Chateaubriand - Renato
François-René de Chateaubriand (1768-1848) discende da una antica famiglia aristocratica è la personalità più emblematica dei precursori del romanticismo.
Trascorse l'infanzia solitaria e sognante tra lande e brughiere selvagge di fronte ai flutti dell'Atlantico a Combourg e a Saint-Malò dove era nato, sulla costa bretone; allo scoppio della Rivoluzione si recò in America, dove per sette mesi visitò le regioni poco conosciute sulla traccia dei grandi esploratori sino alle terre dei grandi laghi. Tornato in patria nel'93 combatté a fianco degli emigrati e fu quindi costretto ad andare in esilio a Londra, dove visse miseramente.
Amnistiato, ritornò in patria, e ricoprì importanti cariche politiche sotto Napoleone e, durante la Restaurazione sotto i Borboni, ma sempre con un certo spirito di indipendenza che lo portò a gesti clamorosi di rifiuto e di rottura prima con Napoleone e poi con Luigi Filippo, che rientrano nel gusto un po' troppo esibizionistico dello scrittore sempre pronto a sfruttare ogni occasione per costruire il proprio personaggio non solo per i contemporanei, ma anche per i posteri.
Tutte le sue opere sono profondamente permeate da una sensibilità romantica piuttosto estenuata e morbosamente torbida che si riflette in uno stilo troppo spesso enfatico e ridondante : per questa retorica di fondo tanto il personaggio quanto l'opera in un certo senso anticipano i languori i turbamenti e l'esasperato individualismo della sensibilità decadentistica.
Fu sepolto per suo desiderio su uno scoglio solitario davanti all'Atlantico presso Saint-Malò.
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domenica 16 settembre 2018
venerdì 14 settembre 2018
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (1778-1827) possono essere considerate il primo romanzo italiano moderno. Furono scritte negli ultimi anni del '700 e pubblicate nel 1802 durante l'esilio londinese ebbero la revisione definitiva. Opera sostanzialmente autobiografica redatta in forma epistolare secondo l'uso del tempo, nasconde le passioni e le delusioni di Foscolo sotto la figura del giovane Jacopo Ortis, uno studente che dopo il trattato di Campoformio deve abbandonare Venezia perché sospetto aglio Austriaci per le sue idee liberali e si rifugia su colli Euganei dove conosce Teresa, infelicemente fidanzata per opportunità familiari se ne innamora e ne è ricambiato; però come ha dovuto rinunciare al sogno di libertà per la patria, così deve rinunciare al sogno d'amore, e non potendo vivere in schiavitù e senza Teresa dopo aver peregrinato per città e regioni italiane ove il ricordo del passato e la situazione presente alimentando soprattutto la delusione politica alla notizia delle nozze di Teresa si uccide. le lettere sono indirizzate ad un amico Lorenzo Alderani che dopo la morte di Jacopo le pubblicherà per eternare i ricordo dell'infelice giovane.
Alla mente di Foscolo fu certo presente la tragica vicenda di Werther, ma l'ispirazione delle due opere è profondamente diversa : infatti Werther si uccide solo per disperazione d'amore mentre Jacopo, erede spirituale di Alfieri e fremente dell'ardore di libertà, rinuncia alla vita perché incapace di sopravvivere alla duplice delusione politica e sentimentale. Il motivo politico caratterizza, come vedremo, sin dall'inizio l'opera e ad esso è congiunto il tema della morte : per vivere da liberi e da forti bisogna imparare a poter liberamente e fortemente morire; l'amore di Teresa dapprima dà al giovane la forza di resistere all'obbrobrio della servitù e della viltà degli italiani, ma in seguito , quand'anch'esso con le nozze di Teresa appare definitivamente irrealizzabile, riconferma in Jacopo la convinzione che la vita non ha più senso per che la considera ormai senza valore. Come dice lo stesso Foscolo commentando i proprio romanzo, nell'Ortis il vero contrasto sta tra la disperazione delle passioni e il naturale amore per la vita : i sentimenti, eccitati in lui dalla giovane che desidera e che non potrà mai sposare e dalla patria che ha perduto e che inutilmente anela di vendicare, forniscono nuove armi ala disperazione superando il normale orrore per la morte. Il suicidio è già scontato sin dalla prima lettera e non giunge perciò inatteso : come forma di protesta alfieriana e romantica ha un profondo valore spirituale perché nella evidenza della voluta esasperazione dei sentimenti e dei gesti simboleggia una condizione altamente virile e eroica : la vita è bella e amata dagli uomini a patto però che sia vissuta intensamente e in nome di nobili e generosi ideali, perché in caso contrario non è degna di essere chiamata vita.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (1778-1827) possono essere considerate il primo romanzo italiano moderno. Furono scritte negli ultimi anni del '700 e pubblicate nel 1802 durante l'esilio londinese ebbero la revisione definitiva. Opera sostanzialmente autobiografica redatta in forma epistolare secondo l'uso del tempo, nasconde le passioni e le delusioni di Foscolo sotto la figura del giovane Jacopo Ortis, uno studente che dopo il trattato di Campoformio deve abbandonare Venezia perché sospetto aglio Austriaci per le sue idee liberali e si rifugia su colli Euganei dove conosce Teresa, infelicemente fidanzata per opportunità familiari se ne innamora e ne è ricambiato; però come ha dovuto rinunciare al sogno di libertà per la patria, così deve rinunciare al sogno d'amore, e non potendo vivere in schiavitù e senza Teresa dopo aver peregrinato per città e regioni italiane ove il ricordo del passato e la situazione presente alimentando soprattutto la delusione politica alla notizia delle nozze di Teresa si uccide. le lettere sono indirizzate ad un amico Lorenzo Alderani che dopo la morte di Jacopo le pubblicherà per eternare i ricordo dell'infelice giovane.
