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lunedì 27 maggio 2019

la sera del dì di festa - Leopardi

La sera del dì di festa - Leopardi

E' una dolce notte lunare : il poeta ripensa a una fanciulla, che certo in quell'ora dorme serenamente, ignorando l'amore che gli ha suscitati nel cuore. Di fronte alla natura bella e luminosa, il Leopardi lamenta la sorte che lo ha fatto nascere solo per il dolore, negandogli il dono della speranza. Ad altri forse la fanciulla potrà pensare in sogno, certamente non a lui. Intanto nel silenzio si ode il canto di un artigiano che se ne torna a casa : è un canto che lentamente svanisce e poi scompare. Così, pensa il poeta, è il destino di tutte le cose umane; infatti sono passate anche le glorie e I fragori degli antichi imperi. Come può sperare che una cosa tento meno grande e importante, qual è' il sentimento d'amore nato nel cuore, non debba anch'essa svanire ?  Già da fanciullo, quando nella notte seguente al tanto atteso giorno di festa udiva il canto spegnersi poco a poco in lontananza egli provava la stessa angoscia di ora : segno di questo che già da allora nel suo animo albergava il senso della caducità d'ogni cosa, della vanità dei sogni  delle illusioni  per lui pur troppo senza speranza e del dolore che lo avrebbe accompagnato tutta la vita


                                     La sera del dì di festa


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

“La sera del dì di festa”: la parafrasi

La notte è serena, mite, e non c’è vento
mentre la luce lunare illumina quieta tetti
e giardini, rendendo nitida da lontano
ogni montagna. O mia donna, ormai ognuna delle vie
del borgo è silenziosa, mentre la lampada notturna
manda una fioca luce dai balconi:
tu dormi, dato che il sonno conciliante
ti ha rapidamente accolto nelle tue silenziose stanza; non c’è
nessuna preoccupazione che ti angoscia; e nulla sai
né ci pensi alla ferita che hai procurato al mio cuore.
Dormi; io mi affaccio per salutare il cielo,
che sembra così benevolo guardandolo, e la natura
eterna e onnipossente, che mi ha messo al mondo
perché io soffrissi. Mi disse: a te nego anche la speranza medesima,
e i tuoi occhi
non dovranno brillare se non per le lacrime.
Questa è stata una giornata di festa e ora tu ti riposi
dai divertimenti; e forse in sogno ti torna in mente
a quanti oggi sei piaciuta, e quanti
sono piaciuti a te: sicuramente non ci sono io a ricorrere nei tuoi pensieri,
né mi illudo che questo possa succedere. Intanto mi chiedo
quanto mi rimanga da vivere, e mi butto, urlo,
e fremo in questa mia stanza.
Oh, giorni tremendi dell’età giovanile! Ahi, per strada
odo il canto solitario non distante
dell’artigiano, che torna tardi la notte,
dopo piaceri e divertimenti, alla sua casa misera;
e il mio cuore si stringe in maniera feroce e dolorosa,
al pensiero di come tutto il mondo sia transitorio,
non lasciando quasi nessuna traccia di sé. Ecco
anche il giorno di festa è passato, e a questo segue
il giorno ordinario, e trascina tutti gli avvenimenti umani con sé.
Dove sta ora il suono di quegli
antichi popoli? Dove si trova ora la voce
dei nostri celebri antenati che si leva alta, e il grande
impero di Roma, e il fragore delle armi,
che attraversò sia le terre che gli oceani?
Tutto quanto è pace e silenzio, e tutto il mondo
si riposa, nè si ha più alcuna memoria di loro.
Nel corso della mia gioventù, quando si aspettava
con febbrile desiderio l’arrivo del giorno festivo,
dopo che era passato, io, insonne e sofferente,
rimanevo a letto disteso; e a notte fonda
si udiva un canto smorzarsi
allontanandosi poco alla volta per i sentieri,
nella stessa maniera di oggi il mio cuore soffocava.

venerdì 17 maggio 2019

verbi copulativi

APPELLATIVI
    ESTIMATIVI
ELETTIVI
EFFETTIVI
chiamare credere scegliere essere
dire                         eleggere apparire
soprannominare stimare nominare sembrare
dichiarare considerare creare diventare

giudicare
rivelarsi

ritenere
mostrarsi



riuscire
 tutti questi verbi sono verbi copulativi che reggono il complemento predicativo del soggetto o oggetto


