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mercoledì 3 ottobre 2018

sturm und drang

Surm und drang


Tra il 1770 e 1780, e cioè negli anni che vedono la rivoluzione americana e preparano la rivoluzione francese, si sviluppò in Germania un movimento che dal titolo di un dramma di Max Klinger prese il nome di Sturm un Drang (tempesta e assalto) e raccolse un gruppo di poeti nati intorno al 1750, appassionati lettori di Rousseau, da cui  appresero l'esaltazione della spontaneità  naturale, del sentimento  e della passione contro la fredda razionalità dell'illuminismo: la loro rivolta in nome della libertà  e in odio alla tirannia fu un'esasperata manifestazione di individualismo irrazionale e di ribellione titanica. Allo  Sturm un Drang appartengono le opere giovanili  di Goethe e di Schiller.
Il circolo di Weimar (1786 1805 ) animato dalle prestigiose figure di Goethe e di Schiller rappresenta il passaggio tra le generazione pre-rivoluzionarie e post rivoluzionarie : l'empito  e la passionalità proprie dello  spirito romantico si placano in una visione più pacata e serena, di  derivazione classica. Però, mentre il classicismo  goetiano deve essere considerato un superamento del romanticismo, il mito ellenico che rivive nell'opera di Ho"ldering è una particolarissima espressione dell'anelito romantico  verso l'assoluto e il divino  che permeano misticamente il tutto  e animano la stessa storia dell'umanità.
Il romanticismo vero e proprio si sviluppò a Jena tra il 1797 e il 1805  attorno alla rivista Athenaum ed ebbe carattere prevalentemente teorico e critico; ad essa è collegata la poesia di Novalis.
La seconda scuola romantica (1805-1815) ebbe come centri Heidelberg e Berlino e può annoverare tra i suoi rappresentanti la figura singolare come Chamisso.
La scuola sveva segna la fine del sentimentalismo romantico e corrisponde all'età della restaurazione : a questo gruppo  può esser considerato vicino ad Heine, che interpreta e conclude gli aspetti estremi del romanticismo tedesco.

martedì 2 ottobre 2018

il romanticismo

il romanticismo

il romanticismo è un complesso movimento culturale che ha le sue origini  nell'opera di rinnovamento spirituale e di liberazione civile e politica iniziata nel settecento con l'illuminismo e la rivoluzione francese, e che si diffuse in Europa nell'ottocento  caratterizzandone tutti gli aspetti della vita e dell'arte. I romantici, esaltando l'impeto della passionalità e la forza irresistibile del sentimento si oppongono alla freddezza astratta della ragione celebrata dall'illuminismo; ma in effetti il romanticismo deve essere considerato il naturale sviluppa di quel movimento culturale che aveva messo in crisi le strutture spirituali e politiche della vecchi Europa assolutista e aveva trovato compimento e diffusione nella rivoluzione francese.

In nome dell'autenticità del sentimento romantico si oppose alle regole e ai modelli del classicismo aveva imposto alla letteratura e all'arte: alla lirica dei poeti dotti e raffinati si preferisce la poesia ingenua e schietta delle leggende e dell'epica popolare, ai miti classici le storie fantastiche e le eroiche vicende medievali. Ma quel ritorno nostalgico al mondo classico che fu chiamato neoclassicismo e che rappresentò il gusto  dell'Europa al tempo di Napoleone, in realtà contiene molte anticipazioni  del nascente gusto romantico, come il dramma interiore che sconvolge l'anima e l'ansia di un'impossibile serenità  e pace spirituale che il mito dell'Ellade sembrava offrire a che vi si abbandonasse in un sogno a ritroso nel tempo evadendo dalla dolorosa realtà del presente.