Alla mente di Foscolo fu certo presente la tragica vicenda di Werther, ma l'ispirazione delle due opere è profondamente diversa : infatti Werther si uccide solo per disperazione d'amore mentre Jacopo, erede spirituale di Alfieri e fremente dell'ardore di libertà, rinuncia alla vita perché incapace di sopravvivere alla duplice delusione politica e sentimentale. Il motivo politico caratterizza, come vedremo, sin dall'inizio l'opera e ad esso è congiunto il tema della morte : per vivere da liberi e da forti bisogna imparare a poter liberamente e fortemente morire; l'amore di Teresa dapprima dà al giovane la forza di resistere all'obbrobrio della servitù e della viltà degli italiani, ma in seguito , quand'anch'esso con le nozze di Teresa appare definitivamente irrealizzabile, riconferma in Jacopo la convinzione che la vita non ha più senso per che la considera ormai senza valore. Come dice lo stesso Foscolo commentando i proprio romanzo, nell'Ortis il vero contrasto sta tra la disperazione delle passioni e il naturale amore per la vita : i sentimenti, eccitati in lui dalla giovane che desidera e che non potrà mai sposare e dalla patria che ha perduto e che inutilmente anela di vendicare, forniscono nuove armi ala disperazione superando il normale orrore per la morte. Il suicidio è già scontato sin dalla prima lettera e non giunge perciò inatteso : come forma di protesta alfieriana e romantica ha un profondo valore spirituale perché nella evidenza della voluta esasperazione dei sentimenti e dei gesti simboleggia una condizione altamente virile e eroica : la vita è bella e amata dagli uomini a patto però che sia vissuta intensamente e in nome di nobili e generosi ideali, perché in caso contrario non è degna di essere chiamata vita.
giovedì 13 settembre 2018
I dolori del giovane Werther
I dolori del giovane Werther
I dolori del giovane Werther riflettono un'esperienza autobiografica di Goethe a ventitré anni: nato a Francoforte sul Meno ne 1749 nel 1772 passò a Wetzlar con l'intenzione, per la verità scarsamente realizzata, di fare pratica presso il tribunale supremo dell'Impero, qui si innamorò della fidanzata di un amico Charlotte Buff alla quale rinunciò con dolore e fatica, trasferendo due anni dopo la storia della propria appassionata e tormentata esperienza nel romanzo che divenne subito famoso. Il romanzo è un romanzo epistolare. La vicenda piuttosto semplice e lineare: Werther ritirandosi a vivere in campagna, conosce Carlotta, se ne innamora e in seguito viene a sapere che ella è promessa all'onesto, ma arido amico, Alberto di cui diventerà amico; mentre nel suo cuore cresce la passione anche perché si accorge che il sentimento è ricambiato, Carlotta e Alberto si sposano; vinto dall'impossibilità di realizzare il sogno d'amore e tormentato per il contrasto tra la propria passione e il dovere di non turbare la felicità di Alberto e Carlotta, Werther si uccide.
