione allegorica occorre distinguere il significato immediato letterale dal concetto a cui si vuole rimandare il lettore che è appunto il significato allegorico :
l'interesse essenziale dell'autore è appuntato non sull'immagine letterale ma sul concetto che essa deve esprimere.
Questo aspetto deve distinguere la vera allegoria dal significato simbolico così frequente nelle opere letterarie del nostro tempo.
Nel simbolo infatti è la realtà comune stessa che si carica di significati sottintesi che trapelano accanto a quello reale ed immediato : in Moby Dick la cacca alla balena bianca diviene anche simbolica ossessiva lotta contro lo spirito del male, ma è anzitutto un'epopea di avventure marinaresche.
Dalla fioritura della poesia romantica e simbolista in poi il valore simbolico è presente spesso, in opere narrative e liriche ma come intenzione secondaria o come situazione inconscia ben diversa dalla consapevole ed intellettualistica operazione dell'allegoria.
Accanto a queste che la retorica classica aveva definito "figure di pensiero" si colloca il gruppo delle " figure di elocuzione" di uso più consueto anche nel linguaggio comune.
Le più importanti sono
la metonimia, sostituzione di un termine proprio con un altro ad esso legato da rapporti logici di quantità o di dipendenza o di contiguità : si possono avere vari casi di sostituzione : la causa per l'effetto e viceversa ( un viso tinto di paura; vivere del proprio sudore) l'astratto con il concreto (le pretese della nobiltà) la materia per l'oggetto ( i sacri bronzi ) l'autore per l'opera (leggere Dante) e così via;
la sineddoche sostituzione di nome proprio con nome comune o viceversa ( il segretario fiorentino per indicare Macchiavelli).
Queste figure in genere appaiono semplici nel valore espressivo suggeriscono indicazioni convenzionali o logorate dall'uso e tendono a connotare i discorso ad un livello realistico; più efficaci e di uso sempre fortemente fantastico e personale sono l'ossimoro e al sinestesia.
L'ossimoro consiste in una ricercata contraddizione di termini di solito attraverso la coppia aggettivo-sostantivo (il faticoso ozio dei grandi).
la sinestesia è l'accoppiamento di parole che esprimono sensazioni proprie di diverse sfere sensoriali ( esemplare in Dante : Noi fummo i loco d'ogni luce muto). Atta a suggerire ambigue trasposizioni la sinestesia è soprattutto una figura tipica della poesia a partire dai simbolisti " là voci di tenebra azzurra"(Pascoli).
Possiamo poi ricordare tutta una serie di figure indirizzate a conferire un'intonazione particolare alla frase attraverso lo stravolgimento del significato proprio : anzitutto le espressioni legate all'ironia e al sarcasmo.
L'ironia consiste nell'uso di un tono espressivo che va inteso in senso opposto al suo significato letterale.
O Natura cortese
son questi i doni tuoi
questi i diletti son
che tu porgi ai mortali ( Leopardi "la quiete dopo la tempesta).
Quando il contrasto tra l'apparenza ed il senso reale diventa amaro e pungente, mosso da animosità che sottintende una personale amarezza, si ha il sarcasmo.
Godi Fiorenza poi che sei sì grande
che per mare e per terra batti l'ale
e per lo Inferno 'l tuo nome si spande ( Inferno, Canto XXVI).
Ironia e sarcasmo sottintendono una particolare intonazione di lettura che contribuisce al rovesciamento del significato letterale: li differenzia la particolare amarezza che porta spesso il sarcasmo, come nell'esempio sopra citato a concludere con un'espressione non allusiva ma direttamente critica.
Legate invece ad un fine ampliamento esasperato o di attenuazione del concetto sono l'iperbole e la litote.
L'iperbole è un'espressione volutamente ingigantita al di là del verosimile per realizzare un rapporto di intensità :
Tutti i profumi d'Arabia non basteranno a rendere odorosa questa piccola mano (Shakespeare da Macbeth) .
La litote mira invece ad attenuare un'espressione troppo perentoria e si avvale per lo più di una formula negativa : notissima dai Promessi sposi : " Don Abbondio (il lettore se ne già avveduto) non era certo nato con un cuor di leone".
In questo caso l'uso della litote ( anticipato dalla parentesi crea un effetto di sospensione ) arricchisce di significati impliciti la definizione e le sottende un rilievo umoristico.