Le prime manifestazioni della nascente sensibilità romantica, anticipata in tutta Europa da atteggiamenti e motivi che rientrano nel così detto preromanticismo settecentesco, si ebbero in Germania verso la fine del settecento  con l'esaltazione della libertà  nel senso più vasto  del termine e con la ribellione contro ogni sorta di vincolo o di soggezione materiale o spirituale. Affinità di esigenze intellettuali, di sensibilità e di condizioni civili e politiche estesero  questo movimento  agli altri paesi europei e fecero dell'età del romanticismo  non solo l'età dei drammi interiori oscillanti tra passione e languore, ma anche l'età dei vari risorgimenti nazionali, delle lotte per la libertà dei popoli  e per l'affrancamento dell'uomo da quanto lo schiaccia e lo umilia. L'uomo vive e lotta per gli ideali: e la sua è una tensione eroica che non conosce ostacoli né difficoltà. La vita è lotta e sacrificio e gli ideali acquistano maggior forza e significato dalla fede in essi e dallo spirito  con cui  si affrontano le difficoltà  che ne impediscono la realizzazione. Naturalmente la passione d'amore in questa drammatica concezione della vita ha una grande parte, ma anch'essa è continuamente sottoposta all'usura di ostacoli d'ogni genere che si trasforma in sogno irrealizzabile. Infine il senso della morte così vivo  in tante pagine romantiche, è in un certo senso dedizione senza riserve  a ciò che anima il sentimento  e riempie il cuore e la mente caratterizzano la civiltà romantica; e sullo sfondo di tutti i motivi poetici  campeggia la natura nella quale l'uomo riflette e ritrova se stesso. Spirito impetuoso di rivolta contro ogni forma di limite o di costrizione ed esasperato individualismo  si ritrovano tnato nei poeti quanto nei protagonisti delle loro opere: si tratta sempre di figure di eccezione, di anime belle dall'esistenza turbinosa  e affascinante o tormentose vicende.
Sconfitti dalla vita, si levano su di essa per ricchezza spirituale e intensità di motivazioni ideali.

L'eroico e purissimo fremito di libertà che ciascun individuo vive nel proprio  intimo trova il suo compimento nella società che pur lo limita e nella nazione di cui si sente parte integrante come uomo e come cittadino  identificandosi con la storia e con i sentimenti  del popolo cui apparitene: in questo modo la libertà che egli ama in astratto  diventa un ideale concerto e gli dà  la dimensione della società civile, della nazione,  della patria, dell'umanità  facendogli superare le inevitabili angustie dell'individualismo.
L'ardore di libertà  e il rifiuto di ogni costrizione e limite si esprimono anche con l'anelito dell'infinito  che riflette l'infinità dello spirito, a cui la realtà limitata e opaca dà un senso di soffocamento e di grigiore.
La contemplazione  della natura libera e sconfinata fa sentire all'uomo il limite angusto e mortificante della realtà  e lo invita con il suo fascino misterioso a lasciarsi immergere e annegare nell''infinito  di cui essa è vivente e vivificante immagine. Uomo e natura sono per così dire due aspetti di una stessa realtà spirituale e perciò nella natura  l'uomo si rispecchia e si effonde confinandole dolori e ansie e ricevendone comprensione e conforto, in un colloquio muto e intenso.

Il dramma dell'uomo e il suo mortificato e inappagato anelito alla realizzazione degli ideali e alla felicità trovano eco e si riflettono  nella natura sconvolta e tormentata, i cui aspetti dolci e sereni possono invece appagare e acquietare ansie dissidi dell'anima.
Inoltre la contemplazione di spettacoli naturali tempestosi e cupi spesso suggerisce il senso della caducità, della morte, della solitudine, del tempo che trascorre verso il nulla. Nel vuoto dell'anima il culmine della tristezza e dell'angoscia sprofonda l'uomo nella noia e nella coscienza che utto è vano e che solo il nulla esiste : sono momenti più desolati  della sensibilità romantica, quando si percepisce solo la voce della disperazione, senza possibilità di conforto.
Il dissidio tra ideali e realtà, che resta comunque il motivo centrale del dramma romantico, si risolve sempre con l'affermazione diretta o indiretta del valore assoluto degli ideali che trascendono la realtà e non ne patiscono l'angoscia limitatezza.
La condanna della realtà si manifesta col rifiuto del presente  e la fuga nel desiderio nel sogno, nell'irreale, nel mistero, nel fantastico, nell'incorrotta natura, oppure  nel passato, cioè  in un tempo che come il medioevo conobbe gentilezza e libertà, amore e gioia, ardore eroico e senso dell'onore; ma la più singolare evasione dalla realtà deludente e oppressiva si ebbe, riprendendo motivi e climi del neoclassicismo  col ritorno al mito di Ellade e alla sua serena civiltà di luminosa bellezza e di interiore armonia. In questo modo anche nel romanticismo fu possibile il recupero dei valori della classicità  di cui qualche poeta come Goethe, uno dei più grandi e significativi riuscì a operare una sintesi con i problemi e la sensibilità del mondo romantico. La civiltà nel suo trascorrere non cancella mai il passato ma lo supera e lo rivive da una nuova prospettiva di valori e atteggiamenti