Werther, secondo le parole dello stesso Goethe, è un giovane dotato di sentimento profondo e puro e di vera penetrazione, facile a smarrirsi in sogni fantastici e incapace di resistere all'infelice passione che lo travolge: è sostanzialmente un debole che non riesce a trovare la forza di affrontare virilmente la realtà, e solo nella natura prova conforto e commiserazione ai tormenti del cuore. Erede dello spirito russoviano, sente disgusto per la società e per le sue convenzioni, ma non sa ribellarsi con la decisione e l'empito dei veri rivoluzionari. Il suo stato d'animo di fondo tra gli estremi del luminoso entusiasmo e del cupo abbattimento, un male dello spirito di quelle generazioni che sarà tipico del romanticismo. La descrizione di questo tipo di personalità e al drammatica conclusione del suicidio ( che è da considerarsi una forma di ripiegamento e di rinuncia di fronte alle contraddizioni e dal dramma dell'esistenza) faranno di Werther un simbolo e in lui si riconosceranno generazioni di giovani.
I dolori del giovane Werther riflettono un'esperienza autobiografica di Goethe a ventitré anni: nato a Francoforte sul Meno ne 1749 nel 1772 passò a Wetzlar con l'intenzione, per la verità scarsamente realizzata, di fare pratica presso il tribunale supremo dell'Impero, qui si innamorò della fidanzata di un amico Charlotte Buff alla quale rinunciò con dolore e fatica, trasferendo due anni dopo la storia della propria appassionata e tormentata esperienza nel romanzo che divenne subito famoso. Il romanzo è un romanzo epistolare. La vicenda piuttosto semplice e lineare: Werther ritirandosi a vivere in campagna, conosce Carlotta, se ne innamora e in seguito viene a sapere che ella è promessa all'onesto, ma arido amico, Alberto di cui diventerà amico; mentre nel suo cuore cresce la passione anche perché si accorge che il sentimento è ricambiato, Carlotta e Alberto si sposano; vinto dall'impossibilità di realizzare il sogno d'amore e tormentato per il contrasto tra la propria passione e il dovere di non turbare la felicità di Alberto e Carlotta, Werther si uccide.
Werther, secondo le parole dello stesso Goethe, è un giovane dotato di sentimento profondo e puro e di vera penetrazione, facile a smarrirsi in sogni fantastici e incapace di resistere all'infelice passione che lo travolge: è sostanzialmente un debole che non riesce a trovare la forza di affrontare virilmente la realtà, e solo nella natura prova conforto e commiserazione ai tormenti del cuore. Erede dello spirito russoviano, sente disgusto per la società e per le sue convenzioni, ma non sa ribellarsi con la decisione e l'empito dei veri rivoluzionari. Il suo stato d'animo di fondo tra gli estremi del luminoso entusiasmo e del cupo abbattimento, un male dello spirito di quelle generazioni che sarà tipico del romanticismo. La descrizione di questo tipo di personalità e al drammatica conclusione del suicidio ( che è da considerarsi una forma di ripiegamento e di rinuncia di fronte alle contraddizioni e dal dramma dell'esistenza) faranno di Werther un simbolo e in lui si riconosceranno generazioni di giovani.
mercoledì 12 settembre 2018
l'eroe romantico
l'eroe romantico
Il romanticismo, prima ancora di diventare un movimento culturale e letterario, fu uno stato d'animo un sentimento, un modo di atteggiarsi di fronte alla vita e alla società.
Le caratteristiche dell'eroe romantico non presentano grandi variazioni da opera a opera, anche se ciascuno di essi ha una sua nota e un suo motivo particolare : quello che soprattutto li distingue l'uno dall'altro è la peculiarità del linguaggio con cui ciascuno scrittore costruisce il suo personaggio, lo stile con cui gli dà vita e ne determina il profilo e l'atmosfera che lo circonda.
L'eroe romantico è interiormente tormentato da un dramma che spesso non ha nome e che non può trovare soluzione se non nella morte : il tormento interiore lo spinge fuori dalla società nel seno accogliente della natura, ma la solitudine genera malinconia, noia, vuoto. Dall'avversità del destino, dall'incomprensione degli altri e dall'innata irrequieta scontentezza derivano spesso uno spirito torvo di ribellione uno stato di acuta sofferenza, un angoscia sorda e mortale, ma il tormento non di rado è accompagnato da una sorta di dolce voluttà del dolore, da un compiacimento morboso per la propria condizione di vittima. Il paesaggio in cui l'eroe romantico lamenta tra le lacrime la sua sorte infelice è selvaggio cupo e tempestoso : una perfetta rispondenza di toni ne fa l'uno lo specchio dell'altro.