Affine l'eufemismo ( così frequente nella lingua comune ) cioè la sostituzione di una parola o di un concetto ritenuti sgradevoli con altri che ne mitighino il significato. Spesso l'uso eufemistico porta ad un giro di parole per sostituire il termine specifico : è la cosiddetta perifrasi. Essa serve di solito ad amplificare il tono ed a sottolineare alcuni aspetti del concetto che si vuole esprimere : quando Foscolo invece del termine mare usa la perifrasi "il regno ampio dei venti " arricchisce il concetto di una serie di suggestioni fantastiche.
proviamo ad esaminare i versi del Carducci :
Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce sul fango
Al centro del discorso troviamo due termini usati in senso improprio : con l'aggettivo accidiosi il poeta trasferisce su un oggetto, i lampioni dell'illuminazione, uno stato d'animo personale; per la loro luce non usa un termine comune (ad es., proiettando ) ma un'audace analogia (sbadigliando ) che connota l'espressione di vari significati legati alla tristezza del giorno e della situazione.
Sono due esempi dell'uso della metafora: la più immediata e naturale delle figure letterarie.
La metafora si basa su un rapporto di somiglianza o di analogia tra due termini, rapporto che si istituisce spesso anche nel linguaggio comune tra due termini la cui vicinanza è evidente ( una nebbia che si taglia con i coltello) e serve in questi casi ad una pura funzione esplicativa.
Caratteristica della metafora letteraria è invece spesso l'accostamento di termini non direttamente collegabili secondo una logica immediata : usata in questo senso, essa può divenire l'elemento essenziale di uno stile sino a caratterizzare il linguaggio di una corrente letteraria come è avvenuto per il barocco e per l'ermetismo.
Una forma complessa di metafora può essere considerata l'analogia che è la vera caratteristica del linguaggio ermetico ed è presente in tante espressioni della poesia moderna a partire dai simbolisti: essa è la sovrapposizione di due immagini accostate senza legame grammaticale e senza un chiaro nesso logico almeno secondo una logica comune ma collegate fra loro nell'intuizione poetica.
Un esempio è nel verso di Montale "forse un mattino andando in un'aria di vetro" che sottintende aria fredda e tersa come il vetro.
Nei notissimi versi di Quasimodo
Ognuno sta solo su cuor della terra
Trafitto da un raggio di sole
Ed è subito sera
il rapporto analogico sintetizza in forma allusiva un discorso più ampio e puramente esplicativo : nel dramma della solitudine individuale il corso della vita ci può portare l'occasione della speranza di felicità, come un raggio di sole che rompe le nuvole: a come con la sera il raggio si spegne così torna a spegnersi la speranza.
Le immagini del sole e della sera nascono per l'analogia istintiva tra sole e vita, sera e morte, e sottintendono un'ambiguità di valori che il discorso logico ampliato finirebbe di perdere in gran parte.
Una metafora resta implicita, amplificata e collegata nei due termini da un rapporto diretto - di solito il termine come - è la similitudine:
Essa è forse la figura più ricorrente nella tradizione letteraria dei secoli passati in una concezione della poesia basata non sull'originalità fantastica ma sull'imitazione di modelli esemplari, troviamo una catena di similitudini che tornano come variazioni sullo stesso tema dai poeti omerici e lativi fino all'epica e addirittura alla narrativa moderna.
Prendiamo in esame un esempio tradizionale: un gruppo di armati che rientra deluso dopo aver fallito l'obiettivo di cui era in caccia è rappresentato attraverso una similitudine con un branco di segugi in un'ottava del Tasso e ne celebre avvio di un capitolo dei promessi sposi :
Qual dopo lunga e faticosa caccia
tornansi mesti ed anelanti i cani,
che la fera perduta abbian di traccia
nascosa in selva dagli aperti piani;
tal pieni d'ira e di vergogna in faccia
risiedon stanchi i cavalier cristiani.
Ella pur fugge, e timida e smarrita
non si volge a mirar s'anco è seguita.
"Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornano i bravi al palazzotto di don Rodrigo".
La similitudine dunque, non si vede, è un vero quadro a sé stante, parallelo alla situazione che vuole descrivere nella cui stesura l'autore sembra compiacersi con un'immaginazione autonoma che si dilunga in particolari estranei alla pura logica del confronto.
Una metafora prolungata può esser considera un'allegoria : essa consiste in una descrizione che ha volutamente un secondo e più importante senso a di là del significato reale e diretto del tema presentato.
La seva oscura in cui Dante si perde all'inizio dell'Inferno è l'espressione allegorica che richiama come sovrasenso al peccato, errore in cui l'anima smarrisce la retta via.
L'allegoria può esser, come in questo caso, limitata ad una semplice immagine o figura oppure può essere allargata al significato generale di un'opera come avviene appunto nella Divina Commedia; valore allegorico hanno ad es. tutte le favole animalistiche in cui gli animali assumono funzione di simbolo di situazioni dell'esistenza.
In una rappresentazione allegorica occorre distinguere il significato immediato letterale dal concetto a cui si vuole rimandare il lettore che è appunto il significato allegorico :
l'interesse essenziale dell'autore è appuntato non sull'immagine letterale ma sul concetto che essa deve esprimere.