I verbi copulativi sono quelli che non hanno un significato autonomo, ma ne acquistano uno in presenza di un sostantivo o un aggettivo.
Il verbo copulativo per eccellenza è il verbo essere, ma ce ne sono altri come -->

sembrare, parere, risultare, stare, restare, rimanere, diventare, divenire, nascere, morire, vivere

In analisi logica, col verbo copulativo si forma il predicato nominale
[leggete qui un approfondimento della Treccani perché sulla questione predicato nominale/predicativo del soggetto ci sono diverse scuole di pensiero, quindi, in generale, seguite ciò che vi consiglia il vostro professore!!]
Di seguito alcune frasi con verbi copulativi (in grassetto il verbo copulativo, in rosso il predicato nominale)

  • Il mare sembra più chiaro visto dall'alto
  • Un sostanzioso risarcimento pare la soluzione migliore per tutti
  • I miei sono rimasti stupiti dal voto di Inglese
  • Recentemente i loro rapporti sono diventati più distesi
  • Quell'orologio sembra troppo pretenzioso per i miei gusti
  •  Dopo aver saputo la notizia, sono rimasta triste per tutto il pomeriggio
  • Con le tende chiare la tua stanza sembra molto più grande
  • Elena è diventata grande tutto d'un tratto
  • Tutti apparivano stanchi dopo la gara di nuoto
  • Tuo figlio diventa ogni giorno più diligente

l'infinito - Giacomo Leopardi

l'infinito - Giacomo Leopardi

questo idillio ci rivela I sentimenti  e I pensieri che animano il poeta in un momento di contemplazione e di meditazione, in solitudine e silenzio, su un colle solitario .
Lì una siepe impedisce al suo sguardo di spingersi per largo tratto sino al termine dell'orizzonte e favorisce perciò la sua fantasia, che gli fa immaginare, oltre il limite rappresentato dalla siepe, spazi infiniti , silenzi sovrumani e una pace profondissima, di fronte a cui il suo animo si ritrae come preso da sgomento, Ma ad un tratto un alito di vento, frusciando tra I rami degli alberi lo richiama alla realtà : istintivamente egli paragona il fruscio breve del vento al silenzio infinito  della sua immaginazione, che di tanto lo sovrasta. Il vento che passa tra le fronde fa pensare al tempo che passa, e il poeta ancora una volta paragona il temo che invece non ha fine, l'eternità. Con dolcezza il poeta allora poco alla volta si lascia sommergere in questi pensieri  che lo sollevano dalla meschinità della vita terrena alla contemplazione dell'eterno e dell'infinito.







Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

giovedì 16 maggio 2019

il passero solitario - Giacomo Leopardi

il passero solitario - Giacomo Leopardi

E' uno degli idilli più caratteristici, in cui la contemplazione della natura offre lo spunto alla riflessione. Il Leopardi osserva un passero, che diversamente dagli altri, nel tripudio della primavera e dei voli, se ne sta tutto solo a cantare su un campanile. Il poeta sente di essere simile all'uccelletto : anch'egli  se ne sta tutto solo a meditare, mentre I giovani del paese, lieti e spensierati, si godono il bel giorno di festa. Ma il sole intanto, calando all'orizzonte, sembra ammonire il poeta che la giovinezza poco alla volta se ne va, e non bisogna perciò lasciarsela sfuggire. Per questo conclude amaramente il Leopardi egli è molto più felice del passero : questo si comporta così perché tale é la sua natura, mentre egli dovrebbe come tutti gli altri giovani godere della gioventù fino a che essa dura; da vecchio la rimpiangerà, ma invano.