Il primo eroe romantico è Werther (1774) nel quale Goethe trascrive trepidamente la tragica vicenda d'amore dal momento idillico della nascente passione al momento drammatico del distacco. Werther, a cui ispirarono consciamente o inconsciamente tutte le opere successive fu un vero e proprio modello non solo di letteratura ma anche di vita.
In Jacopo Ortis (1802) di Foscolo al dramma dell'amore impossibile si aggiunge il dramma più virile eroico della passione politica delusa e mortificata dall'altrui tradimento e dall'ignavia degli italiani.
Renato (1802) di Chateaubriand, sentendosi estraneo al proprio paese e alla civiltà in cui è nato, porta la sua sofferenza e la sua irrequietudine nell'inconsueta atmosfera di lussureggianti paesaggi esotici che meglio rispondono al bisogno di uno spirito sradicato dal mondo.
Più torbido e mosso, Aroldo (1812) di Byron sfoga il disprezzo per gli uomini e la ribellione alla società con la fuga e l'evasione in paesi stranieri; ma il lungo errare non placa la solitudine che gli pesa nell'animo e il tormento che lo travaglia.
A questi eroi, che in parte precedono l'elaborazione delle teorie romantiche e la costituzione di vere e proprie scuole e correnti poetiche nei vari paesi europei, se ne aggiungeranno altri come Adolfo (1816) di Benjamin Constant, Adelchi (1822) di Manzoni, Eugenio Oneghin (1823-31) di Aleksàndr Puskin. Da questi personaggi deriveranno altre figure che però ci sembrano ormai estranee all'area romantica, anche se ne conservano tratti caratteristici.
Ancora un'osservazione : accanto all'eroe romantico e alla sua languida malattia dell'anima negli stessi anni un'altra figura accese al fantasia e il sentimento : Napoleone, un eroe in più di una generazione di giovani.
Il romanticismo, prima ancora di diventare un movimento culturale e letterario, fu uno stato d'animo un sentimento, un modo di atteggiarsi di fronte alla vita e alla società.
Le caratteristiche dell'eroe romantico non presentano grandi variazioni da opera a opera, anche se ciascuno di essi ha una sua nota e un suo motivo particolare : quello che soprattutto li distingue l'uno dall'altro è la peculiarità del linguaggio con cui ciascuno scrittore costruisce il suo personaggio, lo stile con cui gli dà vita e ne determina il profilo e l'atmosfera che lo circonda.
L'eroe romantico è interiormente tormentato da un dramma che spesso non ha nome e che non può trovare soluzione se non nella morte : il tormento interiore lo spinge fuori dalla società nel seno accogliente della natura, ma la solitudine genera malinconia, noia, vuoto. Dall'avversità del destino, dall'incomprensione degli altri e dall'innata irrequieta scontentezza derivano spesso uno spirito torvo di ribellione uno stato di acuta sofferenza, un angoscia sorda e mortale, ma il tormento non di rado è accompagnato da una sorta di dolce voluttà del dolore, da un compiacimento morboso per la propria condizione di vittima. Il paesaggio in cui l'eroe romantico lamenta tra le lacrime la sua sorte infelice è selvaggio cupo e tempestoso : una perfetta rispondenza di toni ne fa l'uno lo specchio dell'altro.
Il primo eroe romantico è Werther (1774) nel quale Goethe trascrive trepidamente la tragica vicenda d'amore dal momento idillico della nascente passione al momento drammatico del distacco. Werther, a cui ispirarono consciamente o inconsciamente tutte le opere successive fu un vero e proprio modello non solo di letteratura ma anche di vita.
In Jacopo Ortis (1802) di Foscolo al dramma dell'amore impossibile si aggiunge il dramma più virile eroico della passione politica delusa e mortificata dall'altrui tradimento e dall'ignavia degli italiani.
Renato (1802) di Chateaubriand, sentendosi estraneo al proprio paese e alla civiltà in cui è nato, porta la sua sofferenza e la sua irrequietudine nell'inconsueta atmosfera di lussureggianti paesaggi esotici che meglio rispondono al bisogno di uno spirito sradicato dal mondo.
Più torbido e mosso, Aroldo (1812) di Byron sfoga il disprezzo per gli uomini e la ribellione alla società con la fuga e l'evasione in paesi stranieri; ma il lungo errare non placa la solitudine che gli pesa nell'animo e il tormento che lo travaglia.
A questi eroi, che in parte precedono l'elaborazione delle teorie romantiche e la costituzione di vere e proprie scuole e correnti poetiche nei vari paesi europei, se ne aggiungeranno altri come Adolfo (1816) di Benjamin Constant, Adelchi (1822) di Manzoni, Eugenio Oneghin (1823-31) di Aleksàndr Puskin. Da questi personaggi deriveranno altre figure che però ci sembrano ormai estranee all'area romantica, anche se ne conservano tratti caratteristici.