Questo aspetto deve distinguere la vera allegoria dal significato simbolico così frequente nelle opere letterarie del nostro tempo.
Nel simbolo infatti è la realtà comune stessa che si carica di significati sottintesi che trapelano accanto a quello reale ed immediato : in Moby Dick la cacca alla balena bianca diviene anche simbolica ossessiva lotta contro lo spirito del male, ma è anzitutto un'epopea di avventure marinaresche.
Dalla fioritura della poesia romantica e simbolista in poi il valore simbolico è presente spesso, in opere narrative e liriche ma come intenzione secondaria o come situazione inconscia ben diversa dalla consapevole ed intellettualistica operazione dell'allegoria.
Accanto a queste che la retorica classica aveva definito "figure di pensiero" si colloca il gruppo delle " figure di elocuzione" di uso più consueto anche nel linguaggio comune.
Le più importanti sono
la metonimia, sostituzione di un termine proprio con un altro ad esso legato da rapporti logici di quantità o di dipendenza o di contiguità : si possono avere vari casi di sostituzione : la causa per l'effetto e viceversa ( un viso tinto di paura; vivere del proprio sudore) l'astratto con il concreto (le pretese della nobiltà) la materia per l'oggetto ( i sacri bronzi ) l'autore per l'opera (leggere Dante) e così via;
la sineddoche sostituzione di nome proprio con nome comune o viceversa ( il segretario fiorentino per indicare Macchiavelli).
Queste figure in genere appaiono semplici nel valore espressivo suggeriscono indicazioni convenzionali o logorate dall'uso e tendono a connotare i discorso ad un livello realistico; più efficaci e di uso sempre fortemente fantastico e personale sono l'ossimoro e al sinestesia.
L'ossimoro consiste in una ricercata contraddizione di termini di solito attraverso la coppia aggettivo-sostantivo (il faticoso ozio dei grandi).
la sinestesia è l'accoppiamento di parole che esprimono sensazioni proprie di diverse sfere sensoriali ( esemplare in Dante : Noi fummo i loco d'ogni luce muto). Atta a suggerire ambigue trasposizioni la sinestesia è soprattutto una figura tipica della poesia a partire dai simbolisti " là voci di tenebra azzurra"(Pascoli).
Possiamo poi ricordare tutta una serie di figure indirizzate a conferire un'intonazione particolare alla frase attraverso lo stravolgimento del significato proprio : anzitutto le espressioni legate all'ironia e al sarcasmo.
L'ironia consiste nell'uso di un tono espressivo che va inteso in senso opposto al suo significato letterale.
O Natura cortese
son questi i doni tuoi
questi i diletti son
che tu porgi ai mortali ( Leopardi "la quiete dopo la tempesta).
Quando il contrasto tra l'apparenza ed il senso reale diventa amaro e pungente, mosso da animosità che sottintende una personale amarezza, si ha il sarcasmo.
Godi Fiorenza poi che sei sì grande
che per mare e per terra batti l'ale
e per lo Inferno 'l tuo nome si spande ( Inferno, Canto XXVI).
Ironia e sarcasmo sottintendono una particolare intonazione di lettura che contribuisce al rovesciamento del significato letterale: li differenzia la particolare amarezza che porta spesso il sarcasmo, come nell'esempio sopra citato a concludere con un'espressione non allusiva ma direttamente critica.
Legate invece ad un fine ampliamento esasperato o di attenuazione del concetto sono l'iperbole e la litote.
L'iperbole è un'espressione volutamente ingigantita al di là del verosimile per realizzare un rapporto di intensità :
Tutti i profumi d'Arabia non basteranno a rendere odorosa questa piccola mano (Shakespeare da Macbeth) .
La litote mira invece ad attenuare un'espressione troppo perentoria e si avvale per lo più di una formula negativa : notissima dai Promessi sposi : " Don Abbondio (il lettore se ne già avveduto) non era certo nato con un cuor di leone".
In questo caso l'uso della litote ( anticipato dalla parentesi crea un effetto di sospensione ) arricchisce di significati impliciti la definizione e le sottende un rilievo umoristico.
Affine l'eufemismo ( così frequente nella lingua comune ) cioè la sostituzione di una parola o di un concetto ritenuti sgradevoli con altri che ne mitighino il significato. Spesso l'uso eufemistico porta ad un giro di parole per sostituire il termine specifico : è la cosiddetta perifrasi. Essa serve di solito ad amplificare il tono ed a sottolineare alcuni aspetti del concetto che si vuole esprimere : quando Foscolo invece del termine mare usa la perifrasi "il regno ampio dei venti " arricchisce il concetto di una serie di suggestioni fantastiche.
mercoledì 22 agosto 2018
letteratura la poesia didascalica
letteratura la poesia didascalica
La poesia fu quindi chiamata a rivestire di belle forme i concetti e i princìpi della scienza o della vita sociale religiosa morale: poemetti dedicati ad illustrare le tecniche della coltivazione dei campi ( " Le Opere e i giorni di Esiodo o le Georgiche di Virgilio) oppure a divulgare nozioni filosofiche ( La Natura di Lucrezio). Proprio del genere è sempre stato il dichiarato proposito di insegnare e l'assunzione quindi di un tono didattiche che trova la sua espressione metrica in versi ampi e adatti ad una funzione esplicativa come l'esametro grecolatino o l'endecasillabo per la nostra poesia.