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

mercoledì 15 maggio 2019

Giacomo Leopardi

Giacomo leopardi

Nacque a Recanati nel 1798. Il padre conte Monaldo, un letterato di gusto classicistico, dedito agli studi, e la madre Adelaide dei marchesi Antici, attenta vigilatrice del patrimonio dissestato, si occuparono poco dei figli; una tale situazione famigliare e l'arretratezza culturale dell'ambiente recanatese soffocarono in lui la naturale giovanile alla vita espansiva e spensierata: Precocissimo per interessi e capacità intellettuali, divorò le opere contenute nella ricchissima ma antiquata biblioteca paterna, e diventò, pur essendo ancora in giovanissima età, un grande erudito di lingua e letteratura latina e greca. Intanto, con sette anni di studio esasperato e continuo, proprio nell'età dello sviluppo si rovinò per sempre la salute, rimanendo leggermente deforma nel corpo e soffrendo, per tutta la vita di dolori alla vista e al sistema nervoso: La sua vita ebbe come centro Recanati : se ne staccò la prima volta per recarsi a Roma e poi a Milano, A Bologna, a Firenze e a Pisa : ma il paese natale, amato e odiato nello stesso tempo, era  al centro del suo cuore ed egli vi ritornava sempre , sia pur scontento e deluso e pronto a ripartirne alla prima occasione. Nel '30 lo lasciò definitivamente per Firenze, da dove, dopo una grave delusione di amore, passò a Napoli : qui visse, confortato dall'amicizia di Antonio Ranieri, anni di terribili  sofferenze sopportate stoicamente e morì nel 1837.
La produzione poetica leopardiana esigua ma di grandissimo valore , è contenuta nel libro dei Canti  dove campeggiano gli idilli, le sue liriche più belle e caratteristiche.
A differenza degli idilli classici, che erano dei quadretti naturali a  soggetto per lo più amoroso e pastorale, gli idilli leopardiani, situazioni, affezioni , avventure storiche.
secondo la definizione che ne dette lo stesso poeta : la natura suggerisce un triste sentimento di abbandono o un dolce ricordo della lontana infanzia o schiude un sogno di impossibile felicità , ma sul sentimento  interviene la ragione che distrugge ogni illusione e afferma l'eterno dolore dell'esistenza. La vita sembra bella solo quando si è giovani, perchè rallegrata da un sogni e speranze, ma in realtà è per tutti solo fonte di dolore prechè sogli e speranze  sono illusioni che non potranno mai realizzarsi : la liberazione dalle delusioni e dalle sofferenze non può dunque venire che dalla morte, spezzando crudelmente la tensione umana verso la felicità e verso l'infinito.
Oltre ai Canti Leopardi scrisse un importante volumetto in prosa, le Operette morali, per lo più dialoghi tra personaggi reali e immaginari, dove si ritrovano gli stessi sentimenti e le stesse idee. Nelle Operette morali prevale l'abito riflessivo e il dialogo procede con toni solitamente sarcastici che tendono a scardinare credenze ed errori, distruggendo illusioni e desideri vani : è un libro pervaso da un'ironia amara, tutta la testa sottile e senza concessioni  e facili sogni e a falsi sentimentalismi.
Di Leopardi ci restano ancora un bellissimo Epistolario e lo Zibaldone una raccolta di note appunti e riflessioni  d'ogni genere che il poeta redasse durante tutta la vita in queste due opere noi troviamo il materiale da cui sono scaturiti il mondo poetico e l'arte del Canti e delle Operette morali.

martedì 14 maggio 2019

La tragedia romantica del Manzoni e il coro

la tragedia romantica del Manzoni e il coro

La tragedia Manzonian è un tipico esempio del teatro romantico: La tragedia classica trattava di argomenti mitologici e si fondava su tre unità di tempo, luogo e azione per  avere I caratteri di verosimiglianza. Il romantico Manzoni invece ritiene che il teatro  deve rispecchiare la realtà e perciò deve trattare argomenti  storici non mitologici. La verosimiglianza poi deve essere tutta interiore e non limitarsi ai caratteri esterni degli eventi da rappresentare, deve calarsi nell'animo dei protagonisti ricostruendone dall'interno I sentimenti  e comportamento. Questa del cuore umano e dei sentimenti  è la verità che interessa ai romantici.
Caratteristica peculiare della tragedia manzoniana sono I cori, ripresi dalla tragedia greca dove però avevano altra funzione con I quali il poeta si riserva uno spazio per riflettere e meditare commentando situazioni  e vicende : in questo modo i fatti si trasformano in problemi spirituali la storia diventa meditazione, gli accadimenti trapassano in momenti universali ed eterni della vita.