lunedì 1 ottobre 2018

stendhal

Stendhal

Stendhal pseudonimo di Henri Beyle (1783-1842) , nato a Grenoble seguì con entusiasmo l'armata napoleonica in Italia che poi elesse a sua patria di elezione: qui infatti, a Milano, rimase alla caduta dell'imperatore, avendo contatti con i circoli romantici e con i gruppi carbonari. Dopo l'accento di Luigi Filippo fu nominato  console francese a Civitavecchia. Morì  a Parigi. Cronologicamente  e culturalmente egli appartiene al romanticismo, ma il suo  è un romanticismo fortemente  storicistico e progressivo di derivazione apertamente illuministica. Stendhal è considerato il fondatore del moderno realismo: infatti rappresenta l'uomo all'interno della società  che ne condiziona le idee e le passioni. Affascinato dal periodo  eroico della rivoluzione e dell'impero sdegnò i meschini interessi e i giochi di potere del periodo successivo, che condannò apertamente. I suoi romanzi più famosi sono Il rosso e il nero (1830) e La Certosa di Parma.
L'atteggiamento realistico di fronte alla realtà si manifesta nel linguaggio che rifiuta il lirismo e ma magniloquenza del romanticismo alla Chateaubriand e alla Hugo per attenersi a una singolare sobrietà  e imparzialità nella descrizione delle vicende e dei sentimenti: ne deriva una sorta di esattezza impersonale, di tipo cronachistico da codice civile come egli paradossalmente definì il proprio stile.
Per questo motivo Stendhal ai suoi tempi non fu compreso ma influenzò grandi scrittori  realistici come Balzac e Tolstoj possiamo dunque collocarlo a metà strada tra romanticismo e realismo.

venerdì 28 settembre 2018

il mito di Napoleone nell'età della restaurazione

il mito di Napoleone nell'età della restaurazione

I giovani nati al tempo della rivoluzione o di Napoleone furono gli spiriti che maggiormente patirono l'età della restaurazione : per loro l'Imperatore  restava un mito abbagliante  di cui si dovevano accontentare di ricevere una luce riflessa attraverso i ricordi e i racconti dei genitori. Una luminosa stagione di gloria li aveva sfiorati,  ma non raggiunti, e perciò  più grande era la delusione che provavano e insieme l'insoddisfazione  che li angosciava. Il presente  ai loro occhi si presentava piatto e mortificante, non aveva per i loro cuori  nessuna attrattiva non offriva né ideali né sogni né speranze gettandoli nel vuoto opaco  della malinconia  e della noia : la malattia romantica  comincia a insinuarsi negli spiriti  più sensibili  e a tormentarli. Ma l'assenza degli ideali  può spingere gli spiriti desiderosi  di affermarsi ad agire senza scrupoli adattandosi al mutamento dei tempi in una società avida di successo e di guadagni.
Stendhal e De Musset ci hanno lasciato pagine indimenticabili in cui si riflette  lo stato d'animo con cui il mito di Napoleone  è rivissuto nel periodo della restaurazione : ma mentre Stendhal nato nel 1783  aveva preso parte alle campagne d'Italia e di Russia, il più giovane De Musset del 1810, appartiene per formazione ed esperienza diretta ad un periodo culturale e politico successivo. Di qui il diverso atteggiamento dei due scrittori.