Ancora un'osservazione : accanto all'eroe romantico e alla sua languida malattia dell'anima negli stessi anni un'altra figura accese al fantasia e il sentimento : Napoleone, un eroe in più di una generazione di giovani.
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (1749-1803) è la personalità più "europea" del settecento italiano. Nato ad Asti da una famiglia nobile, dopo una lunga serie di viaggi attraverso Italia, Francia, Inghilterra, Olanda, Prussia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Russia, Spagna e Portogallo, consumati parte da avventure e dissipatezze, parte in contatti umani e culturali e in osservazioni e meditazioni che lasciarono il segno nello spirito inquieto, abbandonò il Piemonte troppo angusto e retrivo per la sua personalità singolarmente vivace e irruente, e si trasferì in Toscana dedicandosi totalmente allo studio e alla letteratura. Scoperta una nativa vocazione per il teatro, compose diciannove tragedie (tra le più note ricordiamo il Saul e La Mirra), che pubblicò a Parigi, dove allora si trovava, nel 1789, l'anno della Rivoluzione. A causa degli eccessi rivoluzionari ne fuggì non senza rischi e difficoltà e ritornò a Firenze, dove più tardi morì e dove fu sepolto nella chiesa di Santa Croce.
Pur vivendo nella seconda metà del Settecento, Alfieri ha una sensibilità già apertamente romantica. Dagli illuministi derivò l'amore per la libertà e l'odio per ogni forma di tirannide, la coscienza della missione civile della letteratura, la polemica contro ogni sopruso e ogni limitazione; ma dell'illuminismo gli mancò soprattutto la fede illimitata nella ragione. Il suo spirito, animato e tormentato da un senso altamente tragico dell'esistenza, fu caratterizzato da intensa e calda passionalità, prorompente e orgogliosa individualità viva commozione di fronte agli spettacoli o grandiosi o orridi della natura, cupo pessimismo amor patrio e coscienza nazionale.
L'ardore di libertà e l'odio per la tirannide fremono in tutte le sue opere, particolarmente nelle tragedie, classiche per la forma ma già romantiche per l'ispirazione, dove questi sentimenti si evidenziano nei personaggi contrapposti della vittima e del tiranno in un clima drammatico teso e concitato : ma ciascuno dei personaggi è intimamente tormentato da un conflitto interiore che ne lacera l'animo e lo chiude in una cupa solitudine. In una produzione alfieriana vive in effetti sempre lo stesso personaggio tragico, che avverte drammaticamente tutte le limitazioni che gli eventi, le situazioni o la società pongono al suo spirito : l'ansia di essere se stesso e il bisogno di libertà fanno sì che egli si ritragga fremente entro se stesso, in una solitudine cupa e scontrosa.
Questo eterno personaggio è anche presente nelle pagine autobiografiche della Vita una autobiografia più del mondo interiore che delle vicende esteriori, da dove abbiamo tratto un breve squarcio significativo, che ci descrive nello stesso tempo un paesaggio inconsueto e grandioso e i sentimenti che esso suscita. Nella distesa ghiacciata del Baltico Alfieri trova una forza ostile che, opponendoglisi con tutta la sua maestosa e solenne imponenza, ne suscita l'ardore pugnace e un titanico empito di lotta. Tra gli uomini e la natura si scatena una sorda e affascinante battaglia in essa lo scrittore ritrova l'energia che anima gli uomini liberi contro i tiranni, e fremente vi si immerge. Anche contro i ghiacci l'unico rimedio sarà un'arma, l'eterna vendicatrice e punitrice di soprusi e violenze, un'ascia che egli brandisce come i suoi personaggi brandiscono un pugnale contro il tiranno.
La prosa alfieriana rivela l'educazione classica e la tormentosa ricerca di uno stile personale ed è caratterizzata da un ritmo rapido senza soste né interruzioni pienamente rispondente alla tensione interiore dello scrittore.
