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giovedì 5 settembre 2019

Giuseppe Mazzini - morirò credente e infelice

Giuseppe Mazzini - morirò credente e infelice

In questa lettera del 7 marzo 1839 inviata dall'esilio londinese a un vecchio compagno di scuola e di congiure, Giuseppe Elia Benza, Mazzini descrive quella che, in uno scritto famoso, chiamò la tempesta del dubbio, da cui fu assalito in Svizzera dopo il fallimento dei primi moti e il suicidio dell'amico fraterno Jacopo Ruffini : ora il tremendo momento di sconforto è stato superato e il suo animo è come rinato, sostenuto da una incrollabile certezza e da una risorta fede nel dovere  da compiersi, Mazzini scava nel proprio intimo denudando il suo spirito e rivelandone I sentimenti I contrasti I drammatici tormenti e la conclusione, tipicamente romantica, "morirò credente e infelice" : la fede negli ideali e l'avversa realtà sono ancora destinati a contrapporsi, condannando l'uomo all'infelicità.
Vale la pena di notare come gli atteggiamenti spirituali  che nelle pagine degli scrittori si traducono in personaggi e vicende prodotti solo dalla fantasia, qui invece nascono dalla concreta realtà della vita e della situazione politica italiana.

mercoledì 4 settembre 2019

Giudeppe Mazzini

Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini (1805-72) al di là dell'impegno politico e del posto che occupa nella storia del nostro risorgimento  nazionale, è una della più rappresentative della cultura romantica.
Ebbe una sensibilità profondamente religiosa, concepì la vita come dovere e come apostolato, sentì il processo di unità nazionale come noto rinnovamento delle coscienze maturato nel pensiero e realizzato con l'azione. L'alta interiorità, la nobile tensione ideale il senso della assoluta necessità del sacrificio e dell'azione, l'afflato educativo e missionario  sono la prova di una sensibilità e di un temperamento inequivocabilmente romantici.

Giovanni Berchet - il giuramento di Pontida

Giovanni Berchet - il giuramento di Pontida

Questo componimento fa parte del poemetto Fantasie, in cui il poeta immagina che un patriota italiano  in esilio  per motivi politici riveda in sogno alcuni episodi del passato alternati a visioni della presente corruzione  e miseria, conseguenze dell' oppressione straniera. Qui il protagonista rivive il giuramento di Pontida dell'aprile 1167 che unì I comuni della lega Lombarda contro i Barbarossa. I nostri poeti romantici cantarono spello le gesta gloriose del comune medievale per esortare gli italiani a combattere contro gli austriaci con lo stesso spirito e la stessa fede nella vittoria che avevano avuto I loro antenati.
L’han giurato. Li ho visti in Pontida
convenuti dal monte e dal piano.
L’han giurato; e si strinser la mano
cittadini di venti città.
Oh spettacol di gioia! I Lombardi
son concordi, serrati a una lega.
Lo straniero, al pennon (2) che ella spiega,
col suo sangue la tinta darà (3).
Più sul cener dell’arso abituro
la lombarda scorata non siede.
Ella è sorta. Una patria ella chiede
ai fratelli, al marito guerrier.
L’han giurato. Voi donne frugali,
rispettate, contente agli sposi,
voi che i figli non guardan dubbiosi,
voi ne’ forti spiraste il voler.
Perchè ignoti che qui non han padri
qui staran come in proprio retaggio?
Una terra, un costume, un linguaggio
Dio lor anco non diede a fruir?
La sua patria a ciascun fu divisa.
È tal dono che basta per lui.
Maledetto chi usurpa l’altrui,
chi il suo dono si lascia rapir.
Su, Lombardi! Ogni vostro Comune
ha una torre, ogni torre una squilla:
suoni a stormo! Chi ha un feudo, una villa, (4)
coi suoi venga, al Comun ch’ei giurò.
Ora il dado è gettato (5). Se alcuno
di dubbiezze ancora parla prudente,
se in suo cuor la vittoria non sente,
in suo cuore a tradirvi pensò.
Federigo? Egli è un uom come voi.
Come il vostro è di ferro il suo brando (6).
Questi, scesi con esso predando,
come voi veston carne mortal.
“Ma son mille, più mila”. Che monta? (7)
Forse madri qui tante non sono?
Forse il braccio onde ai figli fer (8) dono,
quanto il braccio di questi non val?
Su! Nell’irto increscioso allemanno,
su, lombardi, puntate la spada:
fare vostra la vostra contrada
questa bella che il cel vi sortì.
Vaghe figlie del fervido amore,
chi nell’ora dei rischi è codardo,
più da voi non isperi uno sguardo,
senza nozze consumi i suoi dì.
Presto, all’armi! Chi ha un ferro l’affili;
chi un sopruso patì sel ricordi.
Via da noi questo branco d’ingordi!
Giù l’orgoglio del fulvo lor sir.
Libertà non fallisce ai volenti,
ma il sentier de’ perigli ell’addita;
ma promessa a chi ponvi la vita
non è premio d’inerte desir.
Giusti anch’ei la sventura, e sospiri
l’allemanno i paterni suoi fuochi;
ma sia invan che il ritorno egli invochi,
ma qui sconti dolor per dolor.
Questa terra ch’ei calca insolente,
questa terra ei morda caduto;
a lei volga l’estremo saluto,
e sia il lagno dell’uomo che muor.

