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martedì 26 marzo 2019

A Zacinto - Ugo Foscolo

A Zacinto - Ugo Foscolo

Il poeta in esilio, lontano dall'isola nativa, dove trascorse l'infanzia serena, e ripensa a lei con profonda nostalgia, sapendo di non potervi mai più tornare, la rivede con il cuore nella sua smagliante bellezza, tra le acque  del mare, da cui nacque la dea Venere, simboli di bellezza e della vita, la quale con il suo primo sorriso donò a quelle isole lo splendore di una ricchissima vegetazione e un clima incantevole.
Quell'incanto  di cielo e di verde rivive nella poesia del più grande poeta greco, Omero; ma nei suoi versi è anche raccontata la storia tristissima di Ulisse, costretto dal fato a navigare per tanti mari  avversi, prima di poter riabbracciare, reso ormai illustre dalla fama e dalla sventura, la sua nativa Itaca, un povero isolotto pietroso. Il Foscolo però ha un destino assai più amaro  dell'eroe greco, perché rivedrà mai più la sua bellissima terra: a lei  potrà lasciare  solo la sua poesia, mentre il suo cadavere verrà sepolto in terra straniera e nessuno piangerà sulla sua tomba .
In questo sonetto accanto al motivo dell'esilio  e del tormento per non  poter più rivedere l'amata terra natia, il poeta esprime la propria incantata ammirazione per l'antica civiltà greca, simboleggiata appunto dalla bellezza di Zacinto e dall'altissima poesia di Omero.
Il culto  della Grecia, come ideale di purezza, di armonia  e di perfezione rientra  nel gusto neoclassico, ma non fu estraneo  neppure ai romantici  che videro nella Grecia una specie di paradiso perduto dove poter dimenticare  i loro tomenti interiori.
Anche nella Grecia esisteva il dolore : ne è  la prova l'esilio di Ulisse. Ma alla fine Ulisse  ritornò in patria ritrovando pace e felicità, cosa che è negata al Foscolo


Nè più mai toccherò le sacre sponde
    Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
    Zacinto mia, che te specchi nell’onde
     Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
    Col suo primo sorriso, onde non tacque
    Le tue limpide nubi e le tue fronde
     L’inclito verso di colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
    Per cui bello di fama e di sventura
     Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
    O materna mia terra; a noi prescrisse
     Il fato illacrimata sepoltura.
ace e felicità, cosa che è negata al Foscolo

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