In realtà, nei secoli della sua fortuna il genere didascalico fu concepito soprattutto in un funzione di una minoranza colta e raffinata a cu il contenuto precettistico interessava di solito assai meno delle forme letterarie da cui da cui era avvolto.
Una particolare forma di poesia didascalica è da considerare il poema allegorico che ebbe grande fortuna nel Medio Evo fino all'altissima espressione della Divina Commedia.
Allegoria è come vedremo la raffigurazione in figure concrete di concetti astratti della vita morale: una tecnica espressiva particolarmente diffusa in epoche portate ad interpretare in chiave simbolica gli aspetti della realtà.
Al genere didascalico si possono collegare il poema satirico, che ebbe grande fortuna specie nel 1700 ( l'esempio più illustre fu "Il Giorno" del Parini, il metro di solito l'endecasillabo sciolto), e la favola animalistica, che da Esopo a Fedro a La Fontaine alle forme più recenti (ricordiamo per tutte le poesie romanesche di Trilussa) tende a far agire gli animali secondi schemi di ragionamento e di comportamento propri della società umana.
POESIA DIDASCALICA
la fortuna del genere didascalico dall'antichità alla fine del secolo XVIII è da collegare alla particolare funzione attribuita alla poesia in molte epoche di "educare dilettando.La poesia fu quindi chiamata a rivestire di belle forme i concetti e i princìpi della scienza o della vita sociale religiosa morale: poemetti dedicati ad illustrare le tecniche della coltivazione dei campi ( " Le Opere e i giorni di Esiodo o le Georgiche di Virgilio) oppure a divulgare nozioni filosofiche ( La Natura di Lucrezio). Proprio del genere è sempre stato il dichiarato proposito di insegnare e l'assunzione quindi di un tono didattiche che trova la sua espressione metrica in versi ampi e adatti ad una funzione esplicativa come l'esametro grecolatino o l'endecasillabo per la nostra poesia.
In realtà, nei secoli della sua fortuna il genere didascalico fu concepito soprattutto in un funzione di una minoranza colta e raffinata a cu il contenuto precettistico interessava di solito assai meno delle forme letterarie da cui da cui era avvolto.
Una particolare forma di poesia didascalica è da considerare il poema allegorico che ebbe grande fortuna nel Medio Evo fino all'altissima espressione della Divina Commedia.
Allegoria è come vedremo la raffigurazione in figure concrete di concetti astratti della vita morale: una tecnica espressiva particolarmente diffusa in epoche portate ad interpretare in chiave simbolica gli aspetti della realtà.
Al genere didascalico si possono collegare il poema satirico, che ebbe grande fortuna specie nel 1700 ( l'esempio più illustre fu "Il Giorno" del Parini, il metro di solito l'endecasillabo sciolto), e la favola animalistica, che da Esopo a Fedro a La Fontaine alle forme più recenti (ricordiamo per tutte le poesie romanesche di Trilussa) tende a far agire gli animali secondi schemi di ragionamento e di comportamento propri della società umana.
giovedì 28 dicembre 2017
I memorialisti
i memorialisti
Nella prima metà dell'Ottocento in piena atmosfera romantica fiorisce una serie di memorialisti cioè di scrittori che rievocano le vicende della loro vita connesse più o meno strettamente con gli eventi politici ma trasfigurate in virtù del ricordo personale in un'aura di poesia che si alimenta del gusto del realismo narrativo della confessione dell'introspezione psicologica della storia dell'anima di ciascuno di questi autori di memorie.
Oltre al d'Azeglio già ricordato nelle pagine che precedono autori di rilievo Silvio Pellico e Luigi Settembrini.
Silvio Pellico (1789-1854) è considerato il più degno di rilievo e di menzione.-
Nato a Saluzzo nel 1789 autore di mediocri anche se fortunatissime tragedie romantiche (celeberrima la Francesca di Rimini) il Pellico fu implicato nei processi carbonari del 1821 e condannato a quindici anni di carcere duro.
Dopo 8 anni di carcere allo Spielberg fu graziato e si ritirò a Torino dove visse fino al 1854 sempre estraneo alle passioni politiche e letterarie della giovinezza.
La sua opera più significativa è il libro Le Mie Prigioni dove la materia autobiografica è scevra di ogni polemica e da ogni risentimento personale.
