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martedì 24 settembre 2019

la preghiera di Carlo Porta

la preghiera di Carlo Porta

E' una finissima satira della boria aristocratica mascherata da pio zelo religioso, donna Fabia Fabroni di Fabriano racconta a don Sigismondo, un ex frate francescano  che l'ascolta pazientemente in  attesa che il riso  finisca di cuocere, quanto le era successo il giorno prima : sulla soglia della chiesa per evitare un prete sporco e unto , era caduta tra I lazzi e il dileggio dei presenti ; rialzatasi  era solennemente entrata in chiesa e aveva rivolto a Dio una sua preghiera a Dio la sua preghiera anche per quella plebaglia di pezzenti, ai quali poi, uscendo, aveva fatto, per umiliarli , pubblicamente l'elemosina.
Il personaggio è caratterizzato con un'arte equilibrata e sopraffina; ne balzano evidenti  l'albagia, la superbia, l'avarizia, l'ottusità, la vanagloria, la presunzione la stupidità e il ridicolo. Dietro la figura di donna Fabia si intravede una società vacua e moralmente corrotta : l'ironia saporosa e graffiante del Porta manifesta insieme sdegno e commiserazione per tanta bassezza morale, per una mentalità tanto insensibile e ormai in rovinoso sfacelo materiale e spirituale

metro  sestine di endecasillabi rimati ab abcc

Donna Fabia Fabron de Fabrian
l'eva settada al foeugh sabet passaa
col pader Sigismond ex franzescan,
che intrattant el ghe usava la bontaa
(intrattanta, s'intend, che el ris coseva)
de scoltagh sto discors che la faseva.

Ora mai anche mì don Sigismond
convengo appien nella di lei paura
che sia prossima assai la fin del mond,
chè vedo cose di una tal natura,
d'una natura tal, che non ponn dars
che in un mondo assai prossim a disfars.

Congiur, stupri, rapinn, gent contro gent,
fellonii, uccision de Princip Regg,
violenz, avanii, sovvertiment
de troni e de moral, beffe, motegg
contro il culto, e perfin contro i natal
del primm Cardin dell'ordine social.

Questi, don Sigismond, se non son segni
del complemento della profezia,
non lascian certament d'esser li indegni
frutti dell'attual filosofia;
frutti di cui, pur tropp, ebbi a ingoiar
tutto l'amaro, come or vò a narrar.

Essendo ieri venerdì de marz
fui tratta dalla mia divozion
a Sant Cels, e vi andiedi con quell sfarz
che si adice alla nostra condizion;
il mio copé con l'armi, e i lavorin
tanto al domestich quanto al vetturin.

Tutte le porte e i corridoi davanti
al tempio eren pien cepp d'una faragin
de gent che va, che vien, de mendicanti,
de mercadanti de librett, de immagin,
in guisa che, con tanto furugozz,
agio non v'era a scender dai carrozz.

L'imbarazz era tal che in quella appunt
ch'ero già quasi con un piede abbass,
me urtoron contro un pret sì sporch, si unt
ch'io, per schivarlo e ritirar el pass,
diedi nel legno un sculaccion si grand
che mi stramazzò in terra di rimand.

Come me rimaness in un frangent
di questa fatta è facil da suppôr:
e donna e damma in mezz a tanta gent
nel decor compromessa e nel pudôr
è più che cert che se non persi i sens
fu don del ciel che mi guardà propens.

E tanto più che appena sòrta in piè
sentii da tutt i band quej mascalzoni
a ciuffolarmì  dietro il va via vè!
Risa sconc, improperi, atti buffoni,
quasi foss donna a lor egual in rango,
cittadina... merciaja... o simil fango.

Ma, come dissi, quel ciel stess che in cura
m'ebbe mai sempre fino dalla culla,
non lasciò pure in questa congiuntura
de protegerm ad onta del mio nulla,
e nel cuor m'inspirò tanta costanza
quant c'en voleva in simil circostanza.

Fatta maggior de mi, subit impongo
al mio Anselm ch'el tacess, e el me seguiss,
rompo la calca, passo in chiesa, giongo
a' piedi dell'altar del Crocifiss,
me umilio, me raccolgh, poi a memoria
fò al mio Signor questa giaculatoria:

Mio caro buon Gesù, che per decreto
dell'infallibil vostra volontà
m'avete fatta nascere nel ceto
distinto della prima nobiltà,
mentre poteva a un minim cenno vostro
nascer plebea, un verme vile, un mostro:

io vi ringrazio che d'un sì gran bene
abbiev ricolma l'umil mia persona,
tant più che essend le gerarchie terrene
simbol di quelle che vi fan corona
godo così di un grad ch'è riflession
del grad di Troni e di Dominazion.

Questo favor lunge dall'esaltarm,
come accadrebbe in un cervell leggier,
non serve in cambi che a ramemorarm
la gratitudin mia ed il dover
di seguirvi e imitarvi, specialment
nella clemenza con i delinquent.

Quindi in vantaggio di costor anch'io
v'offro quei preghi, che avii faa voi stess
per i vostri nimici al Padre Iddio:
Ah sì abbiate pietà dei lor eccess,
imperciocchè ritengh che mi offendesser
senza conoscer cosa si facesser.

Possa st'umile mia rassegnazion
congiuntament ai merit infinitt
della vostra acerbissima passion
espiar le lor colpe, i lor delitt,
condurli al ben, salvar l'anima mia,
glorificarmi in cielo, e così via.

Volendo poi accompagnar col fatt
le parole, onde avesser maggior pes,
e combinare con un po' d'eclatt
la mortificazíon di chi m'ha offes
e l'esempio alle damme da seguir
ne' contingenti prossimi avvenir,

sòrto a un tratt dalla chiesa, e a quej pezzent
rivolgendem in ton de confidenza,
Quanti siete, domando, buona gent?...
Siamo ventun, rispondon, Eccellenza!
Caspita! molti, replico,... Ventun?...
Non serve: Anselm?... Degh on quattrin per un.

Chì tas la Damma, e chì Don Sigismond
pien come on oeuv de zel de religion,
scoldaa dal son di forzellinn, di tond,
l'eva lì per sfodragh on'orazion,
che se Anselm no interromp con la suppera
vattel a catta che borlanda l'era!
 

martedì 17 settembre 2019

Carlo Porta

Carlo Porta

Carlo Porta (1775-1821) trascorse la vita nella nativa Milano, coltivando al poesia dialettale con un forte impegno  sociale e civile, che da una parte lo riallaccia a Parini e dall'altra lo colloca nel clima del primo romanticismo a cui aderì appassionatamente. L'impiego pubblico che esercitò lo mise quotidianamente in contatto con gente di ogni ceto, ma soprattutto con I poveri, di cui potè conoscere bisogni e sentimenti. la sua poesia da una parte denuncia con profondo sdegno diretti e soprusi degli aristocratici, dall'altra descrive con spirito di commossa partecipazione miserie materiali e spirituali dei poveri e degli oppressi. Il dialetto gli consente una immediatezza e una spontaneità che, pur rasentando talvolta la brutalità realistica, servono ad esprimere con maggior calore e verità tanto la ripulsa morale quanto la solidarietà umana.