Il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni

il dramma di un popolo - Alessandro Manzoni

E' la fine dell'atto terzo : I Franchi superate le chiuse di Susa irrompono nella pianura, inseguendo I Longobardi in fuga. Gli italiani contemplano la sconfitta dei loro padroni con animo stupito e sospeso : l'antica fierezza della nazione e le umiliazioni subite si mescolano alla nascente speranza della libertà. Ma il poeta raffredda I loro entusiasmi  e li mette in guardi a: come possono sperare di avere la libertà dai Franchi? non per loro certo costoro hanno sopportato fatiche e pericoli : essi resteranno qui da padroni, e I poveri illusi dovranno servire a due popoli non solo ai longobardo ma anche ai nuovi signori che ai accorderanno con quelli.
Il coro ha un chiaro riferimento  alla situazione politica dei primi anni del Risorgimento ( non si dimentichi che la tragedia fu scritta al tempo dei moti del 1821) : se gli italiani vorranno la libertà dovranno conquistarsela da soli colle proprie  forze  e con il proprio sacrificio.
In questi versi serpeggia un senso di amaro e doloroso della vita che non è certo  felice per nessuno  con profonda commozione  e cristiana pietà  il poeta si accosta tanto agli italiani, schiavi e ben presto delusi nelle speranze  quanto ai longobardi ormai non più signori sprezzanti ma poveri genitori angosciati per la sorte dei figli, e ai Franchi costretti  a riprendere le armi e a correre rischi mortali una inutile  sciagura per I vinti I vincitori e spettatori innocenti.

lunedì 13 maggio 2019

la morte di Ermengarda - Manzoni

la morte di Ermengarda - Manzoni

a metà dell'atto IV il coro commenta la morte di Ermengarda, assopitasi in una pace dolce e serena nel convento di San Salvatore di Brescia, dopo un angoscioso delirio in cui è esploso il suo amore ancora intenso e non sopito per Carlo Magno, il marito che l'ha ripudiata . L'eco della guerra tra Franchi e Longobardi si placa per un momento di fronte alla morte che ha concluso nel silenzio e nella pace di un ritiro religioso il dramma terreno di una giovane infelice, sul cui doloroso destino il poeta si china pensoso e commosso a riflettere : legata per sempre a Carlo Magno  nella solitudine di un chiostro ella chiedeva l'oblio, ma invano perchè I ricordi dei momenti  più felici della sua vita coniugale le tornavano alla mente, tormentandola. Questa lotta durissima coi propri affetti  redime nella sofferenza la giovane principessa; perché possa serenamente morire, è necessario che ella si innalzi dall'amore terreno all'amore celeste offrendo a Dio il proprio tormento. Soltanto la sofferenza redime : per quando ha patito Ermengarda non sarà ricordata con odio come gli altri Longobardi oppressori ma sarà invece compianta come tutte le vittime innocenti che ora riposano intorno a lei.
Il dolore è un dono della provvidenza perché permette di elevarsi sulle violenze e sulle ingiustizie della vita riscattando ogni colpa

domenica 12 maggio 2019

Adelchi - una tragedia romantica

Adelchi una tragedia romantica

La tragedia Adelchi  scritta tra il 1820 e il 1822, rievoca gli ultimi anni del dominio longobardo in Italia (772-774) Desiderio decide di invadere el terre del papa al cui soccorso interviene il re dei Franchi Carlo Magno, che ha appena ripudiato la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio. Bloccato alle chiuse, Carlo sta per abbandonare l'impresa quando ili diacono Martino gli indica la strada per superare l'ostacolo e prendere alle spalle le truppe longobarde guidate da Adelchi, figlio di Desiderio. Quest'ultimo, tradito dai duchi sarà sconfitto e preso prigioniero mentre Ermengarda e Adelchi moriranno purificati e rasserenati dal dolore e dalle sofferenze.
E' una tragedia nella quale si esprime la spiritualità romantica e cristiana del Manzoni. Sullo sfondo di eventi storici fedelmente ricostruiti lo scrittore  si cala nell'animo dei personaggi per comprenderne I travagli e I conflitti interiori : ma  per tutti la realtà è sofferenza e dolore e la stessa storia è un susseguirsi di prepotenze e di soprusi dei più forti a danno dei più deboli. Un uguale destino di sofferenza e di delusione accumuna Adelchi ed Ermengarda e il popolo italiano ; però  mentre da quella sofferenza ai due infelici principi  verrà la redenzione  e il riscatto, agli italiani l'arrivo dei franchi non porterà la sognata libertà ma una nuova schiavitù.
Su questo sconsolato mondo di dolore lo scrittore stende un velo di umana pietà e di cristiana compassione e un fermo incitamento a lottare per I propri ideali : in questo consiste la novità e la ricchezza del mondo spirituale e poetico del Manzoni fondato sui principi del cristianesimo e del romanticismo, su un sincero amore della libertà e dell'indipendenza nazionale e su un profondo interesse per la storia