Vittorio Alfieri (1749-1803) è la personalità più "europea" del settecento italiano. Nato ad Asti da una famiglia nobile, dopo una lunga serie di viaggi attraverso Italia, Francia, Inghilterra, Olanda, Prussia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Russia, Spagna e Portogallo, consumati parte da avventure e dissipatezze, parte in contatti umani e culturali e in osservazioni e meditazioni che lasciarono il segno nello spirito inquieto, abbandonò il Piemonte troppo angusto e retrivo per la sua personalità singolarmente vivace e irruente, e si trasferì in Toscana dedicandosi totalmente allo studio e alla letteratura. Scoperta una nativa vocazione per il teatro, compose diciannove tragedie (tra le più note ricordiamo il Saul e La Mirra), che pubblicò a Parigi, dove allora si trovava, nel 1789, l'anno della Rivoluzione. A causa degli eccessi rivoluzionari ne fuggì non senza rischi e difficoltà e ritornò a Firenze, dove più tardi morì e dove fu sepolto nella chiesa di Santa Croce.
Pur vivendo nella seconda metà del Settecento, Alfieri ha una sensibilità già apertamente romantica. Dagli illuministi derivò l'amore per la libertà e l'odio per ogni forma di tirannide, la coscienza della missione civile della letteratura, la polemica contro ogni sopruso e ogni limitazione; ma dell'illuminismo gli mancò soprattutto la fede illimitata nella ragione. Il suo spirito, animato e tormentato da un senso altamente tragico dell'esistenza, fu caratterizzato da intensa e calda passionalità, prorompente e orgogliosa individualità viva commozione di fronte agli spettacoli o grandiosi o orridi della natura, cupo pessimismo amor patrio e coscienza nazionale.
L'ardore di libertà e l'odio per la tirannide fremono in tutte le sue opere, particolarmente nelle tragedie, classiche per la forma ma già romantiche per l'ispirazione, dove questi sentimenti si evidenziano nei personaggi contrapposti della vittima e del tiranno in un clima drammatico teso e concitato : ma ciascuno dei personaggi è intimamente tormentato da un conflitto interiore che ne lacera l'animo e lo chiude in una cupa solitudine. In una produzione alfieriana vive in effetti sempre lo stesso personaggio tragico, che avverte drammaticamente tutte le limitazioni che gli eventi, le situazioni o la società pongono al suo spirito : l'ansia di essere se stesso e il bisogno di libertà fanno sì che egli si ritragga fremente entro se stesso, in una solitudine cupa e scontrosa.
Questo eterno personaggio è anche presente nelle pagine autobiografiche della Vita una autobiografia più del mondo interiore che delle vicende esteriori, da dove abbiamo tratto un breve squarcio significativo, che ci descrive nello stesso tempo un paesaggio inconsueto e grandioso e i sentimenti che esso suscita. Nella distesa ghiacciata del Baltico Alfieri trova una forza ostile che, opponendoglisi con tutta la sua maestosa e solenne imponenza, ne suscita l'ardore pugnace e un titanico empito di lotta. Tra gli uomini e la natura si scatena una sorda e affascinante battaglia in essa lo scrittore ritrova l'energia che anima gli uomini liberi contro i tiranni, e fremente vi si immerge. Anche contro i ghiacci l'unico rimedio sarà un'arma, l'eterna vendicatrice e punitrice di soprusi e violenze, un'ascia che egli brandisce come i suoi personaggi brandiscono un pugnale contro il tiranno.
La prosa alfieriana rivela l'educazione classica e la tormentosa ricerca di uno stile personale ed è caratterizzata da un ritmo rapido senza soste né interruzioni pienamente rispondente alla tensione interiore dello scrittore.
martedì 11 settembre 2018
Jean Jacques Rousseau
Jean Jacques Rousseau
Jean Jacques Rousseau ha un posto tutto particolare nella cultura del settecento. Nato da una umile famiglia a Ginevra nel 1712 e morto in povertà a Parigi nel 1778, ebbe una vita piuttosto travagliata non solo esteriormente per i continui spostamenti tra la nativa Svizzera e la Francia, ma anche interiormente come dimostra il passaggio dal protestantesimo al cattolicesimo e il ritorno al protestantesimo. Nella battagliata contro l'assolutismo Rousseau rifiuta in modo energico la sovranità ai re sostenendo che essa appartiene soltanto al popolo: di qui il particolare significato sociale del suo concetto di democrazia che a ogni altro valore antepone la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini.