C'è narrata la storia di una dolce e segreta Provvidenza di un'anima che nella fede ritrova la propria consolazione. Il libro tuttavia non può definirsi un'opera di devozione religiosa.
Con uno stile semplice e immediato il Pellico narra vicende e disegna personaggi anche di fuggevole apparizione non facilmente dimenticabili ( il carcere di Santa Margherita i Piombi di Venezia lo Spielberg il mutolino la Zanze schiller.
Le mie prigioni servì alla causa risorgimentale più di ogni altro scritto e suscitò larghissime simpatie all'Italia presso tutte le nazioni civili.
Diffusione straordinaria in quegli anni ebbe anche il libro del Pellico I doveri dell'uomo trattato ispirato al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita gli uomini alla concordia al reciproco aiuto e alla conciliazione.
In lui furono sempre vivi principi che aveva espresso come redattore del Conciliatore giornale politico in cui egli prospettava una soluzione pacifica dei rapporti Italo-austriaci e dopo la conversione al cattolicesimo frutto di lunghi anni di prigionia trascorsi in raccolta meditazione. La sua fede lo condusse a ipotizzare con simpatia il potere temporale dei Papi maturati anche i principi di ubbidienza e di rassegnazione cristiana.
Luigi Settembrini (1813-1876) nato a Napoli, giovanissimo si affiliò alla Giovine Italia e scoperto patì la prigionia.
Liberato riprese con ardore l'attività politica e per la sua qualità di promotore responsabile della rivoluzione napoletana del 1848 fu condannato alla pena di morte che però fu commutata in quella di carcere a vita.
Dalla deportazione in America lo salvò il figlio Raffaele che con un'azione da dirottatore si impadronì della nave e obbligò il capitano a sbarcare in Inghilterra tutti gli sventurati patrioti.
Morì senatore del Regno nel 1876.
Scrisse le Ricordanze della mia vita in cui mette in risalto le terribili condizioni della popolazione del Regno di Napoli sotto i Borboni e Lezioni di letteratura italiana di scarso valore critico.
Nella prima metà dell'Ottocento in piena atmosfera romantica fiorisce una serie di memorialisti cioè di scrittori che rievocano le vicende della loro vita connesse più o meno strettamente con gli eventi politici ma trasfigurate in virtù del ricordo personale in un'aura di poesia che si alimenta del gusto del realismo narrativo della confessione dell'introspezione psicologica della storia dell'anima di ciascuno di questi autori di memorie.
Oltre al d'Azeglio già ricordato nelle pagine che precedono autori di rilievo Silvio Pellico e Luigi Settembrini.
Silvio Pellico (1789-1854) è considerato il più degno di rilievo e di menzione.-
Nato a Saluzzo nel 1789 autore di mediocri anche se fortunatissime tragedie romantiche (celeberrima la Francesca di Rimini) il Pellico fu implicato nei processi carbonari del 1821 e condannato a quindici anni di carcere duro.
Dopo 8 anni di carcere allo Spielberg fu graziato e si ritirò a Torino dove visse fino al 1854 sempre estraneo alle passioni politiche e letterarie della giovinezza.
La sua opera più significativa è il libro Le Mie Prigioni dove la materia autobiografica è scevra di ogni polemica e da ogni risentimento personale.
C'è narrata la storia di una dolce e segreta Provvidenza di un'anima che nella fede ritrova la propria consolazione. Il libro tuttavia non può definirsi un'opera di devozione religiosa.
Con uno stile semplice e immediato il Pellico narra vicende e disegna personaggi anche di fuggevole apparizione non facilmente dimenticabili ( il carcere di Santa Margherita i Piombi di Venezia lo Spielberg il mutolino la Zanze schiller.
Le mie prigioni servì alla causa risorgimentale più di ogni altro scritto e suscitò larghissime simpatie all'Italia presso tutte le nazioni civili.
Diffusione straordinaria in quegli anni ebbe anche il libro del Pellico I doveri dell'uomo trattato ispirato al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita al concetto di umiltà e devozione cristiana che invita gli uomini alla concordia al reciproco aiuto e alla conciliazione.
In lui furono sempre vivi principi che aveva espresso come redattore del Conciliatore giornale politico in cui egli prospettava una soluzione pacifica dei rapporti Italo-austriaci e dopo la conversione al cattolicesimo frutto di lunghi anni di prigionia trascorsi in raccolta meditazione. La sua fede lo condusse a ipotizzare con simpatia il potere temporale dei Papi maturati anche i principi di ubbidienza e di rassegnazione cristiana.
Luigi Settembrini (1813-1876) nato a Napoli, giovanissimo si affiliò alla Giovine Italia e scoperto patì la prigionia.