la pentecoste - Alessandro Manzoni

la pentecoste - Alessandro Manzoni

E' il più famoso e più bello degli Inni Sacri : ebbe una lenta maturazione poetica dal 1817 al 1822. Il peccato degrada l'uomo  e lo allontana da Dio con un distacco ora non più incolmabile perché a Dio può ricondurlo la Chiesa con la sua missione apostolica da quando lo Spirito Santo  si è calato in essa per elargire attraverso di essa i suoi doni all'umanità. Dio vive nel cuore dell'uomo nelle sue gioie e nelle sue ansie, lo trasforma dall'interno, lo arma contro ogni difficoltà, gli dà infine la pace che addolcisce la morte in una serena e fiduciosa speranza.
L'inno può essere diviso in tre parti : nella prima, dopo una apostrofe alla Chiesa che ne sintetizza lo spirito e la missione, si tratteggia un atteggiamento degli Apostoli nei giorni della Passione e della Resurrezione, quando timorosi  per la propria sorte, rimasero  celati  nascondendosi ai nemici; nella seconda si descrive la miracolosa calata dello Spirito Santo  sugli Apostoli  raccolti nel Cenacolo cinquanta giorni dopo la Resurrezione ( la parola pentecoste letteralmente significa  cinquantesima giornata)  l'inizio della predicazione e della diffusione del vangelo  e l'avvento della nuova società cristiana rinnovatrice dell'umanità nell'ultima parte infine il poeta prega lo Spirito Santo perché continui a scendere sugli uomini per vivificarli e rinnovarli con la sua grazia.
L'Inno ha momenti liricamente indimenticabili soprattutto nelle strofe che descrivono il rinnovamento interiore portato dal cristianesimo e nella preghiera finale: nell'invocazione e nella preghiera allo Spirito Santo Manzoni si rivela commosso conoscitore dell'animo umano, delle sue ansie ma anche l'interiore libertà pace e serenità che la fede dà agli uomini


LA PENTECOSTE
Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;
Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.
Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante

giovedì 9 maggio 2019

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni nacque a Milano, da nobile famiglia nel 1785; la madre Giulia, era figlia di Cesare Beccaria, una delle figure più importanti del mondo culturale settecentesco italiano ed europeo, autore del famosissimo "Dei delitti e delle pene " contro la tortura e la pena di morte. Ancora giovinetto., Alessandro, pur educato in collegi religiosi, respirò il clima della rivoluzione francese, inneggiando alla libertà e avversando ogni forma di tirannide. A Milano, liberata dai francesi e divenuta capitale della Repubblica Cisalpina, confluivano I più begli ingegni  del tempo, scrittori e patrioti provenienti da ogni parte d'Italia : la loro conoscenza giovò moltissimo sulla formazione culturale e spirituale del giovane, ma in lui fu determinante il bisogno di una salda coscienza morale, quale gli perveniva soprattutto dalla vita esemplare e dall'opera poetica di Giuseppe Parini , morto proprio in quegli anni, acre sferzatore di ogni forma di corruzione.
A vent'anni  si recò a Parigi , raggiungendo la madre che si era separata dal marito. Qui frequentò un circolo di studiosi aperti alle nuove idee letterarie che cominciavano a circolare in Europa; sempre a Parigi maturò lentamente il ritorno alla religione, da cui si era frattanto allontanato. Per la sua conversione fu determinante la forte e dolce personalità della moglie. Enrichetta Blondel, una calvinista passata al cattolicesimo. La conversione religiosa fu per Manzoni  una riconferma di quei valori spirituali, la libertà l'uguaglianza e  la fratellanza tra gli uomini, che la Rivoluzione francese gli aveva insegnato e  che egli sentì anzitutto come dovere della coscienza sorretta e rinvigorita dalla fede in Dio, prima ancora che come impegno civile, sociale  e politico di giustizia terrena. Le convinzioni politiche e religiose lo portarono così ad un calore umano, ad uno spirito di carità e di profonda partecipazione alle sofferenze e alle speranze del popolo, dei cui  sentimenti si fece interprete per naturale disposizione dell'animo : per conseguenza fu dunque un romantico. Per lui il romanticismo fu anzitutto bisogno di capire e amare gli uomini di leggere nei loro cuori di metterne a nudo i dolori e le gioie le aspirazioni e le delusioni.
Condivise sol popolo italiano l'amore per la libertà  e per l'indipendenza nazionale. Anche se per naturale ritrosia non volle mai mettersi in evidenza, tenne le fila del movimento romantico  milanese di cui fu subito riconosciuto il principale rappresentante. Allo stesso modo, non nascose la propria fede politica, ma la espresse chiaramente nelle sue opere e nei pochi gesti ufficiali  che compì, come per esempio quando accettò la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia, apertamente condannato dalla Chiesa. Il suo  cattolicesimo non gli impedì infatti di partecipare agli ideali del Risorgimento, anzi egli fu una delle personalità più autorevoli del pensiero neo-guelfo e del cattolicesimo liberale.
Dalla conversione in poi la vita del Manzoni fu povera di avvenimenti, ma ricca di opere e di meditazione interiore : lo scrittore visse quasi sempre a Milano, ritirato, ma pur sempre presente  alle più importanti vicende letterarie e politiche del paese. Poi morì nel 1873.
Le sue opere principali opere sono : gli Inni sacri (1812-22), celebrazione delle più importanti feste liturgiche (La Resurrezione, il Natale, La Passione, la Pentecoste), le due tragedie storiche Il Conte di Carmagnola  ('16)  e Adelchi ('22), le due odi Marzo 1821 e Cinque Maggio  scritte nel 1821  in  occasione rispettivamente di moti carbonari e della morte di Napoleone e il romanzo I Promessi Sposi  inizianto nel '023  pubblicato per la prima volta nel'27  e nella stesura definitiva  nel '40 - '42 dopo una lunga opera di revisione stilistica , e che è giustamente considerato il capolavoro suo della nostra narrativa romantica.
I promessi sposi  sono un romanzo storico ambientato nella Lombardia del Seicento, nel quale, attraverso le vicende dei due poveri giovani, Renzo e Lucia, sullo  sfondo di guerre, soprusi  e sofferenze fisiche e spirituali ( la calata dei Lanzichenecchi, la carestia, la peste ) Manzoni  rappresenta l'eterna vicenda della vita in cui prevalgono le ingiustizie e dolori; di fronte ai mali però bisogna resistere e lottare fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza. Il romanzo si trasforma in un'epopea storico-religiosa che nella profondità della sua umanissima ispirazione celebra l'amore per il prossimo e la fede in Dio  da cui la vita riceve senso e valore

venerdì 3 maggio 2019

la poetica di Ugo Foscolo

la poetica di Ugo Foscolo

La lingua foscoliana nasce dal cuore della tradizione classica ed è l'esempio più alto del nostro neoclassicismo. Per Foscolo  infatti non si tratta solo di riprendere dai classici  il lessico, le strutture sintattiche e del periodo e tutto l'apparato storico e mitologico di una tradizione  che, attraverso il '700, si perde all'indietro  sino al mondo classico; ma l'operazione culturale che recupera il mito dell'antica Grecia la favolosa Ellade  nasce e dall'interno di una sensibilità che è già profondamente romantica per l'accesa passionalità per il senso doloroso dell'esistenza per il fascino della morte rasserenatrice d'ogni male. Il linguaggio classico è il linguaggio che una volta, in passato ormai remoto e perduto per sempre, ha cantato una civiltà di bellezza e di armonia, di serenità  e di pace interiore; e anche se in quel tempo felice le più alte conquiste dell'anima nascevano dalla sofferenza e dal lutto, erano pur sempre consolate da un approdo lungamente sognato. come la petrosa Itaca dell'eroe Ulisse  dal lungo al tormentato esilio.
La classicità del linguaggio  foscoliano proprio grazie a questo contenuto  personalissimo per diretta esperienza e vino per consonanza con la sensibilità contemporanea non è mai freddo o artefatto : la passione lo sdegno il sogno eroico l'abbandono casto al sentimento d'amore  la pietà per le vittime  e per il dolore dei tempi feroci delle guerre e delle ingiustizie lo piegano a timbri e a immagini di palpitante umanità di raro equilibrio estetico. Non è un linguaggio di sapore moderno come sarà quello anch'esso classicheggiante di  Leopardi, ma è un linguaggio che per la sua intensa vitalità umana e poetica fa dimenticare il peso della forma classica tanto lontano dal nostro gusto di oggi