Giovanni Berchet

Giovanni Berchet

Il milanese Giovanni Berchet (1783- 1851) buon conoscitore della letteratura contemporanea francese inglese e tedesca e felice traduttore di liriche  popolari spagnole, collaborò con il Conciliatore e fu tra I protagonisti della battaglia romantica. Amico dei più impegnati letterari lombardi ne condivise non solo le idee letterarie ma anche I convincimenti politici e per questo fu costretto all'esilio, a Parigi  e a Londra. Nella sua lirica si trovano tutti i filoni della poesia romantica, dall'ardore patriottico al languore sentimentale, ma ciò che la caratterizza è l'intonazione popolareggiante il linguaggio semplice malgrado l'impronta classicistica e il ritmo facilmente orecchiabile., Queste caratteristiche  resero subito popolari  le sue romanze, che  rispecchiavano I sentimenti  più vivi dei lombardi sotto il dominio straniero.

martedì 3 settembre 2019

Leopardi - pessimismo e ironia

Leopardi - pessimismo e ironia

Le Operette morali nascono in un momento della carriera poetica del Leopardi. Il fondo delle Operette è negativo e amaro, ma vi aleggia un eco delle illusioni e dei sogni da cui è difficile e doloroso staccarsi : la ragione ha ormai scoperto la tragica realtà dell'esistenza, ma il cuore rilutta nell'accettare una totale e dolorosa rinuncia. Attraverso  il dialogo si fa strada l'amarissima negazione di ogni illusine di ogni  speranza, la desolazione di ogni sentimento dolce e caro, l'inutile e vana ricerca di una ragione a tanta infelicità. Miti, credenze, immaginazioni, vagheggiamenti sono collocati in tempi  e spazi remoti, talora fantastici e irreali, in cui  è bandito ogni sentimentalismo  e il discorso procede, distaccato  e come senza risonanze affettive verso la conclusione  negativa
Questo distacco dalla tormentata materia del cuore e della sensibilità degli affetti  è realizzato soprattutto attraverso l'ironia che irridendo alle vanità e alle debolezze degli uomini ne rende vacui e ridicoli aspirazioni, sogni e abbandoni : ma è un'ironia che mentre raggela il cuore pur cela una sottile vena di pietà per una sorte tanto amara.

lunedì 2 settembre 2019

Giacomo Leopardi - dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggero

Giacomo Leopardi - dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggero

Un venditore di almanacchi offre un almanacco ad un passeggero, che si ferma a fare con lui due chiacchiere, chiedendogli come sarà il nuovo anno. Per il venditore  esso sarà fortunatissimo, addirittura il migliore di quanti ne son già trascorsi. Richiesto  poi se sarebbe disposto a rivivere gli anni già vissuti, egli risponde di no, rifiutando  soprattutto di rivivere il tempo già passato conoscendone tutti gli eventi. La vita, conclude è bella quando si ignora il futuro e si può giorno per giorno sognare e sperare.
La felicità dunque consiste nella speranza  e nella possibilità delle illusioni; questa è opinione dell'uomo comune. Ma le parole del passeggero, distaccate e venate di sottile ironia, celano una più amara verità: anche questa felicità non esiste  perché è vana e infatti che ad essa ingenuamente si affida soffrirà maggiormente. Dietro il passeggero si nasconde lo scrittore, ormai chiuso nella sua totale negazione, al quale la fiduciosa debolezza e la semplicità dell'ignaro venditore strappano un sorriso di comprensione e di pietà.

Giacomo Leopardi - dialogo di Malambruno e di Farfarello

Giacomo Leopardi - dialogo di Malambruno e di Farfarello

Il mago Malmbruno  chiede a Farfarello un diavolo da lui evocato con al facoltà di poter usare tutte le forze infernali al suo servizio di renderlo felice  anche per un solo momento; ma il diavolo non è in grado di soddisfare un tale desiderio, né lo potrebbe lo stesso Belzebù, e gliene dimostra la ragione. L'uomo non solo non può essere felice, ma  non può nemmeno non essere mai infelice perché ama sopra ogni cosa se stesso e, di conseguenza, aspira costantemente alla felicità : ma tale aspirazione non può avere limiti dal momento che nessun piacere, essendo  limitato, non dà  né appagamento né felicità.
Se ne conclude che il non vivere è meglio del vivere  e Farfarello se ne torna all'inferno chiedendo sarcasticamente ( ma con  quanta amarezza per noi ) se Malambruno  vuol morire subito  cedendogli anzitempo l'anima da portare laggiù.
Il dialogo tra i più perfetti per struttura compositiva essenzialità di battute stringatezza di argomentazione equilibrata gradualità dei toni, inizia con brevi note comiche che continuano nelle risposte negative di Farfarello alla richiesta di Malmbruno, ma la tragicità di fondo  della condizione umana gradualmente emerge e si manifesta nel dialogo veloce e serrato che definisce l'impossibilità dell'esistenza ed è cadenzato da una serie di negazioni; il finale giunge quasi all'improvviso con una battuta comica che però è nella sostanza tragicissima perché indica nella sola morte la soluzione all'infelicità della vita