giovedì 27 settembre 2018

il cinque maggio - Manzoni

il cinque maggio - Manzoni

La morte di Napoleone riportò alla mente di tutti le imprese dell'imperatore e riaccese le polemiche tra chi ne proclamava la grandezza e chi ne infangava la memoria. Napoleone non è più: attonito commosso  il mondo pensa alla sua ultima ora e si domanderà se nascerà uno spirito altrettanto grande. Il poeta  che ne ha seguito le alterne vicende della vita senza unire la sua alle mille voci  ora servilmente plaudenti  ora codardamente oltraggiose, di fronte alla morte prova un'intensa commozione ed innalza sulla sua tomba  un inno forse immortale. La sua ispirazione non è politica ma intensamente religiosa : i posteri giudicheranno  le imprese e la gloria di Napoleone egli invece si limita a chinarsi a Dio che volle stampare nello spirito di Napoleone un'orma così grande della sua potenza.
Il suo destino infatti non fu comune; egli provò tutto : raggiunse l'inebriante potenza e soffrì il più squallido esilio. Di tutta la vicenda  napoleonica l'umanissima sensibilità del poeta, che con cristiana pietà  si accosta a chi soffre, si sofferma a considerare non il momento della gloria ma il periodo della desolazione nella solitudine di Sant'Elena: la sofferenza che riscatta ogni colpa risveglia il nostro spirito di carità  e ci induce a meditare sul destino umano  e sulla invisibile presenza di Dio  che governa ogni cosa.
Nel silenzio e nell'abbandono di sant'Elena Napoleone trovò la fede: il confronto tra l'esaltante passato  e il desolato presente lo  avrebbe gettato nella disperazione se il pensiero di Dio  non lo avesse consolato aprendogli il cuore: le cose della terra e le sue effimere glorie perdono valore di fronte al cielo perché solo in esso riposa una vera e sicura speranza. Così Dio scese a confortare Napoleone morente  ormai purificato dalla sofferenza e redento dal dolore. Alla sua tomba  dunque gli uomini  devono rivolgersi  con cristiano pensiero  di rispetto e di meditazione.
Dalla umana e terrena vicenda napoleonica esce vittoriosa la Fede trionfatrice sulle glorie e sui dolori  tanto degli uomini comuni quando di quelli spiritualmente più ricchi e perciò più soggetti  secondo il pensiero romantico  all'esaltazione e all'abbattimento.


Opere varie Manzoni 1881-695.1.png


IL CINQUE MAGGIO

ode.
Opere varie Manzoni 1881-695.2.png




Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita 5
La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale10
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,15
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:

Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,20
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.


Dall’Alpi alle Piramidi,25
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.30

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza
: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito35
Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;

Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio
,
La fuga e la vittoria,45
 La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.60

Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere65
Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;90

E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre95
La gloria che passò.


Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!

Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,105
Che affanna e che consola
,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.108



 Nella lirica manzoniana si contrappongono  due interpretazioni  della figura di Napoleone : come mito romantico di personalità d'eccezione e come testimonianza della concezione cristiana della storia.
Ci troviamo di fronte ad un momento epico e ad un momento  riflessivo che di diversificano anche sul piano stilistico.
Il momento epico appare scandito anzitutto da alcuni usi verbali che si ripetono  in successione : l'Ei fu iniziale è ripreso da tutto Ei provò  Ei si nomò ecc.
Intorno a questa linea si dispongono altre strutture ricorrenti : le sequenze di asindeti  da cui sono collegate le serie incalzanti delle imprese ( Dall'Alpi alle piramidi ) la frequenza di costruzioni per iperbato ( Lui folgorante in solio ) le contrapposizioni ( la fuga e la vittoria )
IL punto di svolta dell'ode il passaggio dal momento epico a quello riflessivo  è segnato  da una variazione dell'uso verbale fondamentale : E sparve  e i dì dell'ozio ... d'ora in poi ei scomparve dall'ode, Napoleone  cessa di essere il gigante che incombeva su tutta la storia umana diventa figura elegiaca colta nella sua interiorità ( stette ......; e ripensò ..... ; cadde lo spirto  anelo e disperò). E dopo l'annuncio  sparve, a segnare una pausa  di stacco tra il tmepo incalzante delle vicende epiche e quello fermo della meditazione si colloca l'unica ampia similitudine come sul capo al naufrago ...

il giovine eroe - Foscolo

il giovine eroe - Foscolo

L'entusiasmo di Foscolo per Napoleone venne meno dopo il trattato di Campoformio. Nel 1799 il poeta ripubblicò l'ode Bonaparte liberatore premettendole una lettera nella quale esortava Napoleone a non dimenticarsi la libertà che aveva portato ai popoli  e a meditare che, se l'avesse tradita per diventare un tiranno, il suo nome sarebbe infamato per l'eternità.
Il tormento per la passione politica delusa, anima, come si è visto le Ultime lettere di Jacopo Ortis : in esse si può leggere la pagina ferocemente antinapoleonica che riproduciamo.
Nella lettera del 17 marzo 1798 Jacopo sfoga con asprezza il suo sdegno contro Napoleone. Molti si fidano ancora di lui, ma non Jacopo, cioè Foscolo, il quale non può non diffidare di chi ha rivelato  animo volgare e crudele, ha deluso  con vile astuzia le speranze dei patrioti , ha sottoscritto una costituzione democratica per Venezia pur avendo  già ceduto la città agli Austriaci. Le leggi egoistiche della politica hanno ormai abituato gli uomini  ai vergognosi trattati che vendono i popoli come se fossero branchi di pecore, ma questo  pensiero non può consolare  che ha preso  la patria e ne piange il turpe tradimento. Non si dica che Napoleone è italiano di origine e quindi un giorno aiuterà la sua terra : Napoleone è un tiranno  e i tiranni non hanno patria.
E' una pagina ferma e polemicamente  efficace, ispirata da una sincera passione politica, da un dolente amor patrio e da un profondo risentimento morale.