Liberato riprese con ardore l'attività politica e per la sua qualità di promotore responsabile della rivoluzione napoletana del 1848 fu condannato alla pena di morte che però fu commutata in quella di carcere a vita.
Dalla deportazione in America lo salvò il figlio Raffaele che con un'azione da dirottatore si impadronì della nave e obbligò il capitano a sbarcare in Inghilterra tutti gli sventurati patrioti.
Morì senatore del Regno nel 1876.
Scrisse le Ricordanze della mia vita in cui mette in risalto le terribili condizioni della popolazione del Regno di Napoli sotto i Borboni e Lezioni di letteratura italiana di scarso valore critico.
mercoledì 13 dicembre 2017
riassunto de I promessi sposi
riassunto de I promessi sposi
E' un romanzo storico anche se il racconto che ne costituisce la trama è un'invenzione dell'autore.
La storia e l'invenzione la realtà storica e la fantasia il dato inteso come avvenimento, quindi caratterizzato da esattezza cronologica e da certezza di svolgimento e il frutto della fantasia di Manzoni si fondono perfettamente in quest'opera fino a diventare un tutt'uno inscindibile. E non riesce perciò più separabile la storia dall'invenzione dal momento che l'una si è versata nell'altra.
La vicenda del romanzo si svolge in due anni dal 1628 al 1630 è proprio la storia degli avvenimenti in questo biennio che costituisce la panoramica su cui si snoda la vicenda dei personaggio maggiori minori e minimi dei Promessi Sposi e soprattutto di Renzo e Lucia.
In Lombardia dominata dagli spagnoli c'erano in quegli anni funestati dalla carestia dalla guerra dalla peste dall'odio e dallo scontro delle classi sociali prepotenti signorotti altro clero plebe basso clero ecclesiastici pieni di zelo o vittime della viltà e la povera gente.
Il romanzo si apre con la scena che può dare immediatamente la misura e il tono di tutta l'opera la sera del 7 novembre 1628 un prete il curato di ..... Don Abbondio torna dalla sua passeggiata verso il paese per una stradicciola di campagna ad un tratto alza gli occhi dal breviario e vede presso un muricciolo due bravi (sicari di cui si servivano i signorotti prepotenti del tempo per vessare i deboli e comunque per portare a termine i loro disegni criminosi)
Delinquenza e paura brigantaggio e viltà appaiono subito come elementi caratterizzanti dell'assetto sociale di quell'epoca. Il Seicento con le sue ombre e le sue luci ma più con le ombre diventa così pure esso protagonista inconsapevole ma continuamente presente del romanzo.
Dall'apparizione dei bravi per diverse pagine scorrono elencazioni e citazioni ora intere ed ora per estratto di bandi di legge (gride) che i governanti emanano con un sempre crescente inasprimento delle pene con il preciso scopo di eliminare il fenomeno dei bravi.
Il ripetersi di queste gride con una monotonia quasi inverosimile mette in chiara evidenza che la forza del diritto è stata ormai soppiantata dal diritto della forza.
La pubblica autorità (Podestà il governatore) infatti o per timore o per connivenza o peggio per omissione degli atti dovuti a qualsiasi titolo aveva rinunciato al suo ruolo.
E la povera gente ( Renzo Lucia ed Agnese) quella timorata e rispettosa dei valori morali che non voleva mescolarsi ai facinorosi e ai delinquenti e non intendeva piegarsi alla volontà sfrenata e spregevole dei signorotti prepotenti dei malvagi ( Don Rodrigo e il Conte Attilio)doveva esporsi alle angherie e ai soprusi e talvolta anche la fuga.
Fu proprio il ritrovamento di una grida del 1628 la cosiddetta grida del miracolo in cui era contemplata la fattispecie penale di un curato che si fosse rifiutato per intimidazione di celebrare un matrimonio che suggerì l'idea la Manzoni di scrivere un romanzo ambientato nel secolo XVII che riflettesse il fatto criminoso.
Nacque così la trama del romanzo.
Don Rodrigo un signorotto prepotente servendosi dei suoi bravi impone a Don Abbondio parroco del paese di non celebrare le nozze di due giovani lavoratori : Renzo Tramaglino e Lucia Mondella entrambi operai della filanda locale.
In difesa dei due giovani interviene un cappuccino Fra Cristoforo con tutto l'ardore delle sua fede e con il coraggioso atteggiamento che lo porta fino al castello di Don Rodrigo. Ma il suo intervento si rivela inutile gli procura ingiurie e minacce del signorotto.
Il giovane Renzo si consiglio di Agnese madre di Lucia sposa promessa si rivolge ad un uomo di legge l'avvocato Azzeccagarbugli amico di Don Rodrigo che non soltanto rifiuta il proprio patrocinio ma caccia via in malo modo il povero giovane che aveva ancora una certa fiducia nella legge e nella sua applicazione contro i malvagi.