Per Rousseau l'uomo è per natura buono, ma la civiltà lo guasta e ne provoca la decadenza : la società dunque con i suoi pregiudizi e le sue ingiustizie è la causa della corruzione e delle sventure umane. Bisogna perciò ritornare allo stato in natura in tutti i campi da quello educativo illustrato nell'Emilio (1762). Anche l'opera letteraria di Rousseau ne riflette il pensiero : ad esempio nel romanzo epistolare La Nuova Eloisa (1761) l'amore è contrastato dai pregiudizi sociali, ai quali si oppone l'esaltazione della rinuncia e della vita semplice e virtuosa. L'opera più tipicamente russoviana sono però Le Confessioni (iniziate nel '66 pubblicate postume nel '82-'89) nelle quali lo scrittore sviluppa con più diretta passionalità l'indagine dei sentimenti, il contrasto tra l'individuo e la società, il fascino della natura, il bisogno di solitudine, l'ansia di pace e di serenità interiore.
Come si vede in Rousseau la voce del sentimento è più importante del richiamo della ragione : per questo la figura anticipa la sensibilità romantica, soprattutto per l'amore appassionato della natura, nel cui seno può trovare pace l'animo tormentato dell'uomo.
Jean Jacques Rousseau ha un posto tutto particolare nella cultura del settecento. Nato da una umile famiglia a Ginevra nel 1712 e morto in povertà a Parigi nel 1778, ebbe una vita piuttosto travagliata non solo esteriormente per i continui spostamenti tra la nativa Svizzera e la Francia, ma anche interiormente come dimostra il passaggio dal protestantesimo al cattolicesimo e il ritorno al protestantesimo. Nella battagliata contro l'assolutismo Rousseau rifiuta in modo energico la sovranità ai re sostenendo che essa appartiene soltanto al popolo: di qui il particolare significato sociale del suo concetto di democrazia che a ogni altro valore antepone la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini.
Per Rousseau l'uomo è per natura buono, ma la civiltà lo guasta e ne provoca la decadenza : la società dunque con i suoi pregiudizi e le sue ingiustizie è la causa della corruzione e delle sventure umane. Bisogna perciò ritornare allo stato in natura in tutti i campi da quello educativo illustrato nell'Emilio (1762). Anche l'opera letteraria di Rousseau ne riflette il pensiero : ad esempio nel romanzo epistolare La Nuova Eloisa (1761) l'amore è contrastato dai pregiudizi sociali, ai quali si oppone l'esaltazione della rinuncia e della vita semplice e virtuosa. L'opera più tipicamente russoviana sono però Le Confessioni (iniziate nel '66 pubblicate postume nel '82-'89) nelle quali lo scrittore sviluppa con più diretta passionalità l'indagine dei sentimenti, il contrasto tra l'individuo e la società, il fascino della natura, il bisogno di solitudine, l'ansia di pace e di serenità interiore.
Come si vede in Rousseau la voce del sentimento è più importante del richiamo della ragione : per questo la figura anticipa la sensibilità romantica, soprattutto per l'amore appassionato della natura, nel cui seno può trovare pace l'animo tormentato dell'uomo.
Gotthold Ephraim Lessing
Gotthold Ephraim Lessing
La battaglia illuministica contro le forme antiquate del pensiero e le strutture oppressive degli stati assoluti in nome di un totale rinnovamento della vita culturale, politica e sociale trova la forma più alta di espressione e di equilibrio in Gotthold Ephraim Lessing (1729-81) , vissuto a più riprese nella città natale di Berlino al tempo di Federico II, il sovrano illuminato amico e amministratore di Voltaire, in un periodo di grande fervore intellettuale, ma anche di guerre (quella dei sette anni) di contrasti di incomprensioni.
Lessing amò la verità però non come possesso sicuro e immutabile, ma come ricerca ininterrotta, perennemente insoddisfatta. Diceva che se Fio gli avesse offerto la verità chiusa nella mano destra e nella sinistra solo l'esigenza di ricercarla anche a prezzo di continui errori, egli avrebbe scelto il dono della mano sinistra perché la pura verità appartiene solo a Dio . Quello che conta no è dunque il possesso della verità, ma il bisogno di essa, la sincerità e la fede con le quali si va costantemente alla ricerca, e una coerente pratica di vita. In un'età in cui si venerò la ragione, ma ci si comportò spesso con incomprensione e intolleranza nei confronti di avversari e nemici (basterà ricordare la durezza di certe polemiche e gli eccessi del Terrore per altro comprensibili nel clima della Rivoluzione) Lessing predicò la tolleranza e la fiducia nella ragione e nel conseguente progresso della civiltà umana, che si può ottenere se gli uomini hanno la forza di comprendersi e di operare in un clima di reciproco amore e rispetto. Questi principi valgono anche per la religione, che pure aveva diviso spesso anche crudamente nei secoli gli uomini per la differenza delle fedi.