"Moltissimi intanto si fidano nel Giovin Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io  da un animo basso e crudele, non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace ?  Sì basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta generosa ferocia ? Selim I che fece scannare sul Nilo  trenta mila guerrieri Circassi  arresisi alla sua fede, e Nadir Schah che nel nostro secolo  trucidò trecento mila indiani, sono più atroci  bensì meno spregevoli. Vidi con gli occhi miei una costituzione democratica postillata dal Giovin Eroe, postillata di mano sua, e mandata  da Passeriano a Venezia perché l'accettasse; e il trattato di Campoformio  era già  più giorni firmato e Venezia era trafficata, e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tutti ha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni e d'esili. - Non accuso la ragion di stato che vende, come branchi di pecore, le nazioni : così  fu sempre, e così sarà : piango la patria mia,
                                                  che mi fu tolta e il modo ancor m'offende
- Nasce italiano, e soccorrerà  un giorno alla patria : altri sel creda; io risposi e risponderò sempre  :
- la Natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria; e non l'ha.

mercoledì 26 settembre 2018

Bonaparte liberatore - Foscolo

Bona parte liberatore - Foscolo

I versi di Foscolo tratti dall'ode Bonaparte liberatore scritta  nel maggio del 1797 e stampata a pubbliche spese per decreto della Giunta di difesa generale della Repubblica cispadana come ricorda l'autore, nell'atmosfera ardente di entusiasmo  suscitato  dalle strepitose vittorie di Napoleone che con la sua prima  campagna in Italia sbaragliò l'esercito sardo costrinse alla resa l'imperatore e dette vita alla Cispadana e ad altre repubbliche democratiche a imitazione della repubblica francese.
In questo periodo e in questa lirica Napoleone appare il campione della libertà contro la tirannide. L'ode esaltazione nello stesso tempo della libertà e di Napoleone ha una struttura nel gusto neoclassico del tempo e riflette la formazione  letteraria del poeta.
Dall'ode piuttosto lunga e pesante riportiamo pochi versi quelli nei quali la raffigurazione di Napoleone, malgrado  l'apparato retorico completamente estraneo al nostro gusto e alla nostra sensibilità, rivela pienamente l'entusiasmo e l'adesione del giovane Foscolo fremente di sincero ardore di libertà  per essa come sappiamo ha già dovuto esulare dall'amata Venezia e allontanarsi dalla adorata madre e dagli amici. Per comprendere meglio il testo si ricordi che nell'ode il poeta si rivolge direttamente alla libertà.

BONAPARTE LIBERATORE


[...]
E guerrier veggo di fiorente alloro
Cinto le bionde chiome
Su cui purpuree tremolando vanno
Candide azzurre piume; egli al tuo nome
Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
Senno de' suoi corsier governa il morso 
Ardir li 'ncalza e de' marziali il coro
Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno
In aer librate con perpetuo corso
Sorte, Vittoria, e Fama.
[...]
Deh ! mira, come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace
Per disperazion fatta secura :
E furor matto e improvida paura
Le movi  intorno di rapace guerra ? [...]
Ma tu, feroce Dea, non badi e passi
E a tuon de' bronzi e al fuminar tremendo
E a l'ululo guerrier perndonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
Del tuo giovin Campion splende la lancia;
Tutto trema e si prostra anzi i suoi passi,
E l'Aquila  real fugge stridendo
Ferita ne le penne e ne la pancia.
Gallia intuona  e diffonde
Di libertade il nome
E mare e cielo Libertà risponde :
l'Angel di morte per le imbelli chiome
Squassa ed ostende coronata la testa :
Liberà ! grida a le provincie dome.