Tenta poi sempre su consiglio di Agnese il matrimonio clandestino ma anche questo fallisce per la timidezza e al titubanza della giovane fidanzata che temendo di fare cosa non giusta esita a pronunciare al frase di rito richiesta per la validità di questo tipo di matrimonio.
Fra Cristoforo consiglia ai due giovani di lasciare il paese e di rifugiarsi Lucia in monastero e Renzo a Milano.
Lucia così viene accolta al monastero di Monza in cui viene affidata alla "Signora" passata poi alla storia con la denominazione di Monaca di Monza una sorta di suora appartenente ad una famiglia nobile ma donna perversa e malvagia che si presta poi a far rapire dai bravi dell'Innominato ( Bernardino Visconti) la povera giovane che viene reclusa in un castello di questo potente quanto malvagio personaggio che su richiesta supplichevole di Don Rodrigo consuma per mezzo dei sicari il delitto di Sequestro di persona.
senza ricevere compenso diverso dall'atto di umiliazione del borioso Don Rodrigo.
Ed ecco l'intervento della Provvidenza la presenza di Lucia nel castello dell'Innominato la sua supplica allo spietato tiranno per ottenere la liberazione fanno scoppiare improvvisa la crisi psicologica del carceriere che dopo una lunghissima notte insonne si affretta a presentarsi al Cardinale Federico borromeo in visita pastorale.
I capitoli dal XIX la XXXII riguardano la fase più drammatica del romanzo una fase in cui si affrontano il bene simboleggiato dal Cardinale e il male impersonato dall'Innominato.
I capitoli XXXIII al XLII descrivono al quiete individuale e collettiva dopo susseguirsi di tempeste più o meno burrascose.
La provvidenza fa trionfare il bene sul male e il romanzo si conclude con la redenzione generale di tutti i personaggi che sono stati livellati su una piattaforma di comune tribolazione la peste.
E' da questa collettiva purificazione ricevono tutti gran luce e soprattutto le creature tribolate Renzo e Lucia che finalmente vedono realizzato il loro sogno d'amore con le nozze celebrate da Don Abbondio.
I promessi sposi possono perciò definirsi anche il poema della famiglia l'opera in cui il Manzoni innalza uno stupendo monumento alla famiglia cristiana che vive nella rettitudine e con il suo comportamento intonato al rispetto reciproco degli sposi all'amore di questi per i figli e alla comune comprensione costituisce l'esempio più valido per al formazione di una società caratterizzata dalla concordia e dalla solidarietà elementi indispensabili ad una convivenza giusta e feconda.
Nei promessi sposi confluiscono tutti i motivi delle opere del Manzoni L'autore vi è presente con la cultura con la sua erudizione e con la sua fede religiosa
E' un romanzo storico anche se il racconto che ne costituisce la trama è un'invenzione dell'autore.
La storia e l'invenzione la realtà storica e la fantasia il dato inteso come avvenimento, quindi caratterizzato da esattezza cronologica e da certezza di svolgimento e il frutto della fantasia di Manzoni si fondono perfettamente in quest'opera fino a diventare un tutt'uno inscindibile. E non riesce perciò più separabile la storia dall'invenzione dal momento che l'una si è versata nell'altra.
La vicenda del romanzo si svolge in due anni dal 1628 al 1630 è proprio la storia degli avvenimenti in questo biennio che costituisce la panoramica su cui si snoda la vicenda dei personaggio maggiori minori e minimi dei Promessi Sposi e soprattutto di Renzo e Lucia.
In Lombardia dominata dagli spagnoli c'erano in quegli anni funestati dalla carestia dalla guerra dalla peste dall'odio e dallo scontro delle classi sociali prepotenti signorotti altro clero plebe basso clero ecclesiastici pieni di zelo o vittime della viltà e la povera gente.
Il romanzo si apre con la scena che può dare immediatamente la misura e il tono di tutta l'opera la sera del 7 novembre 1628 un prete il curato di ..... Don Abbondio torna dalla sua passeggiata verso il paese per una stradicciola di campagna ad un tratto alza gli occhi dal breviario e vede presso un muricciolo due bravi (sicari di cui si servivano i signorotti prepotenti del tempo per vessare i deboli e comunque per portare a termine i loro disegni criminosi)
Delinquenza e paura brigantaggio e viltà appaiono subito come elementi caratterizzanti dell'assetto sociale di quell'epoca. Il Seicento con le sue ombre e le sue luci ma più con le ombre diventa così pure esso protagonista inconsapevole ma continuamente presente del romanzo.
Dall'apparizione dei bravi per diverse pagine scorrono elencazioni e citazioni ora intere ed ora per estratto di bandi di legge (gride) che i governanti emanano con un sempre crescente inasprimento delle pene con il preciso scopo di eliminare il fenomeno dei bravi.