Nel Nathan il saggio Lessing riprende con altro spirito una novella del Boccaccio : il Saladino chiede all'ebreo Nathan quale delle tre religioni l'ebraica, la cristiana e la mussulmana sia vera, e Nathan con una parabola gli dimostra che non è possibile saperlo, mentre è possibile giudicare la validità dei principi dai buoni risultati che ne conseguono nella vita pratica. Ogni religione dunque vale per la morale a cui ha saputo dar vita ed ogni uomo deve essere giudicato no per la religione (o per i principi ) che professa, ma per il suo modo di comportarsi e di operare, con spirito di giustizia e di bontà per tutti. Al di sopra delle confessioni religiose Lessing auspica quella religione terrena e laica, feconda di civiltà e di progresso che è la religione dell'umanità e che soltanto la fede nella ragione e a ricerca della verità possono farci raggiungere. In questo consiste la novità e la perennità del suo insegnamento.
Il teatro di Lessing che fu in particolare nel Nathan il saggio un mezzo efficace per dibattere e diffondere delle idee. Attraverso il dialogo noi assistiamo alla progressiva conquista e affermazione di una verità : infatti i due interlocutori rendono concreto in tutti i suoi aspetti e momenti il procedimento razionale per affrontare il problema della religione. Dal dubbio sulla verità si passa alla scelta della parabola come approccio figurato a giungere alla soluzione superando obiezioni e osservazioni fino al convincimento concretamente espresso dal Saladino.
La battaglia illuministica contro le forme antiquate del pensiero e le strutture oppressive degli stati assoluti in nome di un totale rinnovamento della vita culturale, politica e sociale trova la forma più alta di espressione e di equilibrio in Gotthold Ephraim Lessing (1729-81) , vissuto a più riprese nella città natale di Berlino al tempo di Federico II, il sovrano illuminato amico e amministratore di Voltaire, in un periodo di grande fervore intellettuale, ma anche di guerre (quella dei sette anni) di contrasti di incomprensioni.
Lessing amò la verità però non come possesso sicuro e immutabile, ma come ricerca ininterrotta, perennemente insoddisfatta. Diceva che se Fio gli avesse offerto la verità chiusa nella mano destra e nella sinistra solo l'esigenza di ricercarla anche a prezzo di continui errori, egli avrebbe scelto il dono della mano sinistra perché la pura verità appartiene solo a Dio . Quello che conta no è dunque il possesso della verità, ma il bisogno di essa, la sincerità e la fede con le quali si va costantemente alla ricerca, e una coerente pratica di vita. In un'età in cui si venerò la ragione, ma ci si comportò spesso con incomprensione e intolleranza nei confronti di avversari e nemici (basterà ricordare la durezza di certe polemiche e gli eccessi del Terrore per altro comprensibili nel clima della Rivoluzione) Lessing predicò la tolleranza e la fiducia nella ragione e nel conseguente progresso della civiltà umana, che si può ottenere se gli uomini hanno la forza di comprendersi e di operare in un clima di reciproco amore e rispetto. Questi principi valgono anche per la religione, che pure aveva diviso spesso anche crudamente nei secoli gli uomini per la differenza delle fedi.
Nel Nathan il saggio Lessing riprende con altro spirito una novella del Boccaccio : il Saladino chiede all'ebreo Nathan quale delle tre religioni l'ebraica, la cristiana e la mussulmana sia vera, e Nathan con una parabola gli dimostra che non è possibile saperlo, mentre è possibile giudicare la validità dei principi dai buoni risultati che ne conseguono nella vita pratica. Ogni religione dunque vale per la morale a cui ha saputo dar vita ed ogni uomo deve essere giudicato no per la religione (o per i principi ) che professa, ma per il suo modo di comportarsi e di operare, con spirito di giustizia e di bontà per tutti. Al di sopra delle confessioni religiose Lessing auspica quella religione terrena e laica, feconda di civiltà e di progresso che è la religione dell'umanità e che soltanto la fede nella ragione e a ricerca della verità possono farci raggiungere. In questo consiste la novità e la perennità del suo insegnamento.
Il teatro di Lessing che fu in particolare nel Nathan il saggio un mezzo efficace per dibattere e diffondere delle idee. Attraverso il dialogo noi assistiamo alla progressiva conquista e affermazione di una verità : infatti i due interlocutori rendono concreto in tutti i suoi aspetti e momenti il procedimento razionale per affrontare il problema della religione. Dal dubbio sulla verità si passa alla scelta della parabola come approccio figurato a giungere alla soluzione superando obiezioni e osservazioni fino al convincimento concretamente espresso dal Saladino.
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