Il ripetersi di queste gride con una monotonia quasi inverosimile mette in chiara evidenza che la forza del diritto è stata ormai soppiantata dal diritto della forza.
La pubblica autorità (Podestà il governatore) infatti o per timore o per connivenza o peggio per omissione degli atti dovuti a qualsiasi titolo aveva rinunciato al suo ruolo.
E la povera gente ( Renzo Lucia ed Agnese) quella timorata e rispettosa dei valori morali che non voleva mescolarsi ai facinorosi e ai delinquenti e non intendeva piegarsi alla volontà sfrenata e spregevole dei signorotti prepotenti dei malvagi ( Don Rodrigo e il Conte Attilio)doveva esporsi alle angherie e ai soprusi e talvolta anche la fuga.
Fu proprio il ritrovamento di una grida del 1628 la cosiddetta grida del miracolo in cui era contemplata la fattispecie penale di un curato che si fosse rifiutato per intimidazione di celebrare un matrimonio che suggerì l'idea la Manzoni di scrivere un romanzo ambientato nel secolo XVII che riflettesse il fatto criminoso.
Nacque così la trama del romanzo.
Don Rodrigo un signorotto prepotente servendosi dei suoi bravi impone a Don Abbondio parroco del paese di non celebrare le nozze di due giovani lavoratori : Renzo Tramaglino e Lucia Mondella entrambi operai della filanda locale.
In difesa dei due giovani interviene un cappuccino Fra Cristoforo con tutto l'ardore delle sua fede e con il coraggioso atteggiamento che lo porta fino al castello di Don Rodrigo. Ma il suo intervento si rivela inutile gli procura ingiurie e minacce del signorotto.
Il giovane Renzo si consiglio di Agnese madre di Lucia sposa promessa si rivolge ad un uomo di legge l'avvocato Azzeccagarbugli amico di Don Rodrigo che non soltanto rifiuta il proprio patrocinio ma caccia via in malo modo il povero giovane che aveva ancora una certa fiducia nella legge e nella sua applicazione contro i malvagi.
Tenta poi sempre su consiglio di Agnese il matrimonio clandestino ma anche questo fallisce per la timidezza e al titubanza della giovane fidanzata che temendo di fare cosa non giusta esita a pronunciare al frase di rito richiesta per la validità di questo tipo di matrimonio.
Fra Cristoforo consiglia ai due giovani di lasciare il paese e di rifugiarsi Lucia in monastero e Renzo a Milano.
Lucia così viene accolta al monastero di Monza in cui viene affidata alla "Signora" passata poi alla storia con la denominazione di Monaca di Monza una sorta di suora appartenente ad una famiglia nobile ma donna perversa e malvagia che si presta poi a far rapire dai bravi dell'Innominato ( Bernardino Visconti) la povera giovane che viene reclusa in un castello di questo potente quanto malvagio personaggio che su richiesta supplichevole di Don Rodrigo consuma per mezzo dei sicari il delitto di Sequestro di persona.
senza ricevere compenso diverso dall'atto di umiliazione del borioso Don Rodrigo.
Ed ecco l'intervento della Provvidenza la presenza di Lucia nel castello dell'Innominato la sua supplica allo spietato tiranno per ottenere la liberazione fanno scoppiare improvvisa la crisi psicologica del carceriere che dopo una lunghissima notte insonne si affretta a presentarsi al Cardinale Federico borromeo in visita pastorale.
I capitoli dal XIX la XXXII riguardano la fase più drammatica del romanzo una fase in cui si affrontano il bene simboleggiato dal Cardinale e il male impersonato dall'Innominato.
I capitoli XXXIII al XLII descrivono al quiete individuale e collettiva dopo susseguirsi di tempeste più o meno burrascose.
La provvidenza fa trionfare il bene sul male e il romanzo si conclude con la redenzione generale di tutti i personaggi che sono stati livellati su una piattaforma di comune tribolazione la peste.
E' da questa collettiva purificazione ricevono tutti gran luce e soprattutto le creature tribolate Renzo e Lucia che finalmente vedono realizzato il loro sogno d'amore con le nozze celebrate da Don Abbondio.
I promessi sposi possono perciò definirsi anche il poema della famiglia l'opera in cui il Manzoni innalza uno stupendo monumento alla famiglia cristiana che vive nella rettitudine e con il suo comportamento intonato al rispetto reciproco degli sposi all'amore di questi per i figli e alla comune comprensione costituisce l'esempio più valido per al formazione di una società caratterizzata dalla concordia e dalla solidarietà elementi indispensabili ad una convivenza giusta e feconda.
Nei promessi sposi confluiscono tutti i motivi delle opere del Manzoni L'autore vi è presente con la cultura con la sua erudizione e con la sua fede